Lettere di Mons. Orbegozo da Yauyos

Il libro “Fuentes para la historia del Opus Dei” contiene alcune lettere di Orbegozo, datate 1958, epoca in cui era Prelato di Yauyos. Eccone alcuni brani.

[...] Puoi immaginare la mia gioia, il mio orgoglio e tutto quello che vuoi, per questi sacerdoti che sono eroici oltre ogni dire, allegri, umili e docili. Non conoscono ostacoli, niente è difficile, tutto è possibile! Per me sono uno stimolo continuo e fonte di una pace meravigliosa. Un altro grande miracolo della Grazia...!

Quando penso che presto saremo in venti, la missione mi diventa piccola. Ora sono cinque e si occupano con una incredibile mobilità, date le distanze e le difficoltà delle strade, di più di 100 chiese sparse in 16.000 kmq.! In base ai dati statistici della Curia (e al giornale dei viaggi e delle attività che compiliamo), rilevavo ieri - e ne gioivo con tutta l’anima - che in questi mesi di lavoro abbiamo fatto, fra l’altro, circa seimila battesimi. È vero che non si può fare a meno di amarli con tutto il cuore?

Sono l’ammirazione di questa gente: non chiedono nulla, si accontentano sempre, mangiano quello che ricevono, dormono in un angolino oppure mentre cavalcano, non smettono mai di servire i fedeli, di occuparsi di loro, di amarli. Questa è la grazia e la garanzia del successo del loro lavoro! Ora, quando leggo di S. Paolo e delle sue peripezie evangeliche, e poi guardo questi miei fratelli, provo un’invidia e una voglia tremenda di imitarli [...].

[...] Tutti i miei preti sono in gamba grazie a Dio, alla Regina dei Viandanti e al Santo Angelo Custode. Non lo dico tanto per dirlo: appena arrivati dovettero cominciare a conoscere e poi a occuparsi della parte di territorio che era toccato loro in sorte. All’inizio e per alcuni giorni li accompagnavo io (mentre imparavano a montare a cavallo e s’impratichivano delle strade); poi, ognuno per i fatti suoi, ogni giorno. Poco dopo uno di loro, un galiziano, cadde da cavallo e quando si svegliò si ritrovò solo, con tutto il corpo indolenzito e a più di quattro ore di cammino dal primo centro abitato, che dovette raggiungere a piedi, perché non era neppure in condizioni di rimontare a cavallo...

Mi avvisarono (io ero lontano) e siccome non ci sono medici e non si sapeva che cosa poteva avere internamente (la notizia giuntami era che “il prete aveva picchiato duro”) feci più presto che potei: quindici ore a cavallo a marce forzate. Lo trovai contento e soddisfatto, lo osservai bene e non aveva nulla di grave; me lo portai a Yauyos, lo lasciai là “a riposare e disintossicarsi” per un paio di settimane, e poi... di nuovo sulle montagne.

Ora mi dicono che monta a cavallo molto meglio ed è più sicuro che mai, che “l’Angelo Custode gli ha insegnato di più con quella botta che un maestro di equitazione in dieci anni”. È la verità: tutti abbiamo imparato alla stessa scuola e con lo stesso maestro”.