2. Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore[1].
COSA INTENDIAMO QUANDO DICIAMO “CUORE”?
3. Nel greco classico profano il termine kardía indica ciò che è più interiore negli esseri umani, negli animali e nelle piante. In Omero indica non solo il centro corporeo, ma anche l’anima e il nucleo spirituale dell’essere umano. Nell’Iliade, il pensiero e il sentimento appartengono al cuore e sono molto vicini tra loro[2]. Il cuore vi appare come centro del desiderio e luogo in cui prendono forma le decisioni importanti della persona[3]. In Platone, il cuore assume una funzione in qualche modo “sintetizzante” di ciò che è razionale e delle tendenze di ognuno, poiché sia il mandato delle facoltà superiori sia le passioni si trasmettono attraverso le vene che convergono nel cuore[4]. Così, fin dall’antichità ci siamo resi conto dell’importanza di considerare l’essere umano non come una somma di capacità diverse, ma come un mondo animo-corporeo con un centro unificatore, che conferisce a tutto ciò che vive la persona lo sfondo di un senso e di un orientamento.
4. Dice la Bibbia che «la parola di Dio è viva, efficace [...] e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). In questo modo ci parla di un nucleo, il cuore, che sta dietro ogni apparenza, anche dietro i pensieri superficiali che ci confondono. I discepoli di Emmaus, durante il loro misterioso cammino con Cristo risorto, vivevano un momento di angoscia, confusione, disperazione, delusione. Eppure, al di là di tutto ciò e nonostante tutto, qualcosa accadeva nel profondo: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?» (Lc 24,32).
5. Al tempo stesso, il cuore è il luogo della sincerità, dove non si può ingannare né dissimulare. Di solito indica le vere intenzioni, ciò che si pensa, si crede e si vuole realmente, i “segreti” che non si dicono a nessuno, insomma la propria nuda verità. Si tratta di quello che non è apparenza né menzogna bensì autentico, reale, totalmente personale. Per questo a Sansone, che non le diceva il segreto della sua forza, Dalila domandava: «Come puoi dirmi: “Ti amo”, mentre il tuo cuore non è con me?» (Gdc 16,15). Solo quando le rivelò il suo segreto nascosto, lei «vide che egli le aveva aperto tutto il suo cuore» (Gdc 16,18).
6. Questa verità di ogni persona è spesso nascosta sotto una gran quantità di “fogliame” che la ricopre, e questo fa sì che difficilmente si arrivi alla certezza di conoscere sé stessi e ancor più di conoscere un’altra persona: «Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce! Chi lo può conoscere?» (Ger 17,9). Comprendiamo così perché il libro dei Proverbi ci chiede: «Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita. Tieni lontano da te la bocca bugiarda» (4,23 24). La mera apparenza, la dissimulazione e l’inganno danneggiano e pervertono il cuore. Al di là dei tanti tentativi di mostrare o esprimere qualcosa che non siamo, tutto si gioca nel cuore: lì non conta ciò che si mostra all’esterno o ciò che si nasconde, lì siamo noi stessi. E questa è la base di qualsiasi progetto solido per la nostra vita, poiché niente di valido si può costruire senza il cuore. Le apparenze e le bugie offrono solo il vuoto.
7. Come metafora, permettetemi di ricordare una cosa che ho già raccontato in un’altra occasione: «Per carnevale, quando eravamo bambini, la nonna ci faceva delle frittelle, ed era una pasta molto sottile quella che faceva. Poi la buttava nell’olio e quella pasta si gonfiava, si gonfiava… E quando noi incominciavamo a mangiarla, era vuota. Quelle frittelle in dialetto si chiamavano “bugie”. Ed era proprio la nonna che ci spiegava il motivo: “Queste frittelle sono come le bugie, sembrano grandi, ma non hanno niente dentro, non c’è niente di vero, non c’è niente di sostanza”»[5].
8. Invece di cercare soddisfazioni superficiali e di recitare una parte davanti agli altri, la cosa migliore è lasciar emergere domande che contano: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, perché e per quale scopo sono in questo mondo, come valuterò la mia esistenza quando arriverà alla fine, che significato vorrei che avesse tutto ciò che vivo, chi voglio essere davanti agli altri, chi sono davanti a Dio. Queste domande mi portano al mio cuore.
