Lotta, vicinanza, missione (9): “Il mantello e l’ombra di Gesù”. La Chiesa, casa della nostra santità

Quando Cristo ci raggiunge nella sua Chiesa e ci lascia toccare il suo mantello, la forza che ne scaturisce è la sua stessa santità. Così ci trasforma affinché possiamo godere della «larghezza, lunghezza, altezza e profondità» del suo cuore (Ef 3,18).

Era un giorno qualunque a Cafarnao, e una donna fu guarita miracolosamente toccando il lembo del mantello di Gesù (cfr. Mc 5,25-34). Sappiamo molto poco di lei, ma abbiamo ancor meno notizie delle moltitudini che si avvicinavano al Signore con la stessa speranza: sfiorare il suo mantello per essere sanati dalle loro infermità (cfr. Mt 14,36). Eppure, ognuno di loro era importante e unico per Gesù: come per noi, li attendeva tutto l’amore di Dio[1].

Il Signore continua a camminare in mezzo a noi, lasciandosi raggiungere, toccare, interrogare. Non agisce nelle nostre vite mantenendo una prudente «distanza di sicurezza», ma con una fiduciosa immediatezza. Gli Atti degli Apostoli ci mostrano come sia possibile questo contatto, da quando, con la sua risurrezione e la sua ascensione, Gesù si è reso presente in un modo meno visibile agli occhi, ma realmente molto più vicino. Il suo mantello è diventato accessibile nell’ombra di Pietro: «Portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro» (At 5,14-15). Proprio così: il mantello del Signore ora sussiste nell’ombra dell’Apostolo, trasformata in forza dell’Altissimo che avvolge, santifica e guarisce. Il mantello del nostro Signore e l’ombra dell’Apostolo: questa è la «realtà divino-umana della Chiesa»[2], il cammino attraverso il quale Dio continua a raggiungerci e toccarci, il luogo della nostra esperienza dell’amore divino, la dimora della nostra santità.

Toccare il mantello del Signore

Come i testimoni immediati di quei miracoli, possiamo restare stupiti dalla semplicità dei canali attraverso cui il cuore di Cristo desidera entrare in contatto con il nostro. Forse ci saremmo aspettati qualcosa di più straordinario, qualcosa che colpisse più intensamente i nostri sensi. Eppure, è proprio così: Dio vuole comunicarci la sua grazia semplicemente toccando il suo mantello e lasciandoci raggiungere dalla sua ombra.

Per poter toccare il Signore, è necessario essere disposti a percorrere vie di mediazione poco appariscenti, talvolta persino con più ombra che luce; eppure, come accade con i vetri delle vetrate di una cattedrale, è proprio attraverso queste mediazioni che ci giunge la luce, assumendo talvolta sfumature meravigliose. L’ombra di Pietro può sembrare semplicemente questo, l’ombra di Pietro; eppure, lì si trova Lui, vivo e operante.

Il mantello di Gesù, l’ombra di Pietro, sono la stessa Chiesa, che irradia forza e luce. Essa è «in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[3]. Da qui deriva che il cammino della nostra santità passi attraverso il desiderio di rimanere molto uniti a Gesù Cristo nella sua Chiesa, perché la nostra forza è in Lui, nella sua persona «sacramentata». San Leone Magno affermava che «ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi misteri»[4]. In modo simile, san Josemaría vedeva i sacramenti «come orme dei suoi passi, perché noi possiamo camminare su quelle orme e giungere al Cielo»[5]. La sfida consiste quindi nel scoprire la potenza e la fecondità che si nascondono sotto l’apparente semplicità di quelle parole e gesti, di quei volti ed elementi —di quell’ombra— attraverso cui il Signore desidera venire incontro a noi oggi.

Una delle cose che ci mostra la vita del Signore è che il suo modo di entrare nella nostra esistenza è quello dell’incontro personale. Gesù tocca il lebbroso, guarda chi chiama, impone le mani sui piccoli e si autoinvita a casa di Zaccheo. E questi non sono semplici episodi del passato, perché Gesù non ha cambiato il suo desiderio originario: vuole continuare a incontrarsi personalmente con ciascuno di noi. Ed è solo così, attraverso questi incontri meravigliosi, che ci converte e ci attrae a sé.

