48. La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore. In questo caso il cuore di carne è assunto come immagine o segno privilegiato del centro più intimo del Figlio incarnato e del suo amore insieme divino e umano, perché più di ogni altro membro del suo corpo è «l’indice naturale, ovvero il simbolo della sua immensa carità»[28].
L’ADORAZIONE DI CRISTO
49. È indispensabile sottolineare che ci relazioniamo con la Persona di Cristo, nell’amicizia e nell’adorazione, attratti dall’amore rappresentato nell’immagine del suo Cuore. Veneriamo tale immagine che lo rappresenta, ma l’adorazione è rivolta solo a Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità, per lasciarci abbracciare dal suo amore umano e divino.
50. Al di là dell’immagine utilizzata, è certo che il Cuore vivo di Cristo – mai un’immagine – è oggetto di adorazione, perché è parte del suo corpo santissimo e risorto, inseparabile dal Figlio di Dio che lo ha assunto per sempre. È adorato in quanto «Cuore della Persona del Verbo, al quale è inseparabilmente unito»[29]. Non lo adoriamo isolatamente, ma in quanto con questo Cuore è il Figlio stesso incarnato che vive, ama e riceve il nostro amore. Pertanto, ogni atto d’amore o adorazione del suo Cuore è in realtà «veramente e realmente tributato a Cristo stesso»[30], poiché tale figura rimanda spontaneamente a Lui ed è «simbolo e immagine espressiva dell’infinita carità di Gesù Cristo»[31].
51. Per questo motivo nessuno dovrebbe pensare che questa devozione possa separarci o distrarci da Gesù Cristo e dal suo amore. In modo spontaneo e diretto ci indirizza a Lui e a Lui solo, che ci chiama a una preziosa amicizia fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione. Questo Cristo dal cuore trafitto e ardente è lo stesso che è nato a Betlemme per amore; è quello che camminava per la Galilea guarendo, accarezzando, riversando misericordia; è quello che ci ha amati fino alla fine aprendo le braccia sulla croce. Infine, è lo stesso che è risorto e vive glorioso in mezzo a noi.
LA VENERAZIONE DELLA SUA IMMAGINE
52. Va notato che l’immagine di Cristo con il suo cuore, pur non essendo in alcun modo oggetto di adorazione, non è una tra le tante che potremmo scegliere. Non è qualcosa di inventato a tavolino o disegnato da un artista, «non è un simbolo immaginario, è un simbolo reale, che rappresenta il centro, la fonte da cui è sgorgata la salvezza per l’umanità intera»[32].
53. C’è un’esperienza umana universale che rende unica tale immagine. È indubitabile, infatti, che nel corso della storia e in varie parti del mondo il cuore sia diventato simbolo dell’intimità più personale e anche degli affetti, delle emozioni, della capacità di amare. Al di là di ogni spiegazione scientifica, una mano posata sul cuore di un amico esprime un affetto speciale; quando ci si innamora e si sta vicino alla persona amata, il battito del cuore accelera; quando si subisce l’abbandono o l’inganno da parte di una persona cara, si sente come una forte oppressione sul cuore. Del resto, per esprimere che qualcosa è sincero, che viene davvero dal centro della persona, si dice: “Te lo dico di cuore”. Il linguaggio poetico non può ignorare la forza di queste esperienze. È quindi inevitabile che attraverso la storia il cuore abbia raggiunto una capacità simbolica unica, non meramente convenzionale.
54. Si comprende allora che la Chiesa abbia scelto l’immagine del cuore per rappresentare l’amore umano e divino di Gesù Cristo e il nucleo più intimo della sua Persona. Tuttavia, benché il disegno di un cuore con fiamme di fuoco possa essere un simbolo eloquente che ci ricorda l’amore di Gesù, è conveniente che questo cuore faccia parte di un’immagine di Gesù Cristo. In tal modo risulta ancora più significativa la sua chiamata a una relazione personale, di incontro e di dialogo[33]. Quell’immagine venerata di Cristo, dove risalta il suo cuore amoroso, ha nello stesso tempo uno sguardo che chiama all’incontro, al dialogo, alla fiducia; ha mani forti capaci di sostenerci; ha una bocca che ci rivolge la parola in modo unico e personalissimo.
55. Il cuore ha il pregio di essere percepito non come un organo separato, ma come un intimo centro unificatore e, allo stesso tempo, come espressione della totalità della persona, cosa che non succede con altri organi del corpo umano. Se è il centro intimo della totalità della persona, e quindi una parte che rappresenta il tutto, possiamo facilmente snaturarlo se lo contempliamo separatamente dalla figura del Signore. L’immagine del cuore deve metterci in relazione con la totalità di Gesù Cristo nel suo centro unificatore e, contemporaneamente, da quel centro unificatore, deve orientarci a contemplare Cristo in tutta la bellezza e la ricchezza della sua umanità e della sua divinità.