RITORNARE AL CUORE
9. In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede. Nella società di oggi, l’essere umano «rischia di smarrire il centro, il centro di se stesso»[6]. «L’uomo contemporaneo, infatti, si trova spesso frastornato, diviso, quasi privo di un principio interiore che crei unità e armonia nel suo essere e nel suo agire. Modelli di comportamento purtroppo assai diffusi ne esasperano la dimensione razionale tecnologica o, all’opposto, quella istintuale»[7]. Manca il cuore.
10. Ora, il problema della società liquida è attuale, ma la svalutazione del centro intimo dell’uomo – il cuore – viene da più lontano: la troviamo già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme. Il cuore ha avuto poco spazio nell’antropologia e risulta una nozione estranea al grande pensiero filosofico. Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana. Forse perché non era facile collocarlo tra le idee “chiare e distinte” o per la difficoltà che comporta la conoscenza di sé stessi: sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza. Probabilmente perché l’incontro con l’altro non si consolida come via per trovare sé stessi, giacché il pensiero sfocia ancora una volta in un individualismo malsano. Molti si sono sentiti sicuri nell’ambito più controllabile dell’intelligenza e della volontà per costruire i loro sistemi di pensiero. E non trovando un posto per il cuore, distinto dalle facoltà e dalle passioni umane considerate separatamente le une dalle altre, non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore.
11. Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo.
12. Occorre affermare che abbiamo un cuore, che il nostro cuore coesiste con gli altri cuori che lo aiutano ad essere un “tu”. Non potendo sviluppare con ampiezza questo tema, ci avvarremo del personaggio di un romanzo, lo Stavròghin di Dostoevskij[8]. Romano Guardini lo mostra come l’incarnazione stessa del male, perché la sua caratteristica principale è di non avere cuore: «Stavròghin non ha cuore; perciò il suo spirito è freddo e vuoto e il suo corpo s’intossica nella pigrizia e nella sensualità “bestiale”. Perciò egli non può incontrare intimamente nessuno e nessuno incontra veramente lui. Poiché solo il cuore crea l’intimità, la vera vicinanza tra due esseri. Solo il cuore sa accogliere e dare una patria. L’intimità è l’atto, la sfera del cuore. Ma Stavròghin è distante. […] Infinitamente lontano anche da sé stesso, poiché interiore a sé l’uomo può esserlo soltanto col cuore, non con lo spirito. Essere interiore a sé con lo spirito non è in potere dell’uomo. Ora, se il cuore non vive, l’uomo rimane estraneo a sé stesso»[9].
13. Abbiamo bisogno che tutte le azioni siano poste sotto il “dominio politico” del cuore, che l’aggressività e i desideri ossessivi trovino pace nel bene maggiore che il cuore offre loro e nella forza che ha contro i mali; che anche l’intelligenza e la volontà si mettano al suo servizio, sentendo e gustando le verità piuttosto che volerle dominare come fanno spesso alcune scienze; che la volontà desideri il bene maggiore che il cuore conosce, e che anche l’immaginazione e i sentimenti si lascino moderare dal battito del cuore.
14. Si potrebbe dire che, in ultima analisi, io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone. L’algoritmo all’opera nel mondo digitale dimostra che i nostri pensieri e le decisioni della nostra volontà sono molto più “standard” di quanto potremmo pensare. Sono facilmente prevedibili e manipolabili. Non così il cuore.
15. Si tratta di una parola importante per la filosofia e la teologia, che aspirano a raggiungere una sintesi complessiva. Infatti, la parola “cuore” non può essere spiegata in modo esaustivo dalla biologia, dalla psicologia, dall’antropologia o da qualsiasi scienza. È una di quelle parole originarie «che indicano la realtà che spetta all’uomo tutt’intero in quanto persona corporea e spirituale»[10]. Così il biologo non è maggiormente realista quando parla del cuore, perché ne vede solo una parte, e l’insieme non è meno reale, ma lo è ancora di più. Nemmeno un linguaggio astratto potrebbe avere lo stesso significato concreto e contemporaneamente complessivo. Se il “cuore” ci conduce al centro intimo della nostra persona, ci permette anche di riconoscerci nella nostra interezza e non solo in qualche aspetto isolato.
