Il mattatoio di polli e una madre di fegato

Ogni tanto mi tornano in mente due cose: la prima è legata a San Josemaría e alle sue parole sul quarto comandamento, “onora tuo padre e tua madre”, che egli chiamava il “dolcissimo precetto”; la seconda si riferisce a un intervento radiofonico.

Probabilmente gli invitati all’incontro radiofonico non avevano le idee chiare sull’Opera e io feci diverse telefonate per chiarire una serie di questioni che mi sembravano importanti. Uno degli invitati mi disse a un certo punto della conversazione:

-   Tutti i membri dell’Opus Dei hanno una laurea universitaria…

-   Veramente io lavoro in un mattatoio di polli. Il mio compito consiste nel togliere la carne dall’ala sinistra del pollo, gli risposi. E quello non seppe come andare avanti.

In seguito un tale affermò che i membri dell’Opus Dei vengono separati dai genitori. Quella volta mia madre, che ascoltava la conversazione ed è una deliziosa donna di fegato, afferrò il telefono, telefonò in diretta e disse:

-   Io sono la madre di questo ragazzo, qualche problema?…

Poi, gli anni sono passati - circa 25 anni – e siamo al secondo episodio. La vita è andata avanti e i miei genitori, grazie a Dio, abitano ancora con me. Dico con me, perché fino a tre anni fa ero io che abitavo con loro.

Nel 2002 mi ero trasferito a Pamplona per fare un dottorato e preparare la tesi dottorale, una volta conseguita la laurea in Filologia Ispanica. Perciò, dopo 42 anni, ho smesso di stare con i miei genitori.

Mia madre era un po’ delicata di salute, ma il medico di famiglia mi diceva che i sintomi che mostrava erano quelli tipici delle persone anziane. Dopo aver parlato con i miei, arrivammo alla conclusione che potevo trasferirmi in Navarra per completare gli studi. I miei genitori avevano allora 78 e 79 anni.

Due anni e mezzo dopo il mio arrivo a Pamplona, mio padre fu colpito da una trombosi cerebrale e la parte destra del corpo restò paralizzata; a mia madre, invece, dopo la visita di uno specialista, diagnosticarono un Alzheimer in una fase piuttosto avanzata.

Visto ciò che accadeva ai miei genitori, ho abbandonato gli studi di Pamplona e sono ritornato nella mia città natale per assisterli. Ho ripreso il mio lavoro di insegnante nella scuola Altocastillo, ma solo di mattina. Ho chiesto la riduzione di orario perché nel pomeriggio e la notte devo occuparmi dei miei genitori. Nelle ore in cui io sono a scuola li assiste una signora che ho assunta e quando ritorno dalla scuola raccolgo il testimone fino al giorno dopo, all’ora in cui devo andare a lavorare.

Mio padre, grazie a San Josemaría, si è ripreso in modo miracoloso. Ha ricuperato la mobilità ed è autonomo. I medici ancora non se lo spiegano; infatti mi avevano detto che sarebbe rimasto a letto fino al momento della morte. Ormai non ha più bisogno di essere aiutato.

Mia madre va perdendo a poco a poco il possesso delle sue facoltà. Ha bisogno di un’assistenza totale 24 ore su 24: bisogna alzarla dal letto, lavarla, darle da mangiare, ecc. Non riconosce più nessuno e a volte non sa dove si trova e diventa nervosa. Allora tento di calmarla e la porto a passeggio in una sedia a rotelle. Per un certo periodo di tempo la notte non riuscivamo a dormire; a volte, quando era nervosa, la portavo per strada, anche se pioveva, c’erano i tuoni, faceva freddo, o caldo, ecc.

Quelli che hanno questa malattia – gli specialisti non sanno spiegarselo – nelle ore serali diventano più irrequieti. Allora devo riempirmi di pazienza e tentare di calmarla distraendola, perché non esistono medicine capaci di tranquillizzarla. Il medico mi dice che la cosa migliore è tentare di distrarla, trattandola come un bambino di tre anni. E questo cerco di fare.

Seguendo le raccomandazioni di San Josemaría, la cosa più importante che io possa fare ora è occuparmi dei miei genitori, come essi hanno fatto con me quando ero più giovane. Prendendomi cura dei miei genitori sto facendo l’Opus Dei, perché in essi vedo Cristo, e quando sono stanco morto guardo la croce del Signore e ricordo il versetto di Matteo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24).

Man mano che passa il tempo e vado diventando più grande, per quello che vedo a scuola e per quello che mi raccontano gli amici e i conoscenti più grandi di me, mi rendo conto che non sono un martire, perché c’è gente che sta peggio di me. A queste persone cerco di dare coraggio, in modo che vedano in tutto questo la croce del Signore.

Nel paese in cui vivo siamo tredici mila abitanti, ci conosciamo quasi tutti e abbiamo creato un’associazione Alzheimer. L’amministrazione comunale ci sta dando ogni sorta di agevolazioni per portare avanti l’associazione e abbiamo preso contatti con i sacerdoti del luogo affinché assistano spiritualmente i nostri malati.

Quando vado in giro per le strade i paesani mi fermano e mi chiedono notizie dei genitori, e intanto mi incoraggiano e si congratulano per il lavoro che sto facendo per loro. Allora io mi ricordo del “dolcissimo precetto” del Decalogo di cui parlava San Josemaría e di quel mio intervento in un programma radiofonico.

Gabriel Robledillo Amezcua è un aggregato dell’Opus Dei.