Così san Josemaría Escrivà spiegava al New York Times, nel 1966, la nascita di questa realtà, di cui, proprio in questi giorni, ricorrono gli ottant'anni dalla fondazione. A questa ricorrenza è stato dedicato, a Genova, il 30 ottobre scorso, un partecipatissimo incontro presso l’auditorium di Palazzo Rosso. Relatori alla tavola rotonda, sul tema “Cristiani in mezzo al mondo”, S.Ecc. Mons. Luigi Palletti, vescovo ausiliare di Genova, Joaquín Navarro-Valls, giornalista ed ex direttore della Sala Stampa vaticana, e Fulvia Sferrazza Papa, magistrato in servizio al Tribunale dei minori di Palermo.
Al centro delle riflessioni la riscoperta del significato della parola “santità” operata da san Josemaría, una visione nuova per i tempi moderni, anche se antica quanto il messaggio cristiano. “In un’epoca in cui impera il primato del dubbio, dell’ambiguità, il concetto di santità appare un po’ una chimera”, ha affermato aprendo il dibattito Navarro-Valls. “E’ il risultato della crisi di modelli prodotto dalla nostra cultura, che ha confinato il santo alla penombra inoffensiva di una chiesa”. E’ sempre più offuscata, secondo il giornalista, l’immagine di un uomo che si ponga in maniera propositiva nei confronti della realtà; domina, in definitiva, una prospettiva che pone in crisi l’idea autentica di libertà. “Nell’accezione generalmente accettata la santità è vista come vincolata a situazioni di eccezionalità. Pare che l’idea di santità sia ricavata solo dalle arti figurative dove questa è legata alle esigenze del simbolismo plastico che l’immortala in momenti paradigmatici dell’esistenza, in situazioni per loro natura eccezionali, come estasi o martirî”, ha proseguito Navarro-Valls. Non appare, non può in questo contesto essere raffigurata, l’esperienza quotidiana che ha condotto il personaggio a compiere scelte di eroico sacrificio o giungere alle vette della contemplazione. “Vincolare eccezionalità e santità porta così ad un allontanamento dalla realtà, sembra che il quotidiano non abbia nessun valore, tantomeno morale, è una svalutazione che conduce all’irresponsabilità”. Una prospettiva che viene capovolta dal messaggio di san Josemaría che “recupera la santità all’ampiezza del proprio orizzonte”, ha spiegato Navarro, ricordando l’espressione di Giovanni Paolo II secondo cui “riscattare la santità dal giogo dell’eccezionalità è stata la rivoluzione realizzata dal fondatore dell’Opus Dei nella Chiesa”. “Per san Josemaría il mondo non è qualcosa di estraneo, al di più un semplice scenario, ma diventa il mezzo per l’incontro con Dio”. Con lui la fede si avvicina di nuovo alla vita reale della maggioranza degli uomini e delle donne prefigurando quella che il Concilio Vaticano II avrebbe definito “vocazione universale alla santità”. Lontani da fughe nel puro spiritualismo, dal mimetismo con una realtà secolarizzata o da chiusure ghettizzanti verso il mondo, i cristiani per il santo devono realizzare il proprio ideale di vita trasformando la realtà circostante, mettendosi al suo servizio, alla ricerca di un “Dio invisibile che si trova nelle cose visibili e materiali”. “Egli ci insegna che tutto ciò che è umanamente nobile in virtù dell’Incarnazione viene divinizzato – ha concluso il giornalista – Tutto così converge verso un’unica meta, tutto diventa orazione: anche il lavoro, la vita di famiglia, l’impegno sociale. Il suo è stato un apporto immenso alla nuova teologia del laicato”.
Una visione nuova, un modo diverso di vivere e comunicare gli insegnamenti della Dottrina cristiana, che ha richiesto, come ha spiegato Mons. Palletti, un lungo iter per trovare una collocazione giuridica, uno “strumento per rendere fruibile questo grande carisma”. Nella sua relazione dedicata a illustrare le peculiarità dell’istituto della Prelatura personale il Vescovo Ausiliare ha sottolineato il legame strettissimo di questa istituzione con la Sede Apostolica – “esso è retto da statuti “fatti” della Santa Sede, come recita il Codice di Diritto Canonico” – nonché il rapporto di complementarietà e di reciproco arricchimento con le istituzioni ecclesiastiche territoriali, le Diocesi innanzitutto.
La serata si è poi conclusa con la testimonianza di Fulvia Sferrazza Papa, magistrato a Palermo, madre di quattro figli, soprannumeraria dell’Opus Dei, che ha spiegato come la propria vocazione cristiana nell’Opera l’abbia sempre aiutata a reagire con forza e positività nei confronti dei tanti problemi, grandi e piccoli, incontrati nella vita professionale e famigliare. “In anni passati a contatto con tante situazioni disagiate, se non drammatiche, che coinvolgono spesso i più piccoli e i più deboli – ha raccontato il magistrato minorile – il mio essere cristiana mi ha aiutato a capire come le nostre parole abbiano il potere di incarnarsi nella vita della gente e come attraverso di esse possiamo migliorare la realtà in cui viviamo. In un’epoca come la nostra è importante è che le nostre parole possano portare agli altri la speranza, la voglia di cambiare. L’Opus Dei è stato per me una fonte inesauribile di speranza. San Josemaría Escrivà mi ha insegnato a non avere paura del dolore e ad aiutare gli altri ad affrontarlo, a coltivare la speranza in me stessa e negli altri”. Una strada per incontrare Dio nella vita di tutti giorni, una delle tante strade aperte dalle parole di san Josemaría.
Alfredo Majo