Sono passati 50 anni dalla morte di san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei. Per chi ha avuto la grazia di abitare nella sua stessa casa, a Roma nel 1975, questo mezzo secolo sembra assai breve. Vederlo lasciare questo mondo da un giorno all’altro, mentre svolgeva normalmente la sua missione di pastore e di fondatore, rese ancora più forte l’impatto della sua morte. Già allora ci rendevamo conto che il “Padre”, come eravamo soliti chiamarlo familiarmente, era un solido punto d’appoggio per la vita e la gioia di molti cattolici del suo tempo.
Sulla scorta di un amore appassionato per Cristo e di una viva esperienza di che cosa significhi essere figli di Dio, riscoprì e predicò per tutta la vita alcuni messaggi oggi ampiamente diffusi nella Chiesa e nella società, al di là dell’istituzione da lui fondata, tra i quali voglio citare la ricerca della santità – incontro con Cristo – nelle circostanze ordinarie professionali e familiari e nelle relazioni sociali; l’amicizia personale come via di convivenza e di evangelizzazione; il valore della libertà e del pluralismo; il ruolo da protagonisti dei laici nella missione della Chiesa e nella vivificazione della società contemporanea.
Considerando il tempo trascorso, è facile notare quante iniziative educative e sociali a beneficio di ogni genere di persone, ispirate ai suoi insegnamenti, sono sorte in tutto il mondo. Tuttavia, direi che l’effetto più rilevante dell’esempio e del messaggio di san Josemaría è di aver ispirato centinaia di migliaia di persone ad avvicinarsi a Cristo attraverso le normali attività di ogni giorno. Se ne può ravvisare la sintonia con ciò che papa Francesco ha detto dei “santi della porta accanto”, persone che esercitano un’influenza profonda attorno a sé, spesso senza attirare l’attenzione, con la naturalezza di chi è vicino a Dio e irradia a piene mani il suo amore.
San Josemaría nelle parole dei Papi
Oggi il carisma che san Josemaría ha ricevuto da Dio continua a moltiplicarsi in storie di vita, atteggiamenti, gesti, iniziative. Per approfondire il nucleo del suo messaggio a servizio della Chiesa, mi servirò come filo conduttore di alcune considerazioni degli ultimi papi. In primo luogo, l’allora Patriarca di Venezia, poi Giovanni Paolo I, osservava: “Escrivá, con il Vangelo, ha detto continuamente: Cristo non vuole da noi solo un po' di bontà, ma tanta bontà. Vuole però che la raggiungiamo non attraverso azioni straordinarie, bensì con azioni comuni” (Il Gazzettino, Venezia, 25-VII-1978).
Fin da quando san Josemaría iniziò a diffondere il suo messaggio nel 1928, affermava che per trovare Cristo ed evangelizzare il mondo non era necessario cambiare posto, professione o ambiente o compiere azioni straordinarie, ma mettere amore di Dio nelle azioni comuni. Si tratta, soprattutto, di una trasformazione interiore in Cristo, che coinvolge totalmente il cuore e riempie tutta l’anima (Mt 22,37; Lc 10,27). Come amava ripetere, “Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell'orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria” (Colloqui, n. 116). In continuità con questa idea, ci invitava a considerare che ciò di cui c’è bisogno per percorrere questo cammino “non è una vita comoda, ma un cuore innamorato” (Solco, n. 795).
Il giorno dopo la sua canonizzazione, san Giovanni Paolo II definì Josemaría Escrivá il “santo dell’ordinario”. In un’altra occasione, aggiunse che aveva ricordato al mondo contemporaneo “il valore cristiano che può assumere il lavoro professionale, nelle circostanze ordinarie di ciascuno” (14-X-1993).
Un ideale di servizio, un eroismo possibile
In un mondo sofisticato, in cui l’interconnessione digitale e l’intelligenza artificiale impongono anonimamente le loro regole nell’ambito professionale, come sottolinea un recente documento della Conferenza Episcopale Tedesca, il messaggio di san Josemaría ci ricorda che il lavoro è mezzo per unirci a Dio e aiutare il prossimo, punto di convergenza di carità e giustizia. Estraneo alle logiche del successo, l’ideale cristiano del lavoro si realizza nel servizio agli altri: è questo il miglior parametro della professionalità di un cristiano.
Nell’omelia di una Messa di ringraziamento per la beatificazione, l’allora cardinale Ratzinger (poi Benedetto XVI) affermava che “Josemaría Escrivá ha scosso le persone da questa apatia spirituale: no, [la] santità (…) non consiste in gesta di un imprecisato e irraggiungibile eroismo, ha migliaia di forme; può essere realizzata in ogni stato e condizione” (19-V-1992). Santificare le circostanze ordinarie non significa che scompariranno i difetti personali o che nella vita andrà tutto bene. San Josemaría diceva spesso che faceva la parte del figlio prodigo molte volte al giorno. Anche questo fa parte della vita ordinaria: affrontare i propri limiti e confidare nella misericordia di Dio, evitando che il peccato ci rinchiuda in noi stessi.
Un modello di servizio del prossimo nel proprio mestiere è un personaggio abitualmente trascurato della parabola del buon samaritano: l’albergatore. Il suo ruolo resta in secondo piano rispetto al gesto impressionante del viandante caritatevole. L’albergatore agisce semplicemente con professionalità. Eppure, il suo contributo è fondamentale. Ci ricorda che l’esercizio di qualsiasi attività professionale è servizio a chi si trova nel bisogno, e che ogni lavoro onesto racchiude, se impariamo a riconoscerla, una dimensione di carità.
Dono ricevuto in proiezione futura
In Ad charisma tuendum, papa Francesco ricordava che “il dono dello Spirito ricevuto da san Josemaría” spinge ad attuare “il compito di diffondere la chiamata alla santità nel mondo, attraverso la santificazione del lavoro e degli impegni familiari e sociali”. È un messaggio proiettato verso il futuro e universale: per tutte le persone, in ogni luogo e tempo. Tutti possiamo essere amici di Dio, perché “la Trinità si è innamorata dell'uomo” (È Gesù che passa, n. 84). In virtù di questa amicizia sarà possibile contribuire “alla pace, alla mutua collaborazione degli uomini, alla giustizia, a evitare le guerre, l’isolamento, l’egoismo nazionale e gli egoismi personali, perché tutti si renderanno conto di far parte della grande famiglia degli uomini (...). Contribuiremo così a eliminare l’angoscia, il timore di un futuro di rancori fratricidi e a consolidare nelle persone e nella società la pace e la concordia: la tolleranza, la comprensione, la relazione, l’amore” (Lettera n. 3, 38a-38b).
A cinquant’anni dalla sua morte, il messaggio di san Josemaría è vivo nei nostri cuori e ci invita a servire Dio, la Chiesa e la società. Ci auguriamo di saper custodire questo messaggio, incarnarlo con gioia e metterlo al servizio delle necessità dei nostri contemporanei. Con papa Leone XIV, noi cristiani desideriamo costruire “una Chiesa fondata sull’amore di Dio e segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità”.