16. D’altra parte, questa forza unica del cuore ci aiuta a capire perché si dice che quando si coglie una realtà con il cuore si può conoscerla meglio e più pienamente. Questo ci porta inevitabilmente all’amore di cui quel cuore è capace, perché «l’amore è il fattore più intimo della realtà»[11]. Per Heidegger, secondo l’interpretazione che ne dà un pensatore contemporaneo, la filosofia non inizia con un concetto puro o con una certezza, ma con una scossa emotiva: «Il pensare dev’essere stato scosso emotivamente prima di lavorare con i concetti o mentre li lavora. Senza un’emozione profonda il pensare non può iniziare. La prima immagine mentale sarebbe la pelle d’oca. La prima cosa che fa pensare e interrogare è l’emozione profonda. La filosofia avviene sempre in uno stato d’animo fondamentale (Stimmung)»[12]. E qui compare il cuore, che «ospita gli stati d’animo, lavora come “custode dello stato d’animo”. Il “cuore” ascolta in modo non metaforico “la silenziosa voce” dell’essere, lasciandosi temperare e determinare da essa»[13].
IL CUORE CHE UNISCE I FRAMMENTI
17. Al tempo stesso, il cuore rende possibile qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo: si manterrebbero in piedi solo due monadi che si accostano ma non si legano veramente. L’anti-cuore è una società sempre più dominata dal narcisismo e dall’autoreferenzialità. Alla fine si arriva alla “perdita del desiderio”, perché l’altro scompare dall’orizzonte e ci si chiude nel proprio io, senza capacità di relazioni sane[14]. Di conseguenza, diventiamo incapaci di accogliere Dio. Come direbbe Heidegger, per ricevere il divino dobbiamo costruire una “casa degli ospiti”[15].
18. Vediamo così come nel cuore di ogni persona si produca questa paradossale connessione tra la valorizzazione di sé e l’apertura agli altri, tra l’incontro personalissimo con sé stessi e il dono di sé agli altri. Si diventa sé stessi solo quando si acquista la capacità di riconoscere l’altro, e si incontra con l’altro chi è in grado di riconoscere e accettare la propria identità.
19. Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Questo è ciò che il Vangelo esprime nello sguardo di Maria, che guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo: rappresentandole e conservandole dentro per ricordare. Nel Vangelo, la migliore espressione di ciò che pensa un cuore sono i due passi di San Luca che ci dicono che Maria «custodiva (syneterei) tutte queste cose, meditandole (symballousa) nel suo cuore» (Lc 2,19; cfr 2,51). Il verbo symballein (da cui “simbolo”) significa ponderare, riunire due cose nella mente ed esaminare sé stessi, riflettere, dialogare con sé stessi. In Lc 2,51 dieterei significa “conservava con cura”, e ciò che lei custodiva non era solo “la scena” che vedeva, ma anche ciò che non capiva ancora e tuttavia rimaneva presente e vivo nell’attesa di mettere tutto insieme nel cuore.
20. Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta. Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne. È quel momento di apprendistato culinario, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro. Come questo della forchetta, potrei citare migliaia di piccoli dettagli che compongono le biografie di tutti: far sbocciare sorrisi con una battuta, tracciare un disegno al controluce di una finestra, giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza, conservare dei vermetti in una scatola di scarpe, seccare un fiore tra le pagine di un libro, prendersi cura di un uccellino caduto dal nido, esprimere un desiderio sfogliando una margherita. Tutti questi piccoli dettagli, l’ordinario-straordinario, non potranno mai stare tra gli algoritmi. Perché la forchetta, le battute, la finestra, la palla, la scatola di scarpe, il libro, l’uccellino, il fiore... si appoggiano sulla tenerezza che si conserva nei ricordi del cuore.
21. Il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato.
22. Per questo motivo, vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore. Basta guardare e ascoltare le donne anziane – delle varie parti in conflitto – che sono prigioniere di questi conflitti devastanti. È straziante vederle piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto. Esse, che tante volte sono state modelli di forza e resistenza nel corso di vite difficili e sacrificate, ora che arrivano all’ultima tappa della loro esistenza non ricevono una meritata pace, ma angoscia, paura e indignazione. Scaricare la colpa sugli altri non risolve questo dramma vergognoso. Veder piangere le nonne senza che questo risulti intollerabile è segno di un mondo senza cuore.