56. Questo va al di là dell’attrattiva che possono avere le varie immagini realizzate del Cuore di Cristo, perché, davanti alle immagini di Cristo, non «dobbiamo chiedere loro qualcosa», né «dobbiamo riporre la nostra fiducia nelle immagini, come facevano i pagani nei tempi antichi», ma «attraverso le immagini che baciamo e davanti alle quali ci scopriamo il capo e ci prostriamo, adoriamo Cristo»[34].
57. Inoltre, alcune di queste immagini possono sembrarci poco attraenti e non muoverci granché all’amore e alla preghiera. Questo è secondario, poiché l’immagine è solo una figura motivante e, come direbbero gli orientali, non bisogna fissare il dito che indica la luna. Mentre l’Eucaristia è presenza reale da adorare, in questo caso si tratta solo di un’immagine che, pur essendo benedetta, ci invita ad andare oltre, ci orienta a elevare il nostro cuore a quello di Cristo vivo e a unirlo a Lui. L’immagine venerata invita, indica, emoziona, affinché dedichiamo un tempo all’incontro con Cristo e alla sua adorazione, come ci sembra meglio immaginarlo. In questo modo, guardando l’immagine ci poniamo di fronte a Cristo, e dinanzi a Lui «l’amore si raccoglie, contempla il mistero e lo assapora in silenzio»[35].
58. Detto tutto questo, non dobbiamo dimenticare che l’immagine del cuore ci parla di carne umana, di terra, e perciò ci parla anche di Dio che ha voluto entrare nella nostra condizione storica, farsi storia e condividere il nostro cammino terreno. Una modalità di devozione più astratta o stilizzata non sarà necessariamente più fedele al Vangelo, perché in questo segno sensibile e accessibile si manifesta il modo in cui Dio ha voluto rivelarsi e farsi vicino.
AMORE SENSIBILE
59. Amore e cuore non sono necessariamente uniti, perché in un cuore umano possono regnare l’odio, l’indifferenza, l’egoismo. Ma non raggiungiamo la nostra piena umanità se non usciamo da noi stessi, e non diventiamo completamente noi stessi se non amiamo. Quindi il centro intimo della nostra persona, creato per l’amore, realizza il progetto di Dio solo se ama. Così, il simbolo del cuore simboleggia allo stesso tempo l’amore.
60. Il Figlio eterno di Dio, che mi trascende senza limiti, ha voluto amarmi anche con un cuore umano. I suoi sentimenti umani diventano sacramento di un amore infinito e definitivo. Il suo cuore non è dunque un simbolo fisico che esprime soltanto una realtà spirituale o separata dalla materia. Lo sguardo rivolto al Cuore del Signore contempla una realtà fisica, la sua carne umana, e questa rende possibile che Cristo abbia emozioni e sentimenti umani, come noi, benché pienamente trasformati dal suo amore divino. La devozione deve raggiungere l’amore infinito della persona del Figlio di Dio, ma dobbiamo affermare che esso è inseparabile dal suo amore umano, e a tale scopo ci aiuta l’immagine del suo cuore di carne.
61. Se ancora oggi il cuore è percepito nel sentimento popolare come il centro affettivo di ogni essere umano, esso è ciò che meglio può significare l’amore divino di Cristo unito per sempre e inseparabilmente al suo amore integralmente umano. Già Pio XII ricordava che la Parola di Dio, dove descrive «l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano. […] Pertanto il Cuore di Gesù Cristo, unito ipostaticamente alla Persona divina del Verbo, dovette indubbiamente palpitare d’amore e di ogni altro affetto sensibile»[36].
62. Nei Padri della Chiesa, a fronte di alcuni che negavano o relativizzavano la vera umanità di Cristo, troviamo una forte affermazione della realtà concreta e tangibile degli affetti umani del Signore. Così, San Basilio sottolinea che l’incarnazione del Signore non è qualcosa di fantasioso, ma che «il Signore ha posseduto gli affetti naturali»[37]. San Giovanni Crisostomo propone un esempio: «Se non avesse avuto la nostra natura, non avrebbe sperimentato più volte la tristezza»[38]. Sant’Ambrogio afferma: «Poiché ha preso l’anima, ha preso le passioni dell’anima»[39]. E Sant’Agostino presenta gli affetti umani come una realtà che, una volta assunta da Cristo, non è più estranea alla vita della grazia: «Il Signore Gesù prese tutte queste conseguenze proprie della debolezza umana (come ne prese la morte corporale), non per una necessità impostagli, ma per una volontà di misericordia. […] Per cui, se a qualcuno fosse capitato di rattristarsi e di soffrire in mezzo alle tentazioni umane, non dovesse, perciò, ritenersi abbandonato dalla grazia di Cristo»[40]. Infine, San Giovanni Damasceno ritiene che questa reale esperienza affettiva di Cristo nella sua umanità sia la prova che Egli ha assunto la nostra natura interamente e non parzialmente, per redimerla e trasformarla intera. Cristo ha dunque assunto tutti gli elementi che compongono la natura umana, affinché tutti fossero santificati[41].
