Opus Dei, ottant'anni di santità quotidiana

Nell'ottantesimo anniversario della fondazione dell'Opus Dei, Mons. Lucio Norbedo, Vicario dell'Opera in Italia, ha scritto un articolo per Avvenire ricordando il messaggio che san Josemaría predicò dal 2 ottobre 1928.

Mons. Lucio Norbedo

Vicario Regionale dell’Opus Dei in Italia

Nel recente discorso agli intellettuali francesi il Santo Padre ha ricordato come i monaci medievali hanno fondato la cultura occidentale. Il loro proposito non era di tipo culturale, la loro intenzione era unicamente il “quaerere Deum”, cercavano Dio attraverso lo studio e il lavoro. Da questo impegno è nata una nuova civiltà.

San Josemaría Escrivá ha esortato i comuni cristiani, laici nella maggior parte, a impegnarsi in modo simile. “Quaerere Deum” cercare Dio nelle più normali attività quotidiane giungendo ad essere dei “contemplativi in mezzo al mondo”, con mentalità laicale ma con un animo sacerdotale, offrendo a Dio un lavoro possibilmente fatto bene e con cuore.

Giunti all’ottantesimo compleanno dell’Opus Dei che cade il 2 ottobre di quest’anno, si potrebbe fare un bilancio della ricaduta culturale che questo messaggio ha provocato.

Qual è l’influsso dell’Opus Dei sulla società?

Si potrebbe tentare una risposta dicendo che l’Opera contribuisce a umanizzare l’Occidente del benessere e a professionalizzare quella parte del mondo che soffre il ritardo dello sviluppo.

Per quanto riguarda l’Occidente è evidente la sensazione che la nostra civiltà abbia perso un “pezzo” di cuore. Un profondo rapporto con Dio aiuta invece ad essere più umani, ridando cittadinanza al senso dell’amicizia, alla fedeltà negli impegni coniugali, alla lealtà nei rapporti professionali.

Ad esempio, quando andava a trovarlo una coppia di sposi, San Josemaría si rivolgeva al marito e gli chiedeva: “Sai come si chiama la tua strada per giungere al Cielo?”. Dopo un momento di silenzio, aggiungeva: “Si chiama col nome di tua moglie”. E, viceversa, rivolgeva alla moglie la stessa domanda indicando il nome del marito. Questa battuta ha una grande profondità. La santità percorre la strada dell’amore, cominciando da quello coniugale. E più in generale cominciando dalle persone che ci stanno accanto.

“Per un apostolo moderno un’ora di studio è un’ora di orazione” recita il punto 335 di Cammino, il suo libro più noto di considerazioni spirituali. L’impegno, il lavoro non sono motivati dal desiderio di autoaffermazione, ma dal desiderio di servire. Sono un modo di corrispondere all’amore di Dio. Ecco che l’impegno professionale si rasserena e scompare l’angoscia della necessità del successo e dell’autoaffermazione, tipiche della cultura dominante.

In paesi come quelli europei, a basso tasso di natalità, sono sorte famiglie numerose che, incoraggiate dallo spirito dell’Opera, si son mantenute unite, malgrado tante difficoltà, e sono diventate felici e feconde.

Dove la competizione e lo yuppismo sembrano la regola, si trovano, grazie a questo stile cristiano di vita, persone capaci di amicizia, che sentono la gioia di darsi agli altri. La stessa cultura della violenza viene messa fuori gioco da chi considera e stima la persona.

In questo senso si può dire che l’Occidente viene umanizzato.

Viceversa, per quanto riguarda il mondo meno sviluppato, la prospettiva di santificazione del lavoro porta con sé un impegno per organizzare meglio la propria vita, esercitando per amore di Dio tutta una serie di virtù umane.

La regione di Yauyos in Perù fu affidata dalla Santa Sede all’Opus Dei a fine anni ’50. Non vi rimaneva nemmeno un minimo di organizzazione ecclesiastica. San Josemaría inviò un gruppetto di giovani preti guidati da un chirurgo basco diventato sacerdote, un tipo energico alla John Wayne. A cavallo percorsero i pericolosi sentieri di quei paesi andini, celebrando matrimoni, battezzando, confessando e dicendo Messa. Utilizzarono gli aiuti alimentari che arrivavano dai paesi sviluppati per incentivare gli uomini al lavoro. A furia di dinamite i sentieri divennero strade percorribili in jeep. L’economia cominciò a funzionare. Si aprì una scuola per contadini.

Monkole, ospedale per bambini, a Kinshasa in Congo, è stato messo su da membri dell’Opus Dei con i loro amici. Non si limita a curare i piccoli della zona. Ha creato una scuola per migliorare la professionalità di medici e infermiere, con frequenti scambi con l’Europa.

Sono esempi eloquenti di un lavoro silenzioso ed efficace che umanizza le zone ricche del pianeta e professionalizza quelle povere, un lavoro in cui si riflette la fecondità di uno spirito che porta a imitare, pur con i limiti propri di ognuno, la pienezza umana e soprannaturale di Colui che è perfetto Dio e perfetto uomo, Gesù Cristo.

Il Cardinal Angelo Bagnasco nella sua omelia del 26 giugno scorso, festa di San Josemaría, ha osservato: “esistono cose grandi, grandi imprese... Ma la storia profonda è quella che si declina, che si incarna, che si incide come lo stilo nella pietra, giorno dopo giorno nelle piccole cose ripetute, nei doveri quotidiani. Non nell’eclatanza, ma nella ferialità dei nostri giorni. Il Vangelo che San Josemaría ha intuito – potremmo dire ha catturato – si muove in questa precisa prospettiva di vivere la parola del Maestro in ogni piccolo gesto e attività della giornata”.

    Avvenire