23. Quando ognuno riflette, cerca, medita sul proprio essere e sulla propria identità, o analizza le questioni più alte; quando pensa al senso della propria vita e pure se cerca Dio, quand’anche provasse il gusto di aver intravisto qualcosa della verità, tutto ciò esige di trovare il suo culmine nell’amore. Amando, una persona sente di sapere perché e a che scopo vive. Così tutto confluisce in uno stato di connessione e di armonia. Pertanto, di fronte al proprio mistero personale, forse la domanda più decisiva che ognuno si può porre è questa: ho un cuore?
IL FUOCO
24. Questo ha conseguenze sulla spiritualità. Ad esempio, la teologia degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola ha come principio l’affectus. La dimensione discorsiva si costruisce su un volere fondamentale (con tutta la forza del cuore), che dà energia e risorse al compito di riorganizzare la vita. Le regole e le composizioni di luogo che Ignazio mette in atto funzionano sulla base di un “fondamento” diverso da esse, l’ignoto del cuore. Michel de Certeau evidenzia come le “mozioni” di cui parla Sant’Ignazio siano le irruzioni di una volontà di Dio e di una volontà del proprio cuore che rimane diversa rispetto all’ordine manifesto. Qualcosa di inaspettato comincia a parlare nel cuore della persona, qualcosa che nasce dall’inconoscibile, rimuove la superficie di ciò che è noto e vi si oppone. È l’origine di un nuovo “ordinamento della vita” a partire dal cuore. Non si tratta di discorsi razionali che bisognerebbe mettere in pratica traducendoli nella vita, come se l’affettività e la pratica fossero semplicemente conseguenze – dipendenti – di un sapere assicurato[16].
25. Lì dove il filosofo si ferma col suo pensiero, il cuore credente ama, adora, chiede perdono e si offre di servire nel luogo che il Signore gli dà da scegliere per seguirlo. Allora capisce di essere il “tu” di Dio e che può essere un “sé” perché Dio è un “tu” per lui. Il fatto è che solo il Signore ci offre di trattarci come un “tu” sempre e per sempre. Accettare la sua amicizia è una questione di cuore e ci costituisce come persone nel senso pieno del termine.
26. San Bonaventura diceva che a ben vedere si deve interrogare «non la luce, ma il fuoco»[17]. E insegnava che «la fede è nell’intelletto, in modo da provocare l’affetto. Per esempio: sapere che Cristo è morto per noi non rimane conoscenza, ma diventa necessariamente affetto, amore»[18]. In questa prospettiva, San John Henry Newman scelse come proprio motto la frase “Cor ad cor loquitur”, perché, al di là di ogni dialettica, il Signore ci salva parlando al nostro cuore dal suo Sacro Cuore. Questa stessa logica faceva sì che per lui, grande pensatore, il luogo dell’incontro più profondo con sé stesso e con il Signore non fosse la lettura o la riflessione, ma il dialogo orante, da cuore a cuore, con Cristo vivo e presente. Perciò Newman trovava nell’Eucaristia il Cuore di Gesù vivo, capace di liberare, di dare senso ad ogni momento e di infondere nell’uomo la vera pace: «O santissimo ed amabilissimo Cuore di Gesù, tu sei nascosto nella santa Eucaristia, e qui palpiti sempre per noi. […] Io ti adoro con tutto il mio amore e con tutta la mia venerazione, col mio affetto fervente e con la mia volontà più sottomessa e risoluta. O mio Dio, quando tu vieni a me nella santa comunione e poni in me la tua dimora, fa’ che il mio cuore batta all’unisono col tuo. Purificalo da tutto ciò che è orgoglio e senso, che è durezza e crudeltà, da ogni perversità, da ogni disordine, da ogni tiepidezza. Riempilo talmente di te, che né gli avvenimenti quotidiani, né le circostanze della vita possano riuscire a sconvolgerlo, e nel tuo timore e nel tuo amore possa trovare la pace»[19].
27. Davanti al Cuore di Gesù vivo e presente, la nostra mente, illuminata dallo Spirito, comprende le parole di Gesù. Così la nostra volontà si mette in moto per praticarle. Ma ciò potrebbe rimanere una forma di moralismo autosufficiente. Sentire e gustare il Signore e onorarlo è cosa del cuore. Solo il cuore è capace di mettere le altre facoltà e passioni e tutta la nostra persona in atteggiamento di riverenza e di obbedienza amorosa al Signore.
