Omelia del Card. Julián Herranz

Riportiamo l'omelia pronunciata dal Card. Julián Herranz, nella Messa in onore di san Josemaría, che si è celebrata il 27 giugno nel Duomo di Milano.

I. Reverendissimo Vicario Regionale della Prelatura dell’Opus Dei,

Venerabili confratelli nel sacerdozio,

Carissimi fratelli e sorelle,

Siamo convenuti in questo magnifico Duomo, cuore di Milano e della Lombardia, per celebrare la memoria liturgica di san Josemaría Escrivá, l’amato Fondatore dell’Opus Dei, conosciuto e venerato anche dal Pastore di questa Arcidiocesi, il mio fraterno amico Cardinale Dionigi Tettamanzi, che ha voluto inserire la memoria liturgica di san Josemaría nel calendario e nel messale della Chiesa ambrosiana, e al quale va il nostro grato ed affettuoso saluto in cordiale comunione di preghiera.

Abbiamo appena ascoltato nella prima lettura queste parole del Levitico (19, 1-2): “Il Signore parlò a Mosè e disse (…): ‘Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo’”. Ieri, nella piazza antistante, sono stati beatificati altri tre splendidi testimoni di santità, “a coronamento dell’anno pastorale nel quale la Chiesa ambrosiana fa solenne memoria del IV centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo” (Cardinale Dionigi Tettamanzi). Mi piace perciò ricordare, come si legge in un recente bel libro intitolato San Josemaría in terra lombarda (Lorenzo Revojera, Ancora, Milano 2011, p. 65), che il 6 novembre 1953 agli inizi del lavoro apostolico dell’Opus Dei a Milano, san Josemaría venne qui, scese al sepolcro di san Carlo Borromeo nella Cripta, e “si inginocchiò davanti all’urna del Santo, pregando intensamente col capo appoggiato all’urna (che a quel tempo era accessibile)”.

Con lo stesso affetto e devozione san Josemaría era andato al sepolcro di sant’Ambrogio, maestro di sant’Agostino, e proprio qui pregò anche sulla tomba del santo Arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster suo amico e futuro Beato. Carissimi fratelli e sorelle, che splendida galleria di santi ornano la storia di questo sacro luogo e di questa città! Tutti, ognuno  nella sua epoca e con la propria personalità, sono stati testimoni e messaggeri dell’infinito amore salvifico di Cristo, del Dio fatto uomo, che ha fame e sete della nostra amicizia, del nostro amore. I santi sono coloro che, mossi dallo Spirito, hanno assecondato questa fame e sete divine, attirando dietro di loro altre anime per condurle a Dio. Se noi siamo oggi qui, è perché a questo amore

seppe corrispondere magnificamente san Josemaría.

Ricordo che nel marzo 1975, tre mesi prima della sua morte, egli disse a noi suoi figli che abitavamo con lui ed io ne presi nota: «Amo Cristo con tutta la forza del mio cuore, sempre giovane… Giovane ai miei 73 anni? Sì, sì! figli miei, sempre giovane! con la gioventù di Cristo che è eterna… Adesso non lo diciamo noi sacerdoti all’inizio della Messa con la bocca, ma sì con il cuore!: “Introibo ad altare Dei…”, “salirò all’altare di Dio, del Dio che riempie di gioia la mia gioventù…”. E bacio l’altare sul quale scenderà il mio Amore, Cristo… e lo terrò nelle mie mani… e poi, alla fine del canone, prenderò la patena e il calice ed esclamerò: “Per Cristo, con Cristo, in Cristo… Per il mio Amore, con il mio Amore, nel mio Amore”!». Che belle parole per inoltrarci anche noi con amore nella liturgia che stiamo celebrando!

Queste parole ci ricordano che anche noi, in quanto cristiani chiamati alla santità e  all’apostolato, siamo e dobbiamo diventare ogni giorno di più innamorati di Cristo! E, perciò, araldi suoi in mezzo a una società in buona parte pervasa dal pensiero edonista e nichilista, che non sopporta la proposta cristiana di un Dio personale Salvatore dell’Umanità: “Che bisogno abbiamo noi di questo Redentore?”, dicono o pensano coloro che si dimostrano incapaci di riconoscere nei peccati capitali le vere radici del male nel mondo. “Noi crediamo solamente – dicono – nel valore salvifico della scienza e della tecnica!”. Che tristezza! Come ai primi cristiani di Corinto, ci ha ripetuto san Paolo nella Epistola appena letta: “Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Cor 9, 16). Anche per ciascuno di noi, chierici e laici, sposati o celibi, l’apostolato è una necessità oltre che un dovere. Il Vicario di Cristo ha voluto ricordarlo pochi giorni fa: “L’impegno per una rinnovata stagione di evangelizzazione è compito non soltanto di alcuni ma di tutti i membri della Chiesa” (Benedetto XVI, Omelia, 13 giugno 2011).

