Echevarría: famiglia, perno della società

Il prelato a Chieti incontra Forte e parla di convivenza e solidarietà. Celebrato il primo anniversario di una piazza intitolata al fondatore Josemaría Escrivá. Il ricordo del sacerdote teatino don Renato Mariani

«Scusate il mio italiano e se mi dilungo fatemelo capire. Smetterò ma il mio affetto per voi sarà lo stesso. Non potrebbe essere diverso: mi sento chietino». Monsignor Javier Echevarría, prelato dell'Opus Dei, colpisce per la semplicità e l'abilità nella comunicazione che cattura l'attenzione di chi ascolta in tutti i venti minuti dell'intervento all'auditorium delle Crocelle. In città per celebrare il primo anno di una piazza intitolata a san Josemaría Escrivá, fondatore dell'alta prelatura, parla di lavoro, etica e famiglia. Temi trattati in senso universale, abbattendo con semplicità tutte le barriere.

Così, non sorprende quando alla domanda sulle vignette satiriche che infiammano l'odio dell'Islam, risponde con serenità: «Occorre rispettare la coscienza delle altre persone, ascoltare e pregare. La convivenza e la solidarietà devono essere sempre più ampie. Per fare questo bisogna offrire il contributo incomparabile della fede cristiana, che invita ad amare tutti». Echevarría, massima carica dell'Opus Dei, arriva a Chieti alle 10, quando nel palazzo della curia viene accolto dall'arcivescovo Bruno Forte e dal comitato civico che ha promosso la sua visita. Alle 10.15, accompagnato da Forte, incontra diversi fedeli abruzzesi dell'Opus Dei, rappresentanti delle istituzioni civili, militari e religiose, radunate in piazza Escrivá. A salutarlo c'e il sindaco Francesco Ricci. Poi il corteo muove alla volta delle Crocelle, dove è in programma l'incontro con la cittadinanza. L'auditorium è gremito. La mattinata si divide tra ironia e serietà. Alle 10, in piazza Escrivá, il prelato non esita a sdrammatizzare l'imbarazzo di un bimbo che arrossisce e si pietrifica per l'emozione davanti a Echevarría e a monsignor Forte. «Saluta don Bruno. E' più di un padre e di una madre», gli dice e l'arcivescovo gli fa spalla: «Forse, sarebbe il caso che cominciassi a togliermi qualche copricapo un pò troppo ufficiale».

Poi il tono si fa serio alle Crocelle. «Quale messaggio può derivare da questa giornata che ricorda la vicinanza di Escrivá», si chiede Forte e subito risponde: «Per essere santi non bisogna evadere dal mondo. Era il suo messaggio, che è universale, e ci dice che non si può costruire una società più vera e giusta senza rigore morale». Contenuti che riecheggiano più tardi nelle parole di Echevarría. «Serve lavorare bene», sottolinea il prelato, «con impegno, serietà, competenza tecnica e professionale, nella consapevolezza che si contribuisce alla crescita della comunità umana. La dignità del lavoro si fonda sull'amore».

Parla della famiglia, perno centrale della società. «Oggi nel mio paese", racconta, «si aboliscono leggi che la proteggono, per introdurne altre che la minano». Torna a sorridere quando ricorda don Renato Mariani, quel sacerdote teatino così vicino a Escrivá che, nel salutarlo, alzava due dita a significare: «Renato vale doppio», dice Echevarría «l'ho conosciuto. Della gente di questa terra aveva tutte le caratteristiche: operosi, prudenti, semplici, infaticabili e un po' bassi di statura come me. Ma questo non e importante».

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