63. Vale la pena di riprendere qui la riflessione di un teologo, il quale riconosce che, «sotto l’influsso del pensiero greco, la teologia a lungo ha relegato il corpo e i sentimenti nel mondo del pre-umano, dell’infra-umano o della tentazione del vero umano, ma ciò che la teologia non ha risolto in teoria l’ha risolto la spiritualità in pratica. Essa e la religiosità popolare hanno mantenuto vivo il rapporto con gli aspetti somatici, psicologici e storici di Gesù. La Via Crucis, la devozione alle sue piaghe, la spiritualità del prezioso sangue, la devozione al cuore di Gesù, le pratiche eucaristiche [...]. Tutto ciò ha colmato le lacune della teologia alimentando l’immaginazione e il cuore, l’amore e la tenerezza per Cristo, la speranza e la memoria, il desiderio e la nostalgia. La ragione e la logica hanno preso altre strade»[42].
TRIPLICE AMORE
64. Non ci fermiamo nemmeno soltanto sui suoi sentimenti umani, per quanto belli e commoventi, perché contemplando il Cuore di Cristo riconosciamo come nei suoi nobili e sani sentimenti, nella sua tenerezza, nel vibrare del suo affetto umano, si manifesti tutta la verità del suo amore divino e infinito. Così lo esprimeva Benedetto XVI: «Dall’orizzonte infinito del suo amore, Dio ha voluto entrare nei limiti della storia e della condizione umana, ha preso un corpo e un cuore; così che noi possiamo contemplare e incontrare l’infinito nel finito, il Mistero invisibile e ineffabile nel Cuore umano di Gesù, il Nazareno»[43].
65. In realtà, c’è un triplice amore che è contenuto e ci abbaglia nell’immagine del Cuore del Signore. Innanzitutto, l’amore divino infinito che troviamo in Cristo. Ma pensiamo anche alla dimensione spirituale dell’umanità del Signore. Da questo punto di vista, il cuore «è il simbolo di quell’ardentissima carità, che, infusa nella sua anima, costituisce la preziosa dote della sua volontà umana». Infine, «è simbolo del suo amore sensibile»[44].
66. Questi tre amori non sono capacità separate, che funzionano in modo parallelo o slegato, bensì agiscono e si esprimono insieme e in un costante flusso di vita: «Alla luce, infatti, della fede, per la quale crediamo che nella Persona di Cristo esiste il connubio tra la natura umana e la divina, la nostra mente è resa idonea a concepire gli strettissimi vincoli che esistono tra l’amore sensibile del cuore fisico di Gesù e il suo duplice amore spirituale, l’umano e il divino»[45].
67. Perciò, entrando nel Cuore di Cristo, ci sentiamo amati da un cuore umano, pieno di affetti e sentimenti come i nostri. La sua volontà umana vuole liberamente amarci, e questa volontà spirituale è pienamente illuminata dalla grazia e dalla carità. Quando raggiungiamo l’intimo di quel Cuore, siamo inondati dalla gloria incommensurabile del suo amore infinito di Figlio eterno, che non possiamo più separare dal suo amore umano. È proprio nel suo amore umano, e non allontanandoci da esso, che troviamo il suo amore divino: troviamo «l’infinito nel finito»[46].
68. È un insegnamento costante e definitivo della Chiesa che la nostra adorazione alla sua Persona è unica e abbraccia inseparabilmente sia la sua natura divina che la sua natura umana. Fin dai tempi antichi la Chiesa insegna che dobbiamo «adorare un solo e medesimo Cristo, Figlio di Dio e dell’uomo, in due nature inseparabili e indivise»[47]. E questo «con un’unica adorazione […], perché il Verbo si è fatto carne»[48]. In nessun modo Cristo è «adorato in due nature, da cui si introducono due adorazioni», ma «il Verbo Dio incarnato con la propria carne è adorato con una sola adorazione»[49].
