Le parole di Robert Francis Prevost, da ieri Leone XIV
Sono nato negli Stati Uniti a Chicago, come anche i miei genitori, ma i nonni erano tutti e quattro immigrati, francesi e spagnoli. Sono cresciuto in una famiglia molto cattolica, entrambi i genitori erano molto impegnati nelle attività della parrocchia.
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La prima esperienza di Chiesa di Leone XIV: la parrocchia e la missione
Avevo quindi conoscenza della Chiesa nell’esperienza parrocchiale a livello locale. Ho studiato anche in una scuola parrocchiale. In questo senso forse, grazie anche alla vicinanza di alcuni preti diocesani, è nata l’idea della possibilità di diventare sacerdote.
In seguito ho conosciuto la mia famiglia religiosa, gli agostiniani. Dopo un breve tempo di discernimento, per fare una scelta, anche conoscendo altri giovani che erano andati dagli agostiniani, scelsi questo seminario. A 14 anni sono entrato nel seminario minore. Dopo l’università ho deciso di entrare in noviziato. Prima del noviziato c’è la storia di un ragazzo che vive con altri giovani, conoscendo se stesso e, come figlio di sant'Agostino, conoscendo gli altri, l’importanza dell’amicizia e di una vita comunitaria. È nata in quegli anni una certa inquietudine e un desiderio di essere missionario: non di rimanere nel mio paese, ma di partecipare a qualche tipo di attività come sacerdote o come religioso.
Dopo il noviziato e lo studio della teologia negli Stati Uniti sono venuto a Roma per studiare diritto canonico, un anno come diacono e uno come giovane sacerdote. Subito dopo sono andato in Perù e qui ho avuto la mia prima esperienza come missionario in una piccola diocesi, allora prelatura, a nord del Perù.
Diverse persone sono state importanti nel cammino, qualche sacerdote e qualche agostiniano. Anche nella mia famiglia. Mi ricordo bene certi momenti, avevo molta fiducia nei miei genitori, la famiglia era e ancora è molto unita, anche se i genitori sono andati al Signore.
Leone XIV parla dell’importanza dell’amicizia con suo papà
Ricordo alcune volte in cui parlai con mio padre, che non era esattamente un direttore spirituale, ma parlando di cose concrete, come dei dubbi che potevano turbare un giovane: “Forse è meglio lasciare questa vita, sposarsi, avere figli… avere una vita diciamo normale, cioè quello che conoscevo nella mia famiglia”. Si tratta di momenti di scelta e discernimento molto importanti per un giovane.
Lui, con la sua esperienza, parlava di cose come quanto fosse importante l’intimità tra lui e mia mamma, e di quanto fosse importante, anche nella vocazione al sacerdozio, la vicinanza con Cristo, conoscere Gesù veramente, l’amore di Dio nella vita, per tutti i cristiani. Se anche l'avessi sentito cento volte da sacerdoti e formatori [non sarebbe stato altrettanto efficace]: quando mio padre mi parlava così, in una forma molto umana, però molto profonda, pensavo: qui c’è da ascoltare, riflettevo molto su quello che mi diceva. Era prima di andare al noviziato: in quel caso mi ricordo ancora oggi dove eravamo. Non era in casa, non eravamo seduti come adesso. Parlammo diverse volte, lui era un educatore, maestro, lavorava nelle scuole, aveva questa capacità di parlarmi. Tutte queste cose sono state molto importanti.
La Chiesa come comunione di fedeli e non solo come istituzione
Io penso che oggi la voce della Chiesa, la testimonianza della Chiesa non come istituzione, ma Chiesa vissuta come comunione dei fedeli, con i martiri, con la presenza e la testimonianza di uomini e donne che danno la loro vita anche in situazione di violenza, di guerra, conflitto, è una voce che offre grande speranza al mondo.
Non tutti hanno la voglia e gli occhi aperti per ascoltare il messaggio. C’è una sfida molto grande per la Chiesa. Troppe volte abbiamo lasciato diventare solo istituzione la Chiesa, in parte o come totalità: il Vaticano, la Santa Sede. Ci sono dimensioni istituzionali. Però quello non è il cuore di quello che è e deve essere la Chiesa.