Anche il Fondatore dell’Opus Dei ci sprona all’apostolato in un suo commento alla toccante scena che contempliamo nel Vangelo della Messa odierna: “In quel tempo, mentre la folla faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù... salì in una barca che era di Simone... Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle” (Lc 5, 1-11). San Josemaría commenta così: “Gesù si trova presso il lago di Genésaret e la gente si accalca intorno a Lui per ascoltare la parola di Dio. Anche oggi! Non lo vedete? Desiderano ascoltare il messaggio di Dio, anche se all’esterno lo nascondono. Alcuni forse hanno dimenticato la dottrina di Cristo; altri – senza loro colpa – non l’hanno mai appresa e pensano alla religione come qualcosa di strano. Convincetevi, però, di una realtà sempre attuale: presto o tardi arriva un momento in cui l’anima non ne può più, non bastano più le spiegazioni abituali, non la soddisfano più le menzogne dei falsi profeti” (Amici di Dio, n. 260).

Fratelli e sorelle! È proprio vero. Oggi, accanto a noi, nei vari ambiti sociali di Milano e della Lombardia, come venti secoli fa accanto al lago di Genésaret, ci sono tantissime anime che hanno bisogno di luce e di speranza, che hanno sete della parola di Dio. Ma ci sono anche – come nuovamente ci ricorda oggi san Josemaría – “falsi profeti”, falsi maestri, che tradiscono – ingannandola – questa sete di Dio! Quante menzogne sulle loro labbra! Tra le falsità che propagano ne vanno rilevate soprattutto due, che indignavano molto san Josemaría (“san Josemaría un indignato?”, domanderà qualcuno: sì, ci sono ragioni spirituali e sante per essere indignati!): la menzogna sul significato della parola libertà e la menzogna sui contenuti della parola felicità. Dinanzi a queste due menzogne ideologiche, che possono confondere le intelligenze fino all’asfissia spirituale delle anime –specie dei giovani–, noi chiediamo al Signore di aiutarci ad opporvi due coraggiosi impegni apostolici. Questi impegni, che oggi vogliamo rinnovare con ottimismo cristiano, sono: il servizio della vera libertà e il servizio della vera gioia.

II. Pensando al primo impegno preghiamo così: Signore, che ci presiedi dal Tabernacolo e verrai presto su questo altare, abbiamo bisogno di Te, della tua grazia, per difendere con le stesse tue parole il vero concetto di libertà! Tu, infatti, hai detto: “la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32), ma adesso alcuni invertono i termini e affermano il contrario: “è la libertà che vi farà veri”. Però quella che chiamano “libertà” è una libertà menzognera. Perché intendono per libertà soltanto il diritto illimitato dell’individuo “di fare sempre il proprio comodo”, cioè di rifiutare ogni norma oggettiva morale per cercare in tutti i modi il piacere o il benessere personale. Noi cristiani diciamo invece a questi nostri fratelli ingannati dalla ideologia relativista e libertaria: No, fratelli, così non siete né liberi, né veri, così rifiutate Dio e diventate schiavi degli idoli: del sesso, del denaro, della droga, del vostro illimitato egoismo. Perché – come insegnò il Beato Giovanni Paolo II – la vera libertà, “la libertà di cui l’uomo è dotato dal Creatore è la capacità che gli è permanentemente data di cercare il vero con l’intelligenza e di aderire col cuore al bene a cui naturalmente egli aspira” (Messaggio per la  Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 1987).

Di fronte a queste insidie paganizzanti, che propagano la menzogna di una libertà umana assoluta, staccata da Dio e perfino dalla stessa ragione, noi dobbiamo proclamare tenacemente alcune verità che altri –intellettuali o politici senza scrupoli– vorrebbero oscurare. La verità sulla dignità della persona e del suo destino eterno; la verità sul valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale; la verità sull’amore, sul bell’amore”, che ha una dimensione spirituale ben superiore al solo “sesso”; la verità sul matrimonio – unione stabile di un uomo e una donna aperta alla fecondità – e la verità sulla famiglia fondata sul matrimonio. Ma innanzitutto la verità sul valore anche sociale della religione, che non può essere marginalizzata nella vita pubblica e, più concretamente, della Rivelazione di Cristo, che da duemila anni ha fecondato questa terra lombarda da cui sono partiti tanti uomini e donne ad evangelizzare il mondo.

