Chiedo preghiere per essere fedele

Daniela, medico e soprannumeraria dell’Opus Dei, racconta il dolore e la gioia di vivere accanto al marito, ancora giovane, ma gravemente ammalato.

Faccio parte dell’Opus Dei da quando avevo vent’anni. Ne sono passati quasi trenta e ogni giorno ringrazio il Signore per la mia vocazione. Ricordo che, giovane studentessa di medicina, avevo tanto entusiasmo per quella vocazione soprannaturale, ma nessuna altra qualità. Io sono la riprova vivente che il Signore dà la sua Grazia gratuitamente, anche a chi non ha meriti, scegliendo per la sua Chiesa le persone in modo del tutto misterioso.

Come è naturale per quella età provavo un grande desiderio di formarmi una famiglia e ho presente, come fosse oggi, che un giorno nella preghiera chiesi a Dio: “Fammi incontrare la persona giusta e ti prometto che saprò amarlo come tu vuoi, come un figlio tuo…”

Il Signore mi ha ascoltato: ho incontrato Marzio e dopo pochi mesi l’ho sposato. Mio marito è un uomo meraviglioso, buono e generoso e soprannumerario dell’Opus Dei dai primi anni universitari. Lo stimo molto perché ha una cultura umanistica profonda, che ha coltivato anche dopo la laurea in lettere e filosofia, eclettico per interessi, abile pittore e ottimo conoscitore dell’arte. Mi ha insegnato ad amare la pittura, la musica e la natura, tanto che quando vedo qualcosa di bello subito penso a mio marito e vorrei che ne godesse con me. Avevamo il desiderio di formare una famiglia numerosa ma sono nati solo due bambini, Maria e Pietropaolo, ora liceali. Mio marito è stato per anni direttore del personale della più importante azienda di informatica del mondo e io ho trovato un buon lavoro come medico nella Asl vicino a casa. Sono trascorsi così diciassette anni di matrimonio meravigliosi di cui sempre sono stata consapevole e riconoscente al Signore.

Per definire la mia famiglia, riporto le recenti parole, forse un po’ esagerate, di una mia amica: “Eravate perfetti”. Sì, eravamo… perché quattro anni fa Marzio si è ammalato gravemente e ora non può più parlare, leggere, camminare, non riesce a usare gli oggetti e va accudito come un neonato, lavato, cambiato e imboccato. Subito, in quanto medico, mi sono resa conto della gravità e dell’evoluzione che avrebbe avuto la sua malattia. Per non far soffrire gli altri ho tenuto nascosta la cosa per più di un anno fino a quando i sintomi di Marzio sono diventati così evidenti da doverne parlare con i nostri figli e con la sua famiglia di origine.

Questi ultimi anni sono stati e sono molto duri. Io ho perso il mio compagno (come si dice oggi!), il mio amico e il padre dei miei figli, la mia roccia, come chiamavo mio marito: non posso più divertirmi con lui, confidarmi e appoggiarmi. A volte, soprattutto di notte quando tutti dormono e sono sola, provo una sofferenza così forte che mi fa comprendere che cosa possa essere la disperazione. Questa sofferenza però dura molto poco, sento infatti le preghiere di quelli che mi vogliono bene e a queste preghiere palpabili mi aggrappo e subito torno tranquilla e offro la mia sofferenza per il Papa, per la Chiesa, per il Prelato dell’Opus Dei e per tutte le persone che conosco, soprattutto per quelle che so essere in difficoltà.

Per tanti anni ho sentito parlare della Croce e ne ho parlato: ora la vivo in prima persona, eppure sono serena. Mi rendo conto che con questa Croce Gesù ha voluto appoggiarsi un po’ su di me.

La vocazione all’Opus Dei mi ha insegnato anche a santificare il mio dolore. Pur avendo ancora tanti difetti e campi in cui lottare per diventare una buona cristiana, sono contenta perché so che le cose belle della mia vita sono comunque tante. Non sogno di andare in missione a curare i poveri: so che i miei poveri e i miei bisognosi sono lì nel mio Marzio. In Marzio vedo Gesù. Quando lo accudisco mi sforzo di farlo bene, di sorridere, di coccolarlo, lo bacio e gli dico che è il marito più fortunato del mondo e gli racconto come immagino che sarà il Paradiso insieme. Forse Marzio non capisce tutto, certo è che mi sorride e sembra contento.

Sono fortunata perché in casa sono molto aiutata e riesco a staccarmi ogni giorno dagli impegni familiari per andare a Messa e settimanalmente per frequentare i mezzi di formazione dell’Opus Dei: soprattutto la direzione spirituale e la confessione mi aiutano e mi danno la “carica”; quando manco a questi appuntamenti mi sembra che tutto diventi più difficile.

Anche nel lavoro cerco di santificare la mia Croce, fra l’altro organizzo l’assistenza domiciliare per pazienti oncologici o con malattie neurologiche simili a quella di mio marito. Ho fatto amicizia con alcune mogli di ammalati e comunicando loro la mia esperienza cerco di aiutarle ad avvicinarsi a Dio.

Vorrei che questa mia testimonianza potesse servire a chi soffre una situazione come la mia e che possa ricordare a tutte le donne di ringraziare tanto il Signore per il loro matrimonio, e per tutte quelle grazie che quotidianamente si ricevono e di cui spesso non ci si rende conto e che si danno per scontate. Vorrei inoltre chiedere a chi legge, una preghiera per me, perché io possa essere fedele alla mia vocazione fino all’ultimo giorno della mia vita e non sprecare la grazia della Croce che il Signore mi ha donata.