Non cambierei per nessuna cosa al mondo

Margherita Calzetta, una numeraria ausiliare romana, racconta il suo incontro con l’Opus Dei e la sua scoperta del valore del lavoro della casa, tanto da decidersi a lasciare il lavoro di ragioniera che svolgeva con soddisfazione per assumersi la cura, a livello professionale, dei centri dell’Opera. Attualmente vive e lavora a Palermo.

Come sei entrata in contatto con l’Opus Dei?

Sono di un quartiere della periferia di Roma, che intorno agli anni ’70 non godeva di buona fama. Ho conosciuto l’Opera attraverso una persona, con la quale poi siamo diventate amiche. Mi consigliò la lettura di un libricino intitolato “Cammino”, che mi parve molto interessante, ma niente di più. Mi disse che c’era un Centro dell’Opera, guarda caso, vicino a dove abitavo io e che lì si poteva ricevere formazione cristiana.

Così ci andasti e ti fu subito chiaro che era quella la tua strada?

In realtà ci andai solo qualche volta, perché avevo diversi impegni e dovevo prepararmi per gli esami di maturità; tornai altre volte perché mi trovavo bene e continuai a frequentare per circa due anni. I mezzi di formazione mi aiutavano ad essere coerente, come cristiana, nell’ambito del mio lavoro e delle amicizie.

Che cosa ti ha colpito la prima volta che hai messo piede in un centro dell’Opus Dei?

L’allegria e la simpatia umana, per cui mi sono sentita subito a mio agio, perché sentivo che rispettavano i miei punti di vista e mostravano interesse per la mia persona.

Avevi già un lavoro professionale quando hai chiesto l’ammissione all’Opera come numeraria ausiliare: perché questa scelta? Non eri soddisfatta?

Mi rendo conto, in effetti, che occorre dare qualche spiegazione in più. L’insoddisfazione non c’entra. Avevo 24 anni e lavoravo come ragioniera presso una società: ero molto contenta del mio lavoro e del rapporto che c’era con i miei colleghi. Il mio desiderio era di formarmi una bella famiglia, anche se dentro di me acquistava sempre più forza la convinzione che potessi essere io a creare in ogni posto l’ambiente di famiglia.

Ma creare l’ambiente di famiglia non è compito di ogni donna? Cosa ti spinse a farlo intraprendendo proprio questa strada?

Mi ha sempre colpito la fiducia e la stima che il Fondatore dell’Opera aveva per le persone che si occupano del lavoro della casa nei Centri della Prelatura. Lo chiamava “apostolato degli apostolati” e pensava che lo avrebbero realizzato donne molto femminili, che sapessero creare intorno a sé un ambiente delicato, di focolare. Diceva che all’interno della vocazione all’Opera, alcune anime venivano scelte da Dio, che affidava loro la cosa più preziosa: la cura della casa. E aggiungeva rivolto a chi se ne occupava: “Ci siete per curare e trasmettere l’Opera: tutto andrà avanti grazie a voi”.

In sintesi: che cosa è cambiato nella tua vita da quando sei entrata a far parte dell’Opus Dei?

Ogni mia azione ha acquistato un valore divino: la preparazione di una lezione, visto che insegno presso una scuola alberghiera regionale, la presentazione di un piatto, curando i dettagli, il saper accettare un lavoro non riuscito bene, un sorriso, anche se un po’ a denti stretti davanti a un imprevisto o cambio di programma…

I tuoi genitori come la presero?

All’inizio non capivano, ma allo stesso tempo non hanno mai ostacolato la mia decisione, mi hanno lasciato agire sempre in piena libertà. Ero sicura che con il tempo sarebbero stati contenti della mia decisione, come del resto è accaduto; anzi hanno sostenuto, per quello che potevano, le attività apostoliche.

Che cosa ti ha dato maggiore soddisfazione nel tuo lavoro?

Ho avuto la fortuna di poter formare professionalmente molte ragazze, ora madri di famiglia, che svolgono anche attività di ristorazione oppure sono impegnate in altri settori. Quello che più mi dà gioia, quando ci sentiamo -sono rimasta, infatti, in contatto con molte di loro- è che ringraziano per tutto quello che hanno ricevuto, anche umanamente. Penso spesso che mai sarei potuta arrivare a un così vasto raggio di persone a cui trasmettere il valore cristiano di quello che fanno, per cui anche la semplice elaborazione di una ricetta diventa una “ricetta d’amore”.

Col passare del tempo come valuti la tua decisione di allora?

Non la cambierei per nessuna cosa al mondo, anzi sono sempre più contenta della mia scelta di vita. Certo che richiede sacrificio, ma mi domando: si può misurare il bene che si fa, il valore dell’amicizia, in poche parole il dono di sé?