Sacramenti di umiltà

«Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,3). Queste parole autobiografiche dell’apostolo san Giovanni esprimono in modo straordinario ciò che abitava il cuore dei primi cristiani. I nostri primi fratelli nella fede non intendevano trasmettere solo una riflessione o racconti commoventi su Gesù Cristo, né una guida per stabilire da soli una relazione con Dio. Ci hanno comunicato ciò che loro stessi hanno visto, udito e toccato, perché sapevano che quello, e non altro, era il cammino scelto dal Signore per trasformarci in un altro Cristo.

Si tratta, dunque, di incontrare realmente Gesù, ma nei «sacramenti di umiltà[6]», come li definiva sant’Agostino. Così come il Signore restituì la vista al cieco nato coprendo i suoi occhi con qualcosa di così semplice come il fango, allo stesso modo noi ci lasciamo guarire nel seno della sua Chiesa. Per questo amiamo la confessione, l’Eucaristia, il sacerdozio comune e ministeriale, e ogni dono sacramentale: perché amiamo la santa e umile umanità di Cristo. Quando riceviamo questi doni con fede e speranza, ci identifichiamo sempre più con i sentimenti e gli affetti di Gesù (cfr. Fil 2,5). I gesti, i segni e le parole che riceviamo compiono in noi il prodigio della santità.

Tuttavia, come accadde a Naamàn il Siro, che confrontava il piccolo corso del Giordano con i grandi fiumi della sua terra (cfr. 2Re 5,10-12), anche in noi può sorgere il desiderio di acque più abbondanti o speciali rispetto a quelle dei sacramenti per alimentare la nostra santità. Talvolta i sacramenti possono sembrarci poco efficaci, un cammino troppo lento o abitudinario. Può sorgere così il sogno di qualcosa al di là di essi, un’esperienza spirituale più incisiva. È allora il momento di riscoprire, accanto alla semplicità di questi canali, quell’invito continuo che è rimasto impresso nella memoria del discepolo amato dopo tante ore trascorse con il Signore: quello di rimanere in Lui[7].

Rimanere uniti al suo mantello, restare nel raggio dell’ombra della sua Chiesa e dei suoi sacramenti significa riscoprirne il valore frequentandoli con perseveranza. Questa fedeltà opera in noi non tanto attraverso effetti che possiamo percepire immediatamente, ma grazie a una progressiva trasformazione del nostro cuore. Così ci riempiamo di fiducia nel fatto che arriverà il vino nuovo, purché restiamo uniti alla vera vite e accogliamo le uniche parole di vita eterna del Maestro. Rimanere nel Signore attraverso i suoi sacramenti è, quindi, un modo bellissimo per abbandonarci nelle sue mani. Sappiamo che, rimanendo in Lui, gli permettiamo di portare avanti la sua opera in noi, secondo i suoi tempi e i suoi modi. E allora «La nostra vita interiore non racchiude in sé altro spettacolo che questo: Cristo che passa quasi in occulto»[8].

Se nei sacramenti possiamo tornare a toccare il mantello della sua umanità, lasciarci raggiungere dall’ombra dell’Apostolo significa anche prestare attenzione alla voce che la Chiesa ci rivolge. Da essa riceviamo le parole di cui abbiamo bisogno per crescere nella santità. Accogliendole e lasciandole agire con fiducia e amore, diventiamo ciò che ascoltiamo.

Possiamo soffermarci un momento sulle parole che riceviamo, ad esempio, nel sacramento della riconciliazione. Chi si confessa frequentemente potrebbe avere talvolta l’impressione di ripetere sempre le stesse cose e che anche i consigli ricevuti non varino molto. Questo potrebbe scoraggiarlo e fargli perdere la speranza nell’efficacia di questo sacramento. È allora il momento di riscoprire le parole che ci vengono donate in ogni assoluzione: che Dio ci concede «il perdono e la pace»[9]. Il Signore, attraverso la sua Chiesa, ci conferma nella nostra condizione di persone perdonate. E ci invita a vivere nella pace, perché il nostro cuore abita già nella sua pace.

Riceviamo inoltre molte espressioni di grazia durante la Santa Messa, a partire dalla Parola di Dio, che deve fare il suo cammino dentro di noi. «La ascoltiamo con le orecchie e passa al cuore; non rimane nelle orecchie, deve andare al cuore; e dal cuore passa alle mani, alle opere buone. Questo è il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al cuore e alle mani»[10]. Ci fanno un bene speciale anche le parole pronunciate durante la consacrazione, quando Cristo stesso ci dice che si dona per noi e che vuole abitare concretamente nella nostra vita. E ciò che dice, lo fa: si lascia toccare e mangiare, nella comunione eucaristica.