69. San Giovanni della Croce ha voluto esprimere che nell’esperienza mistica l’amore incommensurabile di Cristo risorto non è sentito come estraneo alla nostra vita. L’Infinito in qualche modo si abbassa affinché attraverso il Cuore aperto di Cristo possiamo vivere un incontro d’amore veramente reciproco: «È infatti possibile che un uccello di basso volo prenda un’aquila reale dal volo sublime, se questa, desiderando di essere presa, viene in basso»[50]. E spiega che «vedendo la sposa ferita dal suo amore e udendone il gemito, viene ferito dall’amore di lei giacché tra gli innamorati la ferita dell’uno è ferita dell’altro e unico è il sentimento che hanno»[51]. Questo mistico intende la figura del costato ferito di Cristo come una chiamata alla piena unione con il Signore. Egli è il cervo vulnerato, ferito quando non ci siamo ancora lasciati toccare dal suo amore, che scende ai ruscelli d’acqua per dissetarsi e trova conforto ogni volta che ci rivolgiamo a Lui:
«Volgiti, o colomba,
poiché il cervo ferito
sull’alto colle spunta
all’aura del tuo volo e il fresco prende»[52].
PROSPETTIVE TRINITARIE
70. La devozione al Cuore di Gesù è marcatamente cristologica; è una contemplazione diretta di Cristo che invita all’unione con Lui. Ciò è legittimo se teniamo presente quanto chiede la Lettera agli Ebrei: correre la nostra corsa «tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (12,2). Tuttavia, non possiamo ignorare che, allo stesso tempo, Gesù si presenta come la via per andare al Padre: «Io sono la via […]. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Egli vuole condurci al Padre. Ecco perché la predicazione della Chiesa, fin dall’inizio, non ci fa fermare a Gesù Cristo, ma ci conduce al Padre. È Lui che alla fine, come pienezza originaria, dev’essere glorificato[53].
71. Soffermiamoci, ad esempio, sulla Lettera agli Efesini, dove si può vedere con forza e chiarezza come la nostra adorazione sia rivolta al Padre: «Io piego le ginocchia davanti al Padre» (Ef 3,14). «C’è un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). «Rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre» (Ef 5,20). Il Padre è Colui al quale siamo destinati (cfr 1 Cor 8,6). Per questo motivo, San Giovanni Paolo II diceva che «tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre»[54]. È ciò che ha sperimentato Sant’Ignazio di Antiochia sulla via del martirio: «Un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre!»[55].
72. È innanzitutto il Padre di Gesù Cristo: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1,3). È «il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria» (Ef 1,17). Quando il Figlio si è fatto uomo, tutti i desideri e le aspirazioni del suo cuore umano erano rivolti al Padre. Se vediamo come Cristo si riferiva al Padre, possiamo cogliere questo fascino del suo cuore umano, questo perfetto e costante orientamento al Padre[56]. La sua storia su questa nostra terra è stata un camminare sentendo nel suo cuore umano una chiamata incessante ad andare al Padre[57].
73. Sappiamo che la parola aramaica con cui Egli si rivolgeva al Padre era “Abbà”, che significa “papà, babbo”. Ai suoi tempi alcuni erano infastiditi da questa familiarità (cfr Gv 5,18). È l’espressione che Gesù ha usato per comunicare con il Padre quando è apparsa l’angoscia della morte: «Abbà (papà)! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Sempre Egli si è riconosciuto amato dal Padre: «Mi hai amato prima della creazione del mondo» (Gv 17,24). E Gesù, nel suo cuore umano, era estasiato nell’ascoltare il Padre che gli diceva: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11).
74. Il quarto Vangelo dice che il Figlio eterno del Padre è da sempre «nel seno del Padre» (Gv 1,18)[58]. Sant’Ireneo afferma che «il Figlio di Dio è sempre esistito al cospetto del Padre»[59]. E Origene sostiene che il Figlio persevera «nell’incessante contemplazione dell’abisso paterno»[60]. Per questo, quando il Figlio si è fatto uomo, passava notti intere a comunicare con il Padre amato, in cima al monte (cfr Lc 6,12). Diceva: «Devo occuparmi delle cose del Padre mio» (Lc 2,49). Guardiamo le sue espressioni di lode: «Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra» (Lc 10, 21). E le sue ultime parole, piene di fiducia, furono: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
75. Volgiamo ora lo sguardo allo Spirito Santo, che riempie il Cuore di Cristo e arde in Lui. Perché, come ha detto San Giovanni Paolo II, il Cuore di Cristo è «il capolavoro dello Spirito Santo»[61]. Non è solo una cosa del passato, perché «nel Cuore di Cristo è viva l’azione dello Spirito Santo, a cui Gesù ha attribuito l’ispirazione della sua missione (cfr Lc 4,18; Is 61,1) e di cui aveva nell’Ultima Cena promesso l’invio. È lo Spirito che aiuta a cogliere la ricchezza del segno del costato trafitto di Cristo, dal quale è scaturita la Chiesa (cfr Cost. Sacrosanctum Concilium, 5)»[62]. In definitiva, «solo lo Spirito Santo può aprire dinanzi a noi questa pienezza dell’“uomo interiore”, che si trova nel Cuore di Cristo. Solo Lui può far sì che da questa pienezza attingano forza, gradatamente, anche i nostri cuori umani»[63].
