Nel Ciad “tutti pregano molto, musulmani e cristiani”

Mons. Rubén Darío Ruiz è argentino, sacerdote diocesano e membro della diplomazia vaticana. Attualmente, come inviato dalla Santa Sede, vive nella Repubblica del Ciad, al centro del continente africano. Ci racconta le sue esperienze in prima persona.

Ubicazione del Chad in Africa

Da alcuni mesi ho la gioia di trovarmi nella Repubblica del Ciad. È la prima volta che un diplomatico vaticano risiede qui, per cui mi trovo nella lunga fase di ambientamento.

Per il momento la mia residenza è precaria. Il personale e i mezzi a disposizione sono scarsi. Però, come sappiamo bene, la nostra forza non sta nei mezzi, ma in Dio. Sappiamo che ci vuole pazienza, soprattutto finché non si raggiungano le condizioni ottimali, però mi hanno mandato proprio per questo: per cominciare.

Vivo nella città di N’Djaména, che in arabo chadí significa “luogo di riposo”.  È la capitale del Ciad e si trova nel Sahel, la striscia di territori che compongono l’area di transizione dal deserto del Sahara alla savana africana.

Questa posizione geografica permette di contemplare durante la stagione arida lo spettacolo della transumanza: il passaggio a piedi attraverso la città che, sotto un sole cocente e con temperature che superano i quaranta gradi, compiono le tribù nomadi dal nord alla volta del sud con migliaia di cammelli, buoi e capre.

Un paese dalle realtà contrapposte

La Chiesa Cattolica qui è molto giovane, ha poco più di 70 anni, non fa che crescere e conta varie migliaia di catecumeni.

Il Ciad è un paese straordinariamente interessante, dalle realtà contrapposte: abbiamo sabbia in abbondanza e contemporaneamente splendide aree verdi; povertà e petrolio; musulmani, cristiani e animisti; tribunali tradizionali (un tipo di amministrazione precedente alla colonizzazione) e tribunali di tipo occidentale; sultani e capi tribù; due lingue ufficiali e più di 100 lingue locali; un passato (anche assai recente) zeppo di guerre fratricide e un presente abbastanza calmo; scuole cattoliche, coraniche e dello Stato, insieme ad antichi riti di iniziazione: folklore, etnie e culture quanto mai diverse, distribuite in una popolazione di solo 11.275.000 persone.

Alcune settimane fa sono andato ad ascoltare una conferenza-dibattito in un centro cattolico di dialogo interreligioso. La cosa strana era che, in realtà, il 95% dei presenti erano musulmani.

Tutti mostravano un grande interesse al tema che si discuteva e partecipavano con domande e commenti.

A richiamare la mia attenzione è stato il fatto che al tramonto la conferenza si è interrotta e tutti si sono alzati per le preghiere indicate dall’Islam. L’interruzione è avvenuta con assoluta spontaneità e, terminati i riti obbligatori, le attività sono riprese con la stessa naturalezza con la quale erano state interrotte.

La diversità linguistica [...] zone complica non poco il lavoro di evangelizzazione. Ho conosciuto parrocchie nelle quali vengono usate fino a sette lingue assai diverse tra loro.

Dato che io non potevo rimanere solo nella sala, come un pagano che non sa pregare, me ne sono andato per mio conto a recitare il rosario e sono ritornato quando la maggioranza è ritornata. Mi sono detto, allora, con una certa sorpresa: «Si vede che hanno un “piano di vita” e lo compiono con assoluta naturalezza», e mi sono ricordato delle chiare parole di san Josemaría: «Realizzerai questo programma [di vita interiore], figlio mio, se non tralasci, a nessun costo!, i tuoi tempi di orazione» (Forgia, n. 737).

Un aiuto fruibile da tutte le persone

Le mattine sono molto lunghe e produttive. Tutte le mattine ricevo l’improvviso aiuto gratuito del muezzin della vicina moschea, che alle 4,45 intona dal minareto la prima adhan (chiamata alla preghiera). Questa “sveglia”, tra l’altro, mi serve per pregare per la conversione del muezzin mattiniero.

Ho già iniziato i viaggi all’interno del paese per visitare le diocesi e le parrocchie e per incontrare i vescovi, i missionari, il clero e i fedeli laici. La Chiesa Cattolica qui è molto

giovane, ha poco più di 70 anni, non fa che crescere e conta varie migliaia di catecumeni.

