Escrivá, santo straordinario nelle cose ordinarie

Trecentomila persone in piazza San Pietro e via della Conciliazione. «Reagiamo alla cultura materialista che minaccia di dissolvere l’identità cristiana».

Sulla grande piazza, che aveva cominciato a riempirsi di brusii e richiami ben prima dell’alba, fin dalle 5,30, scende il più assoluto silenzio allorché scoccano le 9. Un silenzio, profondo, impressionante, da cattedrale deserta. Eppure in questa cattedrale, la piazza più bella e significativa del mondo, che per questa occasione sembra angusta, sotto un sole da dolce e splendida ottobrata, 26 gradi nelle rare oasi d’ombra alla sinistra della basilica e là dove l’obelisco si frappone ai raggi, gomito a gomito stanno già 200 mila persone, che un’ora più tardi saranno 250 mila e poi 300 mila. Tante quanti gli abitanti di due-tre città come Bergamo.

Un mare tranquillo, senza cenni d’increspatura anche minima, che dal colonnato del Bernini arriva giù, trabocca oltre l’inizio di via della Conciliazione, e va a lambire Castel Sant’Angelo. Un mare, due, tre città: raccolti in questo silenzio che dà i brividi. E quando un canto, una preghiera, un inno si alzano, è come se tutte le piccole onde di questo mare avessero una voce unica, identica. Anche se le lingue sono diverse — “Mi alma benedice”, “Lobe Den Herren”, Dans ton amour”, “Lodate Dio” - nessuno stridore. Aveva ragione Papa Giovanni XXIII quando profetizzava: «L’Opus Dei è destinata a operare nella Chiesa su inattesi orizzonti di apostolato universale”. Alle 10,25 in una mattinata di sole, davanti a centinaia di migliaia di persone, Giovarmi Paolo Il ha proclamato, nella sua 468^ canonizzazione — dopo Padre Pio e poco prima di Madre Teresa — la santità di Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, alla quale appartengono oltre 85 mila persone di 84 Paesi. Membri dell’Opera con altre persone hanno dato vita nel mondo ad attività assistenziali di vario tipo: centri di insegnamento, collegi studenteschi, scuole agrarie per contadini, centri di formazione per operai, università, ospedali.

Con il Papa hanno concelebrato 42 fra cardinali, arcivescovi, vescovi e sacerdoti, fra cui il segretario di Stato cardinale Angelo Sodano, il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, i cardinali Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid diocesi dove visse il nuovo santo fino al suo trasferimento a Roma e dove è avvenuta la fondazione dell’Opus Dei nel 1928 —, e i cardinali Ruini, Meisner, Etchegaray. Inoltre hanno concelebrato mons. Omella — vescovo di Barbastro, città natale del Santo— e mons. Javier Echevarría, prelato dell’Opus Dei.

L’arrivo del Papa è stato salutato da un caldissimo, prolungato applauso, ma nessuna acclamazione s’è alzata. Il rito della canonizzazione è rapido. Si è allontanato anche l’ultimo degli elicotteri che dall’alto cercavano di dare qualche ordine al caos romano di queste ore, e l’atmosfera si è fatta più tesa, mentre la sterminata assemblea canta le litanie dei santi. La mattinata corre verso la formula di canonizzazione finché — dopo la conclusione della formula che contiene il “Sanctum esse decernimus et definimus. Dichiariamo e definiamo Santo un nuovo applauso, che non avrebbe mai voluto terminare, saluta l’ingresso del nuovo Santo, questo modello così attuale, nel tesoro della Chiesa appartenente a tutti i cristiani, e non solo a loro.

L’omelia del Santo Padre è per larga parte in spagnolo. Tra l’altro il Papa sottolinea con forza e con una voce piena di vigore, quale da molto tempo non gli si sentiva, la verità cristiana fondamentale e ricorrente nella predicazione di San Josemaría: che la vita di relazione con Dio e la vita familiare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene, non devono andare separate: “Troviamo Dio invisibile nelle cose più visibili e materiali”. E l’insegnamento a non introdurre germi di schizofrenia nella nostra vita che tanto affascina i giovani che lo accostano. “La vita abituale di un cristiano che ha fede, quando lavora o riposa, quando prega o quando dorme, in ogni momento è una vita nella quale sempre Dio è presente, diceva Escrivá. Questa visione soprannaturale dell’esistenza apre un orizzonte straordinariamente ricco di prospettive salvifiche perché, anche nel contesto solo apparentemente monotono dell’esistenza terrena, Dio si fa prossimo a noi e noi possiamo cooperare al suo piano di salvezza».

Il Papa ricorda come il nuovo Santo “richiamasse la necessità che non ci lasciamo intimorire di fronte alla cultura materialista, che minaccia di dissolvere l’identità più genuina dei discepoli di Cristo. Gli piaceva ripetere con vigore che la fede cristiana si oppone al conformismo e all’inerzia interiore. Seguendo le sue orme, voi diffondete nella società, senza distinzione di razza, classe, cultura o età, la coscienza che tutti siamo chiamati alla santità. Vi sforzate di essere tanti voi per primi, coltivando uno stile evangelico di umiltà e di servizio, di abbandono nella Provvidenza e di ascolto costante della voce dello Spirito”.