76. Se cerchiamo di addentrarci nel mistero dell’azione dello Spirito, vediamo che Egli geme in noi e dice “Abbà”: «Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). Infatti «lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio» (Rm 8,16). L’azione dello Spirito Santo nel cuore umano di Cristo provoca incessantemente questa attrazione verso il Padre. E quando ci unisce per la grazia ai sentimenti di Cristo, ci rende partecipi della relazione del Figlio con il Padre, è «lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,15).
77. Il nostro rapporto con il Cuore di Cristo si trasforma allora sotto l’impulso dello Spirito, che ci orienta verso il Padre, fonte della vita e origine ultima della grazia. Cristo stesso non desidera che ci fermiamo solo a Lui. L’amore di Cristo è «rivelazione della misericordia del Padre»[64]. Il suo desiderio è che, spinti dallo Spirito che sgorga dal suo Cuore, “con Lui e in Lui” andiamo al Padre. La gloria è rivolta al Padre “per” Cristo[65], “con” Cristo[66] e “in” Cristo[67]. San Giovanni Paolo II insegnava che «il Cuore del Salvatore ci invita a risalire all’amore del Padre, che è la sorgente di ogni autentico amore»[68]. È proprio questo che lo Spirito Santo, venendo a noi dal Cuore di Cristo, cerca di alimentare nei nostri cuori. Per questo la Liturgia, sotto l’azione vivificante dello Spirito, si rivolge sempre al Padre dal Cuore risorto di Cristo.
ESPRESSIONI MAGISTERIALI RECENTI
78. In diverse modalità il Cuore di Cristo è stato presente nella storia della spiritualità cristiana. Nella Bibbia e nei primi secoli della Chiesa appariva nella figura del costato ferito del Signore, come fonte della grazia o come richiamo a un intimo incontro d’amore. Così è costantemente riapparso nella testimonianza di molti santi fino al giorno d’oggi. Negli ultimi secoli questa spiritualità ha assunto la forma di un vero e proprio culto del Cuore del Signore.
79. Alcuni miei predecessori hanno fatto riferimento al Cuore di Cristo e con espressioni molto differenti hanno invitato a unirsi a Lui. Alla fine del XIX secolo, Leone XIII ci invitava a consacrarci a Lui e nella sua proposta univa al tempo stesso l’invito all’unione con Cristo e l’ammirazione per lo splendore del suo amore infinito[69]. Circa trent’anni dopo, Pio XI presentò questa devozione come un compendio dell’esperienza di fede cristiana[70]. Inoltre, Pio XII ha affermato che il culto del Sacro Cuore esprime in modo eccellente, come una sintesi sublime, il nostro culto a Gesù Cristo[71].
80. Più recentemente, San Giovanni Paolo II ha presentato lo sviluppo di questo culto nei secoli passati come una risposta alla crescita di forme di spiritualità rigoriste e disincarnate che dimenticavano la misericordia del Signore, ma allo stesso tempo come un appello attuale davanti a un mondo che cerca di costruirsi senza Dio: «La devozione al Sacro Cuore, così come si è sviluppata nell’Europa di due secoli fa, sotto l’impulso delle esperienze mistiche di Santa Margherita Maria Alacoque, è stata la risposta al rigorismo giansenista, che aveva finito per misconoscere l’infinita misericordia di Dio. [...] L’uomo del Duemila ha bisogno del Cuore di Cristo per conoscere Dio e per conoscere se stesso; ne ha bisogno per costruire la civiltà dell’amore»[72].
81. Benedetto XVI invitava a riconoscere il Cuore di Cristo come presenza intima e quotidiana nella vita di ciascuno: «Ogni persona ha bisogno di avere un “centro” della propria vita, una sorgente di verità e di bene a cui attingere per affrontare le varie situazioni e la fatica della vita quotidiana. Ognuno di noi, quando fa silenzio, ha bisogno di sentire non solo il battito del proprio cuore, ma anche, più profondamente, il battito di una presenza affidabile, percepibile con i sensi della fede e tuttavia molto più reale: la presenza di Cristo, cuore del mondo»[73].
