Don Lucio: non corriamo dietro alle mode ma non siamo conservatori

Intervista a Mons. Lucio Norbedo, vicario regionale della Prelatura dell’Opus Dei per l’Italia uscita su Il Gazzettino di Venezia il 5 ottobre 2002.

E’ alla guida dell’Opus Dei in Italia da alcuni anni. In termini ecclesiali è definito vicario regionale della Prelatura. Don Lucio Norbedo è nato a Capodistria, ma è cresciuto a Mestre dove tutt’oggi ha numerosi amici, 58 anni, si è laureato in Filosofia a Padova negli anni caldi del contestazione giovanile. E’ stato assistente di storia della filosofia nella facoltà di Magistero a Verona, dedicandosi molto alla formazione cristiana di numerosi studenti. Ha conseguito la laurea in Teologia a Pamplona nell’Università di Navarra ed è stato ordinato sacerdote nel 1974.

Quattro anni fa è stato nominato vicario per l’Italia dall’attuale prelato dell’Opera, il vescovo mons. Javier Echevarría.

Don Lucio, come ha conosciuto l’Opus Dei?

Frequentavo l’ultimo anno del liceo a Mestre, dove abitavo. In occasione di un viaggio a Verona conobbi alcune persone dell’Opera. Poi furono loro a viaggiare da Verona o da Milano, dandomi la possibilità di conoscere e praticare lo spirito dell’Opus Dei. Rimasi conquistato da questo messaggio e vi riconobbi una chiamata divina che mi spinse a chiedere l’ammissione all’Opera.

Cosa vuol dire oggi nel Terzo Millennio per un laico essere dell’Opus Dei?

Vuol dire essere Chiesa, sentire con la Chiesa e lavorare per la Chiesa. Grazie alla formazione che riceve, un laico che fa parte della Prelatura è normalmente preparato a occupare nella vita sociale il ruolo che gli spetta e che si è conquistato con il suo lavoro, con una solida preparazione spirituale e umana, il che gli consente di trovarsi a suo agio nel proprio ambiente, dove si sforzerà di essere fermento di vita cristiana.

L’Opera ha fama di essere un’istituzione conservatrice. Perché?

Forse questa fama può essere diffusa fra quanti dividono arbitrariamente persone e istituzioni in blocchi contrapposti e già definiti. La Prelatura dell’Opus Dei non è conservatrice, perché i suoi fedeli fanno parte integrante del mondo che evolve e influiscono positivamente su tale evoluzione. Certo, non corrono dietro alle novità in quanto tali e non accettano i mutamenti del costume che non rispettano la dignità dell’uomo e della donna. Quanto alla dottrina, l’Opus Dei si impegna con umiltà e docilità a seguire fedelmente gli insegnamenti del Magistero. E’ il Magistero, con l’autorità ricevuta da Cristo, che conserva un deposito che non può cambiare, perché è divino. A qualcuno questo potrà non piacere, ma un cristiano non può dimenticare, come ricordava il Beato Josemaría, che non è la dottrina di Gesù che si deve adattare ai tempi, ma sono i tempi che si devono aprire alla luce del Salvatore.

Qual è il vostro stile?

Se comprendo bene la domanda, il nostro è “uno stile cristiano di vita”, fatto di normalità, lavoro, preghiera, e ancora preghiera e lavoro. Se allude a uno “stile” collettivo, l’unica uniformità – se così si può dire – fra i fedeli della Prelatura, è dato dalla consapevolezza della filiazione divina, certezza che il Beato Josemaría Escrivá ci trasmise, dopo averla vissuta con profonda consapevolezza per tutta la vita. Così come ci ha lasciato in eredità l’amore per la libertà: la libertà dei figli di Dio. In tutto il campo dell’opinabile (scelte culturali, professionali, politiche, economiche) ogni fedele dell’Opus Dei agisce con assoluta libertà e responsabilità personali.

Lei ha avuto modo di conoscere il Beato Josemaría: ha un ricordo particolare?