Secondo l’ultimo indice di sviluppo pubblicato dalle Nazioni Unite, il Ciad occupa il 163° posto tra i 169 paesi che compongono l’elenco; e nello stesso tempo – a causa della speculazione dovuta al petrolio – la sua capitale è – com’è indicato da alcuni studi – una delle città più care del mondo.

Per questi motivi la Chiesa, con i suoi pochi mezzi, dà un importante aiuto alla popolazione grazie ai suoi centri di alfabetizzazione, scuole, ambulatori e ospedali. Per me è stata un’esperienza del tutto nuova visitare e rivolgere alcune parole agli alunni di alcune scuole cattoliche, nelle quali il 90% degli studenti sono musulmani.

Quest’apertura delle attività sociali della Chiesa costituisce nel paese una delle grandi differenze rispetto alle istituzioni assistenziali organizzate dalle altre confessioni religiose.

La diversità linguistica in alcune zone complica non poco il lavoro di evangelizzazione. Ho

conosciuto parrocchie nelle quali vengono usate fino a sette lingue assai diverse tra loro. Questo rende l’attività pastorale quanto mai complicata anche per i sacerdoti locali. Quando visito una di queste parrocchie cerco di essere breve e chiaro, perché quando cominciano le traduzioni nelle varie lingue non si finisce mai... e inoltre, non sempre si è sicuri che i “traduttori” che si trovano nei villaggi abbiano capito bene quello che è stato detto.

Consuetudini locali

È stata un’esperienza del tutto nuova visitare e rivolgere alcune parole agli alunni di alcune scuole cattoliche, nelle quali il 90% degli studenti sono musulmani.

Quando si arriva in un luogo, nella maggioranza dei casi dopo centinaia di chilometri in macchina, la consuetudine locale impone un semplice rituale, che consiste nel rimanere

seduto (malgrado che uno in realtà non desideri altro che mettersi in piedi) e bere almeno un bicchiere d’acqua.

Dopo questi adempimenti, che includono i saluti speciali alle persone più importanti, il dialogo si svolge con grande spontaneità. Il pranzo ha i suoi riti che variano da regione a regione.

Alcune consuetudini mi sono apparse del tutto nuove; per esempio, il padrone di casa non tocca cibo finché tutti i suoi ospiti non abbiano finito di mangiare l’ultima portata. In generale,

le pietanze si mangiano con le mani, attingendo a un solo grande piatto dal quale si servono tutti i commensali; inoltre gli uomini mangiano in una stanza diversa da quella delle donne. In quelle famiglie nelle quali c’è un solo uomo, questi non mangia insieme alla moglie, ma invita un amico o un vicino di casa oppure va a casa loro per non mangiare da solo.

La vita di famiglia si svolge all’aria aperta. Soprattutto in campagna, dove le case sono ben poche: nel nord si tratta di tende e nel sud di capanne. In entrambi i casi, si tratta di un solo

ambiente, molto piccolo e senza finestre. In realtà, sia le tende che le capanne non sono concepite per abitare in esse, ma soltanto per dormire e conservare le poche cose che si posseggono.

Una profonda sete di Dio

È vero che, trattandosi di una evangelizzazione molto recente, sono ancora molto diffusi vari elementi di superstizione, ma è anche vero – e sono stato veramente felice di notarlo – che

c’è una profonda sete di Dio. Qui tutti pregano molto: musulmani e cristiani; e tutti vogliono conoscere meglio Dio e imparare.

In ognuno dei Paesi nei quali finora sono stato inviato (Congo, Gabon, Slovenia, Macedonia, Svizzera, Liechtenstein, Cuba e Ciad), quanto mi aiuta sempre a capire le culture e a

vivere intensamente il mio ministero in mezzo a gente tanto diversa quello che ci ha insegnato san Josemaría: «Il mondo ci aspetta. Sì!, amiamo appassionatamente questo mondo perché Dio ce l’ha insegnato: “ Sic Deus dilexit mundum... ” – così Dio ha amato il mondo; e perché è il luogo del nostro campo di battaglia – una bellissima guerra di carità -, affinché tutti

raggiungiamo la pace che Cristo è venuto a instaurare» ( Solco 290).