Papa Wojtyla strappa applausi e lacrime quando, commosso, riprende e ripete per evidenziarla l’esortazione a “calare le reti per la pesca”, quel “Duc in altum» che Escrivá trasmise alla sua famiglia spirituale “per offrire alla Chiesa un apporto valido di comunione e di servizio apostolico: un invito che oggi si estende a tutti noi”.

Millequaranta sacerdoti, accompagnati da accoliti che reggevano bianchi parasoli, hanno distribuito la Comunione in piazza San Pietro, in piazza Pio XII, in via della Conciliazione e in piazzetta Giovanni XXIII. Anche questo è uno spettacolo straordinario. Come la scalinata di San Pietro, ornata da un tappeto di 45 mila fiori donati da un floricoltore ecuadoregno, Josè Ricardo Dàvalos; da migliaia di rose e garofani donati da una cooperativa sanremese; da centinaia di warathas, straordinari fiori giunti dall’Australia.

In prima fila c’era anche il dottor Manuel Nevado Rey, il chirurgo guarito miracolosamente nel 1992 da una radioderrmite cronica: il suo è stato il miracolo approvato per la canonizzazione.

Il più giovane partecipante alla canonizzazione di Josemaria Escrivà è stata Mary Immaculate Ngwengeh Amungwa, nata domenica 22 settembre 2002 a Yaoundé in Camerun. Immaculate ha fatto il suo primo viaggio in compagnia dei genitori, Athanasius e Veronique. Sono partiti il 4 ottobre dall’aeroporto internazionale di Nsimalen. Uno dei pellegrini più anziani è padre Quirino Glorioso, 99 anni, sacerdote della diocesi di Laguna. nelle Filippine. Racconta che i parrocchiani, conoscendo la sua devozione per il nuovo Santo, hanno fatto una colletta per pagargli il viaggio.

Sul sagrato era presente il cardinale di età più avanzata, il gesuita Adam Kozlowiecki, nato in Polonia nel 1911 e attualmente residente in Zambia. Su richiesta del nuovo Santo, nel 1950 la Santa Sede approvò che anche i non cattolici potessero essere ammessi come cooperatori dell’Opus Dei. Da allora hanno collaborato alle attività della Prelatura tante persone di altre confessioni cristiane, come pure persone appartenenti ad altre religioni. In piazza c’era una loro folta rappresentanza:

Hinrich Bues, pastore protestante di Amburgo (Germania); il poeta russo Alik Zorin con un gruppo di ortodossi provenienti dalla Russia; il signor Tapio AboKallio, professore di religione luterana in una scuola di Helsinki (Finlandia) e altri luterani venuti dalla Svezia e dalla Norvegia; il pittore cinese Gary Cbu; una coppia di anglicani della Nigeria, il signor Gbenro Adeghola e la signora Funso Adeghola. E non si finirebbe più.

Al termine della Messa il Papa, con accanto il Prelato dell’Opera, è sceso in auto nella piazza, e poi tra due siepi di folla in via della Conciliazione, fermandosi ripetutamente a stringere mani, a benedire, a scambiare parole.

Questa mattina egli riceverà in udienza questa moltitudine incalcolata, dopo la Messa che il prelato monsignor Javier Echevarría avrà celebrato in piazza San Pietro. Sarà di nuovo un evento, una festa straordinaria.

Nel nome del Santo autore dei libri che hanno dato un nuovo orizzonte a tante vite, senza cambiarne l’orientamento professionale.

Moltissima gente ha avuto l’esperienza di vita accanto a un Santo come Escrivá . Il dottor Joaquín Navarro Valls, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, dice di avere avuto la certezza che i santi non nascono tali. La loro santità si costruisce giorno per giorno: con sforzo, con abnegazione, con l’ostinata determinazione di chi vuole svuotarsi di se stesso per riempirsi della presenza di Dio e degli altri. Per questo, accanto a lui si vivevano momenti umanamente deliziosi. Era vivace e cordiale e, quando necessario, persino chiassoso. Maestro di santità, intellettuale, con un dottorato in Diritto civile e uno in Teologia, scrittore finissimo, non esitava a farsi — sono sue parole — “giullare di Dio se questo poteva aiutare una persona a lui vicina a dimenticarsi di un momento di difficoltà, di incomprensione, di malattia. Il passare degli anni sembrava dargli non solo le inevitabili limitazioni fisiche, ma soprattutto buon umore.

Navarro Valls aggiunge: »Quando si è vissuto con un santo, si cambia l’idea della santità astratta, lontana, irraggiungibile, nella quale prevalgono solo gli aspetti inusuali, straordinari dell’esistenza.

Josemaria Escrivà insegnava a incontrare quel ‘qualcosa di divino” che si trova nella vita di tutti i giorni. Non una vita straordinaria fatta di improbabili momenti stellari, ma la vita quotidiana — nel lavoro, nella famiglia, nelle relazioni umane, nella salute e nella malattia — in cui lo straordinario è il cercare Dio con tenacia. Non cose straordinarie ma il fare straordinariamente bene le cose comuni di cui la vita è piena. Questo è l’atteggiamento che può fare del presunto o reale monotono grigiore della nostra quotidianità una vera opera di Dio»

Sandro Vavassori // L’Eco di Bergamo