"Una stanza di lavoro dove non succede nulla di straordinario"

L'autore del dipinto di Guadalupe Ortiz de Landázuri, beatificata il 18 maggio 2019 a Madrid, parla del processo creativo che lo ha portato a realizzare l'opera, che ora si trova nel Real Oratorio del Caballero de Gracia dove riposano i resti della beata.

Maestro Valdés, quali caratteristiche peculiari aveva per lei la commissione di un quadro per la beatificazione di una laica numeraria dell’Opus Dei?

In realtà, solo un po’ per volta mi sono reso conto dell’importanza del quadro che stavo dipingendo. È la prima santa laica dell’Opus Dei; se uno cerca nelle immagini di Google “quadro di una beata laica”, le immagini che appaiono non sono in genere molto attraenti; vale a dire, colori scuri, gonne lunghe e visi per il mio gusto troppo angelici o lontani dall’idea di laica. Naturalmente Guadalupe non si poteva dipingere così.

Ma neppure si poteva fare un ritratto moderno, per esempio con uno sfondo chiaro, perché il contesto in cui si trova è una chiesa barocca, e non sarebbe intonato: un classico moderno, ecco quale doveva essere il linguaggio.

un amico mi consigliò che la cosa migliore era che mi raccomandassi a Guadalupe.

Ora che ho menzionato la parola ritratto, un quadro di Guadalupe non poteva essere un semplice ritratto, ma una pittura nella quale si tentasse di esprimere chi è Guadalupe attraverso alcuni elementi simbolici che non fossero troppo complicati, ma carichi di contenuto.

In altre parole, mi trovavo piuttosto nei guai, come dissi a un amico; allora lui mi consigliò che la cosa migliore era che mi raccomandassi a Guadalupe, che avrebbe sistemato tutto, e così ho fatto.

Quali sono state le fonti d’ispirazione della figura della beata Guadalupe e dell’ambientazione del quadro?

Il processo creativo è stato questo: prima di tutto, dovevo partire da una foto del suo volto. Ho studiato tutte e ognuna di esse, le ho immaginate inserite in un quadro: quelle in cui sorrideva con la bocca aperta le ho scartate perché non mi sembravano adatte a un quadro, è un concetto diverso.

Ho studiato tutte le sue foto, le ho immaginate inserite in un quadro.

Alcune di quelle foto sono pian piano diventate l’immagine che noi abbiamo di Guadalupe, perché appaiono sulle copertine dei libri, sulle immaginette della sua devozione privata, ecc. Fra tutte quante, quella che mi è sembrata la migliore è quella che alla fine ho utilizzato nel quadro.

È una foto che ha i suoi problemi: forse ha una pettinatura d’epoca; Guadalupe era una donna alla moda, e che possiamo farci se la pettinatura degli anni '60 era quella; d’altra parte, la fotografia aveva un forte contrasto e sembrava anche alquanto seria, cosa che non rispecchia il carattere di Guadalupe.

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Comunque, mi sono reso conto che non è che non sorridesse, ma era il forte contrasto che non lasciava vedere bene un leggero sorriso. Tutto questo non è un problema per un pittore, perché tutto si può migliorare. Guardando la foto del volto con questo forte contrasto, ho pensato in quale contesto avrei potuto collocare Guadalupe in figura completa.

Nella foto la forte luce proviene da uno luce dello studio fotografico, ma se io non volevo usare quel tipo di luce, quale altro tipo di illuminazione avrei potuto adottare? Riflettevo.

bisogna innamorarsi, bisogna rinnovare le cose, essere fedeli al primo amore

Fu a quel punto che mi venne l’ispirazione che poteva essere una luce proveniente da una finestra, e immediatamente, come una catena di idee, mi sono ricordato della canzone italiana di Nilla Pizzi “Aprite le finestre”, ho cercato il testo della canzone e sono rimasto di stucco, perché sembrava che quelle parole avrebbe potuto rivolgerle la stessa Guadalupe dal quadro a chiunque la contemplasse: se si legge in chiave spirituale, il testo raccomanda di aprirsi agli altri e di andare incontro a loro, senza rimanere chiusi in noi stessi; dice che bisogna innamorarsi, che bisogna rinnovare le cose, essere fedele al primo amore; vale a dire, parla della vocazione...

