Il 2 ottobre 1928 il sacerdote spagnolo San Josemaría Escrivá fondava l’Opus Dei

Ottant’anni fa nasceva una realtà ecclesiale che riunisce oggi 86 mila laici e 2000 sacerdoti. Il teologo ticinese don Arturo Cattaneo membro dell’Opus Dei, sull’ideale di un cammino cristiano nella quotidianità diffuso in tutto il mondo e vissuto da gente di ogni professione.

Il 2 ottobre 1928 il vostro fondatore, san Josemaría, riceve l’illuminazione sull’Opera. In quali circostanze e cosa scoprì?

Era raccolto in preghiera durante gli esercizi spirituali, quando improvvisamente le diverse ispirazioni che Dio gli aveva concesso fin dall’adolescenza acquistarono un contorno preciso. «Il Signore - raccontava - improvvisamente mi fece “vedere” l’Opus Dei e da quel momento in poi tutta la mia vita non ha avuto altro fine che quello di realizzarlo». Dio gli chiedeva di ricordare che tutti, senza eccezioni, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e all’apostolato, proprio in mezzo e attraverso le circostanze della vita di tutti i giorni e, in modo particolare, del lavoro. Si capisce così perché Giovanni Paolo II lo chiamò “il santo dell’ordinario”.

Quali sono le caratteristiche dell’Opus Dei e chi può farne parte?

L’Opus Dei è costituito da cristiani comuni che, seguendo una vocazione specifica, si impegnano a vivere e a diffondere il messaggio di Cristo, ognuno nel proprio ambiente familiare, sociale e professionale. Le persone che si avvicinano all’Opus Dei ricevono una formazione cristiana e una direzione spirituale personale che li aiutano a vivere questa ricerca della santità e dell’apostolato nella vita di ogni giorno. Come osservò il nostro Prelato, «non ci consideriamo migliori o diversi dagli altri, sentiamo invece l’obbligo di vivere con radicalità la fede in ogni momento».

Come si fa ad aderirvi?

All’Opus Dei non ci si iscrive, si viene chiamati da Dio con una vocazione specifica. Trattandosi di una vocazione, essa va riconosciuta e attentamente vagliata. Questo avviene entrando in contatto con la realtà dell’Opus Dei e attraverso il giudizio dei responsabili. Di fondamentale importanza è aver chiaro che essere dell’Opera non cambierà la propria situazione né dal punto di vista famigliare né da quello professionale, dato che si insegna a cercare la santità proprio nelle cose ordinarie.

Lei, come ha incontrato l’Opus Dei?

Durante gli studi di architettura al Politecnico di Zurigo. Ho apprezzato soprattutto proprio l’idea a cui accennavo, cioè che il lavoro - per me allora lo studio - non era solo una necessità, a volte faticosa, ma un’occasione di incontro con Cristo: un’occasione di santità e di apostolato.

Che tipo di sostegno offre l’Opus Dei alle famiglie che intendono farne parte?

All’Opus Dei appartengono singoli individui, perché la vocazione è personale. Ciò non toglie naturalmente che ci siano famiglie in cui più di una persona faccia parte dell’Opera. La formazione che si riceve aiuta perciò a convivere, ad essere un buon padre, madre, figlio, e ad avere un grande rispetto per la libertà e le scelte altrui.

Perché è importante che i fedeli si aggreghino, scelgano una strada precisa in parrocchia o in un movimento o in un’associazione o nell’Opus Dei. Non basta “andare a Messa”?

L’importante è che ognuno cerchi di comprendere e di compiere la volontà di Dio - che ci ama e vuole la nostra felicità - in ogni momento e circostanza della vita. Per questo il Signore ci viene incontro e ci aiuta in tanti modi, primo fra tutti con la S. Messa. Ma Gesù ci aiuta anche per mezzo dei molteplici doni del suo Spirito - i doni carismatici -, che danno vita ad altrettante realtà ecclesiali: istituti di vita consacrata, movimenti o anche, appunto, una realtà come l’Opus Dei. La vita cristiana non è mera osservanza di un minimo di norme ma un cammino d’amore, di corrispondenza al suo amore.

Cosa è cambiato in questi 80 anni?

Nella sostanza nulla: l’Opus Dei si è diffuso nei cinque continenti, il suo messaggio si è inculturato nei luoghi più diversi e il suo spirito è vissuto da gente di ogni professione. Nel 1982, dal punto di vista giuridico, c’è poi stato un cambio importante. Diventando prelatura personale l’Opus Dei ha trovato la configurazione giuridica che si adegua pienamente alle sue caratteristiche.

Quali sono le caratteristiche di una prelatura personale?

È una struttura pastorale transdiocesana (che opera cioè in varie diocesi) destinata ad attuare peculiari opere pastorali. In ambito diocesano esistono da tempo strutture pastorali di tipo non territoriale ma personale (parrocchie personali, cappellani al servizio di scuole, ospedali…). Per comprendere la convenienza di una prelatura personale occorre tener presente le nuove sfide pastorali provenienti dall’accresciuta mobilità umana. Con questa figura la Chiesa ha creato una struttura flessibile in grado di svolgere peculiari compiti pastorali. Naturalmente deve trattarsi di necessità pastorali che, per la loro importanza e le loro caratteristiche, sono tali da non essere facilmente soddisfatte dalle singole diocesi.

Come si è giunti ad ottenere questo statuto e perché è adatto all’Opus Dei?

L’Opus Dei ha dovuto percorrere un lungo cammino per giungere alla sua attuale configurazione. All’inizio era un’associazione di fedeli, poi divenne una società di vita apostolica e quindi un istituto secolare. Tutte configurazioni che furono accolte in mancanza di meglio, ma non erano adeguate per diversi motivi: l’associazione di fedeli non permette l’incorporazione di sacerdoti, poiché in una associazione di fedeli possono esserci sacerdoti, ma non dediti interamente al servizio ministeriale in favore dell’ente e governati da un unico pastore; la società di vita apostolica e l’istituto secolare, richiedendo la professione dei voti, non garantiscono la radicale secolarità e nemmeno l’unità, dato che in essi non è prevista un’unità di governo ma indipendenza fra ramo maschile e femminile. La prelatura personale garantisce invece l’incardinazione dei sacerdoti, la secolarità dei membri e l’unità di governo.

Che rapporto esiste tra il fedele che fa parte dell’Opus Dei e la diocesi di appartenenza. Prevale l’Opera o l’appartenenza alla Chiesa locale?

Non esiste nessuna contrapposizione fra le due appartenenze, bensì complementarità, nel senso che i membri dell’Opera continuano ad essere fedeli della rispettiva diocesi e parrocchia. Inoltre la formazione spirituale e apostolica che viene offerta nell’Opus Dei accresce in loro l’amore e il desiderio di servire la Chiesa e, concretamente, la rispettiva diocesi e parrocchia.

    Giornale del Popolo (Lugano, Svizzera), 2 ottobre 2008, intervista di CRISTINA VONZUN