Non è facile scegliere. In questo momento ricordo in modo speciale uno degli ultimi incontri con lui nell’estate del ’72. Gli raccontavo che andando per la strada mi aveva colpito una cancellata completamente ridipinta con vernice a minio, per proteggerla dalla ruggine. Immediatamente il Beato Josemaría commentò: per noi la vernice al minio è la presenza di Dio. Se perdiamo la presenza di Dio, la visione soprannaturale, incominciamo ad arrugginire e finiamo per sbriciolarci. Sempre mi ha impressionato questa facilità e prontezza del Fondatore dell’Opus Dei per riportare anche i fatti più banali al piano soprannaturale del personale rapporto con Dio.

La santificazione del lavoro occupa un luogo centrale nell’insegnamento del Beato Josemaría. Cosa può fare concretamente un laico per diventare un santo?

Premesso che ogni vera santità passa attraverso la Chiesa e i suoi strumenti di salvezza e quindi i sacramenti, l’insegnamento del Beato era ed è che ognuno deve cercare di svolgere bene i compiti che già svolge: lavoro, relazioni sociali, famiglia, doveri di stato. Ma non per interesse, o per denaro o qualsiasi altro motivo, bensì per il Signore, cogliendo nei doveri che gli competono l’esplicita volontà di Dio, la possibilità di unirsi a Lui, amando questa volontà. E ci parlava dell’ “ascetica delle piccole cose”: fare bene le cose piccole e apparentemente insignificanti, perché raramente Dio ci chiama a servirlo in modo spettacolare e straordinario.

Che progetti ci sono per l’Italia e in particolare per il “suo” Veneto?

La Prelatura si occupa soprattutto di dare formazione spirituale, che ha la conseguenza di aumentare nelle persone il senso di responsabilità cristiana; ecco allora che vari fedeli della Prelatura, assieme a tante altre persone che non lo sono, si “lanciano”, oltre che nell’apostolato personale, a far sorgere iniziative di vario tipo, educative, sociali ecc., sempre senza alcun fine di lucro e con una finalità esclusivamente apostolica. In Italia ne sono sorte e ne stanno sorgendo altre, con la grazia di Dio e la buona volontà di tante persone. Quanto al Veneto, anche lì possono aumentare tali attività: Venezia, Verona, Padova, Vicenza, Conegliano; in questi posti e altrove tutto dipende dall’iniziativa di chi ci abita e ci lavora.

A quasi 75 anni dalla fondazione dell’Opus Dei, dove individua la particolare vitalità dell’Opera?

La vitalità dell’Opus Dei è la vitalità della Chiesa, di cui è parte integrante. Tale vitalità scaturisce dalla grazia che Dio non ci fa mai mancare. Nel caso dell’Opera espressione della grazia è il messaggio che il Signore volle affidare il 2 ottobre del 1928 al Beato Josemaría Escrivá, per ricordare agi uomini e alle donne del nostro mondo che tutti, tutti senza distinzione, sono chiamati ad essere santi vivendo fino in fondo le esigenze della vocazione battesimale nelle circostanze ordinarie della loro esistenza.

Qual è il problema che oggi la preoccupa maggiormente come uomo di fede?

Molte caratteristiche negative della società sono sotto gli occhi di tutti e il Papa non cessa di richiamare tutti gli uomini e le donne a ritrovare le radici cristiane della nostra civiltà e le ragioni per instaurare una civiltà dell’amore. Ma in noi non deve mai mancare la speranza nella Provvidenza, e la consapevolezza che il cristiano non può comunque stare nelle retrovie, nascosto, un po’ spaventato, in attesa di qualche evento miracoloso che gli tolga tutte le preoccupazioni. Come amava dire il Beato Josemaría il cristiano non deve avere preoccupazioni, ma occupazioni. Fondamentalmente deve occuparsi costantemente di fare di tutta la sua vita un servizio generoso agli altri.

Per i veneti, la fede che posto occupa?

Per un verso questa è una domanda a cui ogni veneto, anzi ogni cristiano, deve rispondere personalmente. Sul piano dei frutti di questa fede, credo comunque che, come in tutta Italia, ci sia un forte radicamento popolare della fede, anche grazie a un Episcopato e a un clero sempre in prima linea nella catechesi e nell’impegno pastorale. Da quelle terre sono nate e nascono migliaia di vocazioni al sacerdozio e di vocazioni religiose, di iniziative missionarie e di volontariato, ecc., segno di un cristianesimo vivo e presente.

Nicola Scopelliti // Il Gazzettino