Attraverso la finestra si dovrebbe vedere la primavera, un giardino e soprattutto una luce che rappresentasse Dio, ma non avevo spazio sufficiente, e da lì mi è venuta l’idea dei riflessi sul cristallo.

Ella, illuminata da una luce che entra da una finestra aperta, in una stanza di lavoro che è inondata dalla Luce esterna. Si doveva dirigere verso di essa, in un atteggiamento dinamico, non statico, con molti libri data la sua condizione di ricercatrice e docente, e con alcuni elementi specifici del mondo della chimica.

Il vestito, le scarpe e una stanza elegante ma sobria, come era lei, li ho ottenuti da una stessa famiglia fiorentina; penso che persino questo mi è stato ispirato da Guadalupe.

Ha avuto molto tempo a disposizione per preparare la bozza ed eseguire materialmente il dipinto?

No, tutto si è svolto in tempi rapidi, ma penso che sia stato positivo, perché noi pittori ritorniamo spesso sui quadri, e certe volte, per non saperci fermare a tempo, finiamo col fare troppi ritocchi.

in ogni momento ho avuto la sicurezza che ti dà qualcuno di fiducia che ti sta accanto e ti dà una mano.

Sono stupito di come è stato tutto facile, perché non ho avuto nessun contrattempo. Non mi piacerebbe che si pensasse che è stato qualcosa di miracoloso o cose del genere, ma in ogni momento ho avuto la sicurezza che ti dà qualcuno di fiducia che ti sta accanto e ti dà una mano.

Ogni epoca influisce, con i suoi gusti e il suo stile, sulle varie forme artistiche, comprese le iconografie sacre: a lavoro concluso, quali le sembrano essere gli elementi di novità nel quadro di Guadalupe?

Può apparire pretenzioso dire che ho innovato con questo o con quest’altro. Io non penso a queste cose.

Però mi sono visto obbligato, dato il tema, a ricorrere a elementi simbolici che esprimessero non solo come è Guadalupe, ma chi è Guadalupe; per arrivare a esprimere questo, non basta fare un semplice ritratto, come ho detto prima. Ho spedito la cassa contenente il quadro dalla Scuola d’Arte Sacra a Firenze, dove lavoro come professore di Pittura, e il giorno successivo è arrivata a Madrid.

il simbolo più importante è la normalità di una stanza di lavoro, dove non succede nulla di straordinario e da dove nasce una vita santa.

Due ore dopo mi è arrivata la prima foto del quadro per WhatsApp dalla profonda Africa, e in seguito da tutti gli angoli del mondo; e non solo le foto, ma anche alcune interpretazioni di tutta la simbologia, tutte belle e creative, che si suppone io abbia pensato; alcune troppo arrischiate, come quella di dire che il tappeto era l’arredamento Atzeco in ricordo degli anni da lei trascorsi in Messico...

Soprattutto, il simbolo più importante è la normalità di una stanza di lavoro, il silenzio di una sala di studio dove non succede nulla di straordinario e che da lì nasca una vita santa.

Poi vi sono altri simboli che si riferiscono concretamente alla sua vocazione nell’Opus Dei, come, per esempio, il libro che tiene fra le mani e il cuore, e i libri sul tavolo. Lei è rivolta verso la Luce, che è Dio, il primo amore di cui parla la canzone; lo fa attraverso la santificazione del suo lavoro come intellettuale, ed ecco il libro che ella tiene con sé.

I libri sul tavolo, lasciati lì in fretta, è la sua disponibilità a lasciare tutto questo per fare altre cose diverse o per andare in altri paesi, come realmente ella ha fatto.

Un altro esempio: la sedia strana che vi vede in fondo al quadro è una sedia africana tratta da un solo tronco, da un sol pezzo, che simbolizza l’unità di vita che ella seppe avere, come sfondo... E basta, non voglio dire altro, perché così lascio anche spazio alla immaginazione della gente.