Carissimi fratelli e sorelle! Ascoltate che cosa ci insegna ancora questo brano del Vangelo che stiamo contemplando: “Quando ebbe finito di parlare, disse (Gesù) a Simone:«Prendi il largo e calate le reti per la pesca»”. E san Josemaría ripete ad ognuno di noi: «Duc in altum! —prendi il largo! —Respingi il pessimismo che ti rende codardo. Et laxate retia vestra in capturam —e getta le tue reti per la pesca. Non vedi che puoi dire, come Pietro: In nomine tuo, laxabo rete – Gesù, nel tuo nome, cercherò anime?» (Cammino, n. 792).

“Prendi il largo”! Leva gli ormeggi! San Josemaría ci incoraggia: líberati coraggiosamente da tutto ciò che cerca di offuscare l’immagine di Cristo nel tuo cuore! Così potremo mostrare agli altri la bellezza e la ragionevolezza della nostra fede, portare la luce di Cristo nel nostro ambiente familiare, professionale e sociale, con coraggio, con convinzione e con gioia. In questo senso, dobbiamo aiutare specialmente coloro che si dicono agnostici o indifferenti, e pensano, con la mente e il cuore avvelenati da una falsa libertà, che l’uomo possa fare a meno di Dio, vivere e morire, cioè, come se Dio non esistesse e non dovessero un giorno sottostare al Suo giudizio. Diciamo loro con affetto cristiano e gentile fortezza: “No, fratelli!: non è la “libertà che vi farà veri, ma è la Verità, Cristo, che vi renderà veramente liberi e felici”.

III. Felicità! Questa bella parola evoca il secondo impegno apostolico, per il quale preghiamo così: Signore, che dal Pane e dalla Parola, dall’Eucaristia e dal Vangelo parli silenziosamente ai nostri cuori: abbiamo bisogno di Te, per essere portatori di gioia e di speranza, araldi della vera gioia e felicità in un mondo che ne ha veramente bisogno! In effetti, per l’influsso dei “falsi profeti” del benessere, si sta diffondendo un clima di materialismo pratico, che – in nome di un erroneo concetto di felicità – favorisce il permissivismo, dal quale però derivano l’insoddisfazione e il vuoto interiore, i “deserti dell’anima”. Sembra che per moltissimi – anche battezzati – gli unici valori che contano nella vita siano il profitto economico senza limiti e il benessere corporale; si comportano come se nessun altro valore – religioso o morale – possa essere anteposto alla fugace felicità terrena. Dimenticano che essere cristiani non è una specie di abito da vestire in privato o in alcune occasioni, ma una condizione di vita totalizzante, capace di assumere quanto di bello e di buono c’è nel mondo ma anche di riconoscere e respingere il male. Non è la prima volta – ricordava spesso san Josemaría – che la Chiesa deve levare la sua voce contro il falso concetto pagano di felicità umana e in difesa della vera gioia. Egli amava ripetere le parole con cui san Paolo scuoteva la coscienza dei primi cristiani di Roma: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8, 15). Ecco la gioia e la pace di chi pensa e vive nella consapevolezza che Dio è suo Padre. Perciò Benedetto XVI ci esorta con le seguenti parole: “Per essere collaboratori della gioia degli altri, in un mondo spesso triste e negativo, bisogna che il fuoco del Vangelo arda dentro di voi, che abiti in voi la gioia del Signore” (Omelia, 27 aprile 2008). In tal modo potremo dire a tutti: “La felicità che cercate, la felicità che avete diritto a sperimentare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazaret” (Benedetto XVI, Omelia, 13 giugno 2011).

Da quando Cristo è venuto al mondo, si è verificato questo contrasto tra vita pagana e vita cristiana, tra una visione puramente materialista della felicità e l’intima, autentica e profonda gioia dei cristiani che si sanno figli di Dio. Una gioia e una pace che il mondo non dà e neppure può togliere, perché sono “frutto dello Spirito Santo” (Gal 5, 22). E non vorrei finire – cari fratelli e sorelle – senza accennare a quella specialissima gioia che nasce nell’anima quando un uomo o una donna dicono alla vocazione divina alla completa donazione a Cristo nel celibato apostolico. Dopo un’esperienza sacerdotale di quasi 60 anni, sento di poter fare mie le parole di san Josemaría: “Sta’ sicuro (sta’ sicura): la tua vocazione è la grazia più grande che il Signore abbia potuto farti. -Ringrazialo” (Cammino, n. 913). E aggiungerei: Coraggio, Duc in altum! prendi il largo! Deciditi!, nel nome di Gesù che naviga con te.

Madonnina, Signora di Milano, che dalla Guglia maggiore di questo Duomo presiedi la città con amore di Madre, Causa della nostra gioia! Insegnaci ad essere, seguendo lo spirito di san Josemaría, testimoni fedeli della gioia cristiana, che sa scoprire e valorizzare tutto quello che c’è di veramente buono e di veramente bello su questa terra – e ce n’è tanto! –, ma con lo sguardo sempre teso verso il porto divino della vita eterna! Così sia.

Julián Card. Herranz