IL MONDO PUÒ CAMBIARE A PARTIRE DAL CUORE
28. Solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli, perché anche la pacificazione è compito del cuore. Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale.
29. Prendere sul serio il cuore ha conseguenze sociali. Come insegna il Concilio Vaticano II, «ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino»[20]. Perché «gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo»[21]. Di fronte ai drammi del mondo, il Concilio invita a tornare al cuore, spiegando che l’essere umano «nella sua interiorità, trascende l’universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori (cfr 1 Sam 16,7; Ger 17,10) là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino»[22].
30. Questo non significa fare troppo affidamento su noi stessi. Stiamo attenti: rendiamoci conto che il nostro cuore non è autosufficiente, è fragile ed è ferito. Ha una dignità ontologica, ma allo stesso tempo deve cercare una vita più dignitosa[23]. Dice ancora il Concilio Vaticano II che «il fermento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell’uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità»[24], tuttavia per vivere secondo questa dignità non basta conoscere il Vangelo né fare meccanicamente ciò che esso ci comanda. Abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino. Andiamo al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano. È lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare.
31. Infine, questo Cuore Sacro è il principio unificatore della realtà, perché «Cristo è il cuore del mondo; la sua Pasqua di morte e risurrezione è il centro della storia, che grazie a Lui è storia di salvezza»[25]. Tutte le creature «avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto»[26]. Davanti al Cuore di Cristo, chiedo al Signore di avere ancora una volta compassione di questa terra ferita, che Lui ha voluto abitare come uno di noi. Che riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore.
[1] Buona parte delle riflessioni di questo primo capitolo si sono lasciate ispirare da scritti inediti del Padre Diego Fares, S.I. Il Signore lo abbia nella sua santa gloria.
[2] Cfr Omero, Iliade, 21, 441.
[3] Cfr ivi, 10, 244.
[4] Cfr Timeo 65 c-d; 70.
[5] Omelia nella Messa mattutina nella Domus Sanctae Marthae, 14 ottobre 2016: L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2016, p. 8.
[6] S. Giovanni Paolo II, Angelus, 2 luglio 2000: L’Osservatore Romano, 3-4 luglio 2000, p. 4.
[7] Id., Catechesi, 8 giugno 1994: L’Osservatore Romano, 9 giugno 1994, p. 5.
[8] I demoni (1873).
[9] Romano Guardini, Il mondo religioso di Dostojevskij, Brescia 1980, 236.
[10] Karl Rahner, Alcune tesi per una teologia della devozione al cuore di Gesù, in Teologia del Cuore di Cristo, Roma 1995, 60.
[11] Ivi., 61.
[12] Byung-Chul Han, Heideggers Herz. Zum Begriff der Stimmung bei Martin Heidegger, München 1996, 39.
[13] Ivi, 60; cfr 176.
[14] Cfr Id., Eros in agonia, Milano 2019.
[15] Cfr Martin Heidegger, La poesia di Hölderlin, Milano 1988, 144.
[16] Cfr Michel de Certeau, Lo spazio del desiderio. Gli «Esercizi spirituali» di Loyola, in Il parlare angelico: figure per una poetica della lingua. Secoli XVI e XVII, Firenze 1989, 95-110.
[17] Itinerarium mentis in Deum, VII, 6: San Bonaventura, Itinerario della mente in Dio. Riconduzione delle Arti alla Teologia, Roma 1995, 93.
[18] Id., Proemium in I Sent., q. 3: Opera Omnia, Quaracchi 1882, vol. 1, 13.
[19] S. John Henry Newman, Meditazioni e Preghiere, Milano 2002, 106.
[20] Cost. past. Gaudium et spes, 82.
[21] Ivi, 10.
[22] Ivi, 14.
[23] Cfr Dicastero per la Dottrina della Fede, Dich. Dignitas infinita (2 aprile 2024), 8. Cfr L’Osservatore Romano, 8 aprile 2024.
[24] Cost. past. Gaudium et spes, 26.
[25] S. Giovanni Paolo II, Angelus, 28 giugno 1998: L’Osservatore Romano, 30 giugno-1 luglio 1998, p. 7.
[26] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 83: AAS (2015), 880.