Rinascere nella luce della vita

“Dio, con l’azione dello Spirito Santo, ci rinnova e ci fa rinascere nella luce della vita”. Condividiamo alcune considerazioni di don Enzo Arborea sul senso della Risurrezione del Signore a partire dalle parole delle preghiere liturgiche del giorno di Pasqua.

L’orazione colletta della Messa del giorno di Pasqua così recita: O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio unigenito, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la risurrezione del Signore, di rinascere nella luce della vita, rinnovati dal tuo Spirito. Ritroviamo gli aspetti essenziali della Pasqua: Cristo è veramente risorto, ha vinto la morte e ha aperto per noi la porta dell’eternità, fondamento della speranza certa del cristiano. La Chiesa celebra la risurrezione del Signore nell’oggi della storia: la Pasqua non è un ricordo del passato, ma un evento che avviene in questo giorno. Dio, con l’azione dello Spirito Santo, ci rinnova e ci fa rinascere nella luce della vita.

I cristiani sono come tutti gli altri?

«Certo che voi cristiani siete proprio originali! Parlate di questa “vita nuova in Cristo” e poi siete come tutti gli altri, anzi anche peggiori degli altri! Sì, perché ci si aspetterebbe che imitaste gli insegnamenti di Gesù e invece, alla prova dei fatti, si rimane delusi e disillusi…». Forse molti di noi hanno incontrato persone che, con argomentazioni simili, ci hanno raccontato la loro esperienza negativa nei confronti della Chiesa e dei cattolici, affermando di aver smesso di credere o frequentare la Chiesa per essere state deluse o, peggio ancora, ferite. Purtroppo, per quanto ci siano tanti testimoni credibili della bellezza della vita cristiana e della potenza della luce del Risorto, non mancano quelle che possiamo chiamare contro-testimonianze. E forse le riscontriamo un po’ tutti nelle nostre vite, spesso proprio nelle relazioni intime del nucleo familiare, dove vediamo in azione tanta reattività che sfocia nel conflitto o nella tristezza di chi si rassegna allo status quo.

Poveri peccatori, come san Josemaría

«Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”» (Lc 24,32). Come è possibile che chi è investito come i discepoli di Emmaus, o come le sante donne e gli apostoli, dalla luce della vita nuova in Cristo, possa poi non essere coerente e scandalizzare i piccoli e anche gli adulti?

San Josemaría definiva se stesso «un povero peccatore che ama follemente Gesù Cristo» e parlava della vita cristiana come di una giostra d’amore, in cui le cadute, anche gravi, non devono avvilirci: «Il cristiano non è un collezionista fanatico di certificati di servizio senza macchia» (È Gesù che passa, n. 75).

La grazia della Pasqua, la vita nuova in Cristo, non ci porta alla impeccabilità. Il cristiano non è uno che non sbaglia mai, che non cede mai alla tentazione, che è sempre in grado di dire di no all’uomo vecchio. E non è solo questione di debolezza, ma anche di malizia, a volte frutto della tendenza a essere molto indulgenti verso noi stessi. Il cristiano non è uno che vince sempre. E non è neanche uno che sa sempre rialzarsi con le proprie forze. Egli conosce la sconfitta e il fallimento. Anzi è proprio nella ferita, nell’umiliazione della caduta, nello sconforto delle proprie miserie, nella impossibilità di rimettersi in piedi da solo, che scopre la grazia della salvezza che il mistero pasquale ci dona.

Vasi fatti a pezzi e ricostruiti

Nella vita è forse inevitabile ritrovarsi come un vaso fatto a pezzi, per i colpi ricevuti dagli altri, per eventi infausti o per le conseguenze delle nostre azioni. Nell’arte giapponese del Kintsugi, nata per restaurare vasi di ceramica rotti, questi cocci sono rimessi insieme con una lacca fatta di polvere d’oro, creando vere opere d’arte: la fragilità riparata con l’oro dona maggiore bellezza.

In modo analogo ne parlava anche san Josemaría: «Di fronte alle nostre miserie e ai nostri peccati, di fronte ai nostri errori […] ricorriamo alla preghiera e diciamo a Dio nostro Padre: “Signore, alla mia povertà, alla mia fragilità, ai cocci di questo vaso rotto, metti qualche punto, e io – con il mio dolore e con il tuo perdono – sarò più forte e più bello di prima”. È una preghiera consolante, da ripetere ogni volta che si rompe la povera terracotta di cui siamo fatti» (Amici di Dio, n. 95).

Come fare Pasqua?

Ecco il senso più profondo della salvezza: siamo figli amati di Dio! E Dio rimette sempre insieme i nostri cocci con l’oro della sua grazia! Cristo risorto sorride pieno di gioia quando cammina con noi come fa con i due di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35), tutte le volte che ci chiama con il nostro nome mentre siamo immersi in un pianto disperato come la Maddalena il mattino di Pasqua (cfr. Gv 20,11-18), nei momenti in cui siamo smarriti e increduli come Tommaso e ci mostra le sue ferite che ormai sono feritoie che ci aprono la via per immergerci nel suo cuore (cfr. Gv 20,24-29)!

Fare Pasqua è proprio comprendere che non ci salviamo da soli, né come singoli, né come umanità. Ma solo Cristo ci salva!

È facile capirlo se pensiamo alla nostra esperienza individuale: quando siamo ridotti in cocci ci scontriamo con l’evidenza della necessità dell’aiuto di Dio e degli altri, per rimetterci in qualche modo in piedi. Ma non dura per sempre perché, prima o poi, ci scontriamo con quella frantumazione “definitiva” che è la morte. Nel nostro cuore c’è una sete di vita eterna che nessuno su questa terra sa esaudire. Cristo risorto riempie di senso questa attesa, decorandola con l’oro puro della speranza nella vita eterna che ci offre chiamandoci alla fede: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. […] Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,1-4).

L’umanità non si salva da sola

Oggi, pensando anche alle tante situazioni di guerra e di conflitto nel mondo, è evidente che la stessa umanità non si salva da sola, neanche con l’ideologia del progresso tecno-scientifico.

Cristo ci salva perché il suo amore gratuito e incondizionato è proprio quel collante di oro puro che crea quella comunione nel vaso rotto dell’intera umanità aperta a una speranza che va ben oltre i limiti della nostra esistenza terrena: «È piaciuto infatti a Dio […] che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20).

La coerenza assoluta nel bene non è qualcosa che si possa ragionevolmente sperare in questa terra né dal singolo essere umano né tantomeno dall’umanità nel suo insieme. Non è questo il frutto dell’azione della grazia perché rimane in noi sempre una certa tendenza al male e all’ingiustizia. La grazia di Dio, frutto della Pasqua, è come quel collante d’oro che ci aiuta a costruire la civiltà dell’amore, mettendo sempre insieme i cocci sia di noi singoli sia dell’umanità, ma sempre nella prospettiva del già e non ancora.