APPROFONDIMENTO E ATTUALITÀ
82. L’immagine espressiva e simbolica del Cuore di Cristo non è l’unica risorsa che lo Spirito Santo ci dà per incontrare l’amore di Cristo, e avrà sempre bisogno di essere arricchita, illuminata e rinnovata attraverso la meditazione, la lettura del Vangelo e la maturazione spirituale. Già Pio XII diceva che la Chiesa non pretende «di vedere e di adorare nel Cuore di Gesù l’immagine così detta formale, cioè il segno proprio e perfetto del suo amore divino, non essendo possibile che l’intima essenza di questo sia adeguatamente rappresentata da qualsiasi immagine creata»[74].
83. La devozione al Cuore di Cristo è essenziale per la nostra vita cristiana in quanto significa l’apertura piena di fede e di adorazione al mistero dell’amore divino e umano del Signore, tanto che possiamo affermare ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo[75]. Bisogna ricordare che le visioni o le manifestazioni mistiche narrate da alcuni santi che hanno proposto con passione la devozione al Cuore di Cristo non sono qualcosa che i credenti sono obbligati a credere come se fossero la Parola di Dio[76]. Sono stimoli belli che possono motivare e fare molto bene, anche se nessuno deve sentirsi obbligato a seguirli se non trova che lo aiutino nel suo cammino spirituale. Va sempre ricordato, del resto, come affermava Pio XII, che non si può dire che questo culto «debba la sua origine a rivelazioni private»[77].
84. La proposta della Comunione eucaristica il primo venerdì di ogni mese, ad esempio, era un messaggio forte in un momento in cui molte persone smettevano di accostarsi alla Comunione perché non avevano fiducia nel perdono divino, nella sua misericordia, e consideravano la Comunione come una sorta di premio per i perfetti. In quel contesto giansenista, la promozione di questa pratica fece molto bene, aiutando a riconoscere nell’Eucaristia l’amore gratuito e vicino del Cuore di Cristo che ci chiama all’unione con Lui. Possiamo affermare che anche oggi farebbe molto bene per un altro motivo: perché in mezzo al vortice del mondo attuale e alla nostra ossessione per il tempo libero, il consumo e il divertimento, i telefonini e i social media, dimentichiamo di nutrire la nostra vita con la forza dell’Eucaristia.
85. Allo stesso modo, nessuno deve sentirsi obbligato a fare un’ora di adorazione il giovedì. Ma come non raccomandarla? Quando qualcuno vive questa pratica con fervore insieme a tanti fratelli e sorelle e trova nell’Eucaristia tutto l’amore del Cuore di Cristo, «adora insieme con la Chiesa il simbolo e quasi il vestigio della Carità divina, la quale si è spinta fino ad amare anche col Cuore del Verbo Incarnato il genere umano»[78].
86. Questo era difficile da capire per molti giansenisti, che guardavano dall’alto in basso tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo, e in definitiva ritenevano che tale devozione ci allontanasse dalla più pura adorazione del Dio Altissimo. Pio XII definì «falsa mistica»[79] l’atteggiamento elitario di alcuni gruppi che vedevano Dio così alto, così separato, così distante, da considerare le espressioni sensibili della pietà popolare pericolose e bisognose del controllo ecclesiastico.
87. Si potrebbe sostenere che oggi, più che al giansenismo, ci troviamo di fronte a una forte avanzata della secolarizzazione, che aspira ad un mondo libero da Dio. A ciò si aggiunge che si stanno moltiplicando nella società varie forme di religiosità senza riferimento a un rapporto personale con un Dio d’amore, che sono nuove manifestazioni di una “spiritualità senza carne”. Questo è vero. Tuttavia, devo constatare che all’interno della Chiesa stessa il dannoso dualismo giansenista è rinato con nuovi volti. Ha acquistato nuova forza negli ultimi decenni, ma è una manifestazione di quello gnosticismo che già danneggiava la spiritualità nei primi secoli della fede cristiana, e che ignorava la verità della “salvezza della carne”. Per questo motivo rivolgo il mio sguardo al Cuore di Cristo e invito a rinnovare la sua devozione. Spero che possa essere attraente anche per la sensibilità di oggi e in tal modo ci aiuti ad affrontare questi vecchi e nuovi dualismi ai quali offre una risposta adeguata.
88. Vorrei aggiungere che il Cuore di Cristo ci libera allo stesso tempo da un altro dualismo: quello di comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti. Ne risulta spesso un cristianesimo che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale. Insomma, un’altra forma di trascendentalismo ingannevole, altrettanto disincarnato.
89. Queste malattie tanto attuali, dalle quali, quando ci siamo lasciati catturare, non sentiamo nemmeno il desiderio di guarire, mi spingono a proporre a tutta la Chiesa un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato nel suo santo Cuore. Lì possiamo trovare tutto il Vangelo, lì è sintetizzata la verità che crediamo, lì vi è ciò che adoriamo e cerchiamo nella fede, ciò di cui abbiamo più bisogno.