Una forza che trasforma

Dal mantello del nostro Signore e dall’ombra di Pietro scaturisce una forza capace di guarire il corpo, ma soprattutto di convertire il cuore. Quando Cristo ci raggiunge nella sua Chiesa e ci permette di toccare il suo mantello, la forza che emana è la sua stessa santità. Così ci trasforma, affinché Egli viva in noi e possiamo godere de «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» del suo cuore (Ef 3,18).

Questa dilatazione del cuore ci porta a fare nostra l’esperienza di san Paolo: diventare «tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22). Quando la Chiesa diventa davvero la nostra casa, ci accorgiamo di desiderare, con i fatti, che tutti possano sperimentare l’amore di Dio nella loro vita. «Dio ci ha chiamati (...) per far conoscere Cristo a tanti intelletti che non sanno nulla di Lui e, chiamandoci nella sua Opera, ci ha dato anche un metodo apostolico che ci fa comprendere, scusare, praticare una fine carità nei confronti di tutte le anime»[11].

Un segno meraviglioso che la forza trasformatrice del cuore del Signore trova accoglienza in noi è che iniziano a scomparire certe distanze o barriere interiori verso gli altri, che prima ci sembravano molto difficili da superare. I motivi umani all’origine di questi atteggiamenti cessano di essere l’ultima parola, e la forza dell’amore di Dio si impone pacificamente dentro di noi. Il Signore ci amplia il cuore, affinché si apra in carità fraterna verso tutti gli uomini e in ogni direzione. Ci sentiamo in comunione con tutti, al punto che nulla degli altri ci risulta estraneo.

Gesù volle formare i suoi primi discepoli a questo spirito. Nella scelta del gruppo dei Dodici, non cercò di creare un circolo di persone omogenee, ma piuttosto l’opposto. Di conseguenza, dal punto di vista umano, non mancarono tra loro motivi di divisione. Invitare a convivere giorno dopo giorno persone con provenienze, sensibilità politiche e estrazioni sociali così diverse fu quasi una provocazione. Eppure, proprio così nasce, ogni volta, la Chiesa: quando, per amore al Signore e al Vangelo, i motivi di divisione umani cessano di essere l’ultima parola. L’amore di Dio trionfa nel nostro comportamento quando lasciamo che la Chiesa faccia prevalere in noi il desiderio di comunione sopra la facile tendenza alla divisione.

La santità che la Chiesa suscita nella nostra anima si manifesta anche in un forte desiderio di riconciliazione, di perdono e di unità profonda tra tutti i figli di Dio. La comunione dei santi smette così di essere un ideale ridotto a qualcosa di vero, ma percepito come irraggiungibile. Sperimentiamo ciò che scriveva il nostro Padre: «Ognuno sentirà, al momento della lotta interiore, come pure al momento dell’impegno professionale, la gioia e la forza di non essere solo»[12]. Questa unione con tutti nella Chiesa diventa così un invito entusiasmante a cui vogliamo rispondere con atteggiamenti nuovi, nati dal cuore di Cristo: «Che vi comprendiate, che vi scusiate, che vi vogliate bene, che vi sentiate sempre nelle mani di Dio, accompagnati dalla sua bontà (…). Non sentitevi mai soli, sempre accompagnati, e sarete sempre saldi: i piedi a terra e il cuore in alto, per sapere seguire il bene»[13].

Dare speranza

Insieme a questa nuova capacità di amare, la forza che scaturisce dal Signore e dalla sua Chiesa ci spinge a guardare la realtà attraverso una nuova lente: la speranza. Papa Francesco ha voluto che celebriamo il prossimo Giubileo della Redenzione proprio in questa prospettiva[14]. Gesù continua a camminare attraverso la storia e in mezzo all’umanità. Il suo mantello si estende ben oltre ciò che i nostri occhi possono vedere. Ci pervade la certezza che il Signore continua ad agire, toccare e lasciarsi raggiungere dagli uomini nel frastuono di un mondo che, per molti aspetti, sembra smarrito. Senza ignorare il dramma della storia, con tutto il suo carico di dolore e tragedia, la santità che la Chiesa semina in noi ci aiuta a non lasciare spazio allo scoraggiamento o alla nostalgia di un passato apparentemente più cristiano, come se l’espansione o la riduzione di certi ambiti di influenza fossero tutto ciò che possiamo aspettarci come vittorie o rimpiangere come sconfitte.

«Dopo aver conosciuto Gesù, noi non possiamo far altro che scrutare la storia con fiducia e speranza (…). Perciò non ci rinchiudiamo in noi stessi, non rimpiangiamo con malinconia un passato che si presume dorato, ma guardiamo sempre avanti, a un futuro che non è solo opera delle nostre mani, ma che anzitutto è una preoccupazione costante della provvidenza di Dio»[15]. La santità che nasce dal cuore della Chiesa ci ricorda che il Signore sta continuamente facendo «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Lì dove altri vedono solo decadenza, noi scorgiamo, nonostante tutto, il germe di una trasformazione. Nelle nozze in cui manca il vino, intravediamo la condizione necessaria per l’arrivo del vino nuovo, quello che solo Cristo può portare.

«La sfida più importante per la Chiesa —e per la società nel suo insieme— è dare speranza a ogni persona, specialmente ai giovani, alle famiglie e a coloro che soffrono maggiormente per necessità materiali o spirituali»[16]. E la speranza che la Chiesa desidera ispirare nei nostri cuori è la certezza che il Signore non smette mai di venire in aiuto degli uomini; e che ciò che davvero conta nella storia è la realtà della nostra redenzione, che rimane presente e cresce, nonostante la zizzania (Mt 13,24-52).

***

San Josemaría scriveva ai fedeli dell’Opus Dei che avrebbero dovuto abituarsi a guardare «prima e sempre alla Chiesa santa»[17]. Parole che, in realtà, valgono per tutti i cristiani. Nella Chiesa, lo sguardo credente vede lo stesso Cristo vivere in mezzo a noi. Il Cristo che camminava tra le folle e che ora si avvicina a noi, ci tocca e ci santifica. Lo sguardo della fede riconosce in essa il mantello inconfondibile di Cristo, che è molto vicino a noi per darci vita e comunicarci il suo amore infinito. Con questo sguardo nasce anche un sentimento di profonda fiducia e affetto, così che tutto ciò che appartiene alla Chiesa troverà in noi sempre «un filiale fiducioso abbandono»[18]. Così accoglieremo, come ci diceva san Josemaría, «qualsiasi notizia che ci venga dalla Sposa di Gesù Cristo»[19]. Perché siamo certi che da essa possono uscire solo cose buone, orientate sempre al fine principale: la nostra santità.

Nicolás Massmann


[1] Cfr. «Mi chiedo molte volte al giorno: cosa accadrà quando tutta la bellezza, tutta la bontà, tutta la meraviglia infinita di Dio si riverserà in questo povero vaso di creta che sono io, che siamo tutti noi?» San Josemaría, appunti di una riunione familiare, 22-10-1960.

[2] Mons. F. Ocáriz, Messaggio, 21-10-2023.

[3] Concilio Vaticano II, Const. Lumen Gentium, n. 1.

[4] San Leone Magno, Sermone 74, 2; citato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1115

[5] Cfr. San Josemaría, Tertulia a Buenos Aires, Argentina, 15-06-1974.

[6] Sant'Agostino, Confessioni 8, 2,4

[7] Nel Vangelo di san Giovanni questo verbo appare ripetutamente sulle labbra di Gesù; cfr. Gv 6,56; 8,31; 15,4-10. Nella sua prima lettera, l’apostolo riprenderà questa insistenza: cfr. 1Gv 2,6.24.27; 3,6.24.

[8] San Josemaría, Amici di Dio, n. 152.

[9] Cfr. Rituale della Penitenza.

[10] Papa Francesco, Udienza, 31-01-2018.

[11] San Josemaría, Lettera 4, n. 1.

[12] San Josemaría, Cammino, n. 545.

[13] San Josemaría, In dialogo con il Signore, n. 79 (traduzione nostra).

[14] Cfr. Papa Francesco, Spes non confundit, Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025.

[15] Papa Francesco, Udienza, 11-10-2017.

[16] Mons. F. Ocáriz, Intervista del 3-07-2017 (traduzione nostra).

[17] San Josemaría, Lettera 18, n. 27.

[18] Mons. F. Ocáriz, Messaggio, 13-09-2023.

[19] San Josemaría, Lettera 8, n. 54 (traduzione nostra).