90. Davanti al Cuore di Cristo è possibile tornare alla sintesi incarnata del Vangelo e vivere ciò che ho proposto poco tempo fa, ricordando l’amata Santa Teresa di Gesù Bambino: «L’atteggiamento più adeguato è riporre la fiducia del cuore fuori di noi stessi: nell’infinita misericordia di un Dio che ama senza limiti e che ha dato tutto nella Croce di Gesù»[80]. Ella lo viveva intensamente perché aveva scoperto nel Cuore di Cristo che Dio è amore: «A me Egli ha donato la sua Misericordia infinita ed è attraverso essa che contemplo e adoro le altre perfezioni Divine!»[81]. Ecco perché la preghiera più popolare, diretta come un dardo al Cuore di Cristo, dice semplicemente: “Confido in te”[82]. Non servono altre parole.
91. Nei prossimi capitoli metteremo in evidenza due aspetti fondamentali che oggi la devozione al Sacro Cuore dovrebbe tenere uniti per continuare a nutrirci e ad avvicinarci al Vangelo: l’esperienza spirituale personale e l’impegno comunitario e missionario.
[28] Pio XII, Lett. enc. Haurietis Aquas (15 maggio 1956), I: AAS 48 (1956), 316.
[29] Pio VI, Cost. Auctorem fidei (28 agosto 1794), 63: DH, 2663.
[30] Leone XIII, Lett. enc. Annum Sacrum (25 maggio 1899): ASS 31 (1898-99), 649.
[31] Ibid.: «Inest in Sacro Corde symbolum atque expressa imago infinitae Iesu Christi caritatis».
[32] Angelus, 9 giugno 2013: L’Osservatore Romano, 10-11 giugno 2013, p. 8.
[33] Si comprende così perché la Chiesa abbia proibito che si collochino sull’altare raffigurazioni del solo cuore di Gesù o di Maria (cfr Risposta della Congregazione dei Riti al Rev. Charles Lecoq, P.S.S., 5 aprile 1879: Decreta authentica Congregationis Sacrorum Rituum ex actis ejusdem collecta, vol. III, 107-108, n. 3492). Fuori dalla Liturgia, «per la devozione privata» (ibid.), si può utilizzare il simbolismo del cuore come espressione didattica, figura estetica o emblema che invita a pensare all’amore di Cristo, ma si corre il rischio di prendere il cuore come oggetto di adorazione o di dialogo spirituale separatamente dalla persona di Cristo. Il 31 marzo 1887 la Congregazione diede un’altra risposta simile (ivi, 187, n. 3673).
[34] Conc. Ecum. di Trento, Sess. XXV, Decr. Mandat Sancta Synodus (3 dicembre 1563): DH, 1823.
[35] V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), n. 259.
[36] Lett. enc. Haurietis Aquas (15 maggio 1956), I: AAS 48 (1956), 323-324.
[37] Ep. 261, 3: PG 32, 972.
[38] In Io. homil. 63, 2: PG 59, 350.
[39] De fide ad Gratianum, II, 7, 56: PL 16, 594 (ed. 1880).
[40] Enarr. in Ps. 87, 3: PL 37, 1111.
[41] Cfr De fide orth. 3, 6.20: PG 94, 1006.1081.
[42] Olegario González de Cardedal, La entraña del cristianismo, Salamanca 2010, 70-71.
[43] Angelus, 1 giugno 2008: L’Osservatore Romano, 2-3 giugno 2008, p. 1.
[44] Pio XII, Lett. enc. Haurietis Aquas (15 maggio 1956), II: AAS 48 (1956), 327-328.
[45] Ivi, 28: AAS 48 (1956), 343-344.
[46] Benedetto XVI, Angelus, 1 giugno 2008: L’Osservatore Romano, 2-3 giugno 2008, p. 1.
[47] Vigilio, Cost. Inter innumeras sollicitudines (14 maggio 553): DH, 420.
[48] Conc. Ecum. di Efeso, Anatemi di Cirillo di Alessandria, 8: DH, 259.
[49] Conc. Ecum. II di Costantinopoli, Sess. VIII (2 giugno 553), Can. 9: DH, 431.
[50] S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale A, Strofa 22, 4: Opere, Roma 1979, 919.
[51] Ivi, Strofa 12, 8: Opere, cit., 881.
[52] Ivi, Strofa 12,1: 878.
[53] «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui» (1 Cor 8,6). «Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Fil 4,20). «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3).
[54] Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 49: AAS 87 (1995), 35.
[55] Ad Rom., 7: PG 5, 694.
[56] «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre» (Gv 14,31). «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,10).
[57] «Vado al Padre» (pros ton Patéra: Gv 16,28). «Io vengo a te» (pros se: Gv 17,11).
[58] «Eis ton kolpon tou Patrós».
[59] Adv. Haer., III, 18, 1: PG 7, 932.
[60] In Joh., II, 2: PG 14, 110.
[61] Angelus, 23 giugno 2002: L’Osservatore Romano, 24-25 giugno 2002, p. 1.
[62] S. Giovanni Paolo II, Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù, Varsavia, 11 giugno 1999, Solennità del Sacro Cuore di Gesù: L’Osservatore Romano, 12 giugno 1999, p. 5.
[63] Id., Angelus, 8 giugno 1986, 4: L’Osservatore Romano, 9-10 giugno 1986, p. 5.
[64] Omelia, Visita al Policlinico Gemelli e alla Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, 27 giugno 2014: L’Osservatore Romano, 29 giugno 2014, p. 7.
[65] Ef 1,5.7; 2,18; 3,12.
[66] Ef 2,5.6; 4,15.
[67] Ef 1,3.4.6.7.11.13.15; 2,10.13.21.22; 3,6.11.21.
[68] Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù, Varsavia, 11 giugno 1999, Solennità del Sacro Cuore di Gesù: L’Osservatore Romano, 12 giugno 1999, p. 5.
[69] «Quoniamque inest in Sacro Corde symbolum atque expressa imago infinitae Iesu Christi caritatis, quae movet ipsa nos ad amandum mutuo, ideo consentaneum est dicare se Cordi eius augustissimo: quod tamen nihil est aliud quam dedere atque obligare se Iesu Christo […]. En alterum hodie oblatum oculis auspicatissimum divinissimumque signum: videlicet Cor Iesu sacratissimum, superimposita cruce, splendidissimo candore inter flammas elucens. In eo omnes collocandae spes: ex eo hominum petenda atque expectanda salus» (Lett. enc. Annum Sacrum [25 maggio 1899]: ASS 31 [1898-99], 649; 651).
[70] «In quel felicissimo segno e nella forma che ne emana non sono forse contenute tutta la sostanza della religione e specialmente la norma di una vita più perfetta, come quella che guida per una via più facile le menti a conoscere intimamente Gesù Cristo e induce i cuori ad amarlo più ardentemente e più generosamente ad imitarlo?» (Lett. enc. Miserentissimus Redemptor [8 maggio1928]: AAS 20 (1928), 167.
[71] «è un atto eccellentissimo della virtù di religione, cioè un atto di assoluta e incondizionata sottomissione e consacrazione da parte nostra all’amore del Redentore Divino, di cui è indice e simbolo quanto mai espressivo il suo Cuore trafitto […]; vi possiamo ammirare non soltanto il simbolo ma anche, per così dire, la sintesi di tutto il mistero della nostra redenzione […]. Gesù Cristo espressamente e ripetutamente indicò il suo Cuore come un simbolo quanto mai atto a stimolare gli uomini alla conoscenza e alla stima del suo amore; ed insieme lo costituì quasi segno ed arra di misericordia e di grazia per i bisogni spirituali della Chiesa nei tempi moderni» (Lett. enc. Haurietis Aquas [15 maggio 1956], Proemio; III; IV: AAS 48 (1956), 311; 336; 340).
[72] Catechesi, 8 giugno 1994, 2: L’Osservatore Romano, 9 giugno 1994, p. 5.
[73] Angelus, 1 giugno 2008: L’Osservatore Romano, 2-3 giugno 2008, p. 1.
[74] Lett. enc. Haurietis Aquas (15 maggio 1956), IV: AAS 48 (1956), 344.
[75] Cfr ivi: AAS 48 (1956), 336.
[76] «Il valore delle rivelazioni private è essenzialmente diverso dall’unica rivelazione pubblica: questa esige la nostra fede […]. Una rivelazione privata […] è un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso» (Benedetto XVI, Esort. ap. Verbum Domini [30 settembre 2010], 14: AAS 102 [2010], 696).
[77] Lett. enc. Haurietis Aquas (15 maggio 1956), IV: AAS 48 (1956), 340.
[78] Ivi: AAS 48 (1956), 344.
[79] Ibid.
[80] Esort. ap. C’est la confiance (15 ottobre 2023), 20: L’Osservatore Romano, 16 ottobre 2023.
[81] S. Teresa di Gesù Bambino, Ms A, 83vº: Opere complete, Roma 1997, 209.
[82] S. Maria Faustina Kowalska, Diario. La Misericordia Divina nella mia anima (1° quaderno, 22 febbraio 1931), Città del Vaticano 2021, 74.