La prima opera di misericordia corporale che la Chiesa ci propone consiste nel visitare e curare i malati: un compito che Gesù Cristo adempì con ininterrotta frequenza durante il suo passaggio sulla terra. Fra le tante scene del Vangelo, lo vediamo guarire la suocera di Pietro, ridare la salute alla figlia di Giairo, prendersi cura del paralitico della piscina di Betsaida o fermarsi davanti ai ciechi che lo aspettavano all’ingresso di Gerusalemme. La sofferenza di queste persone ci fa vedere come Dio va loro incontro, annunciando la salvezza che è venuto a portare a tutti gli uomini.
Nei malati il Signore contemplava l’umanità che aveva più bisogno di salvezza. Finché godiamo buona salute, possiamo avere la tentazione di dimenticarci dello stesso Dio, ma quando nella nostra vita appare il dolore o la sofferenza, forse ci ritorna alla mente il grido del cieco all’uscita da Gerico: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Nella debolezza, ci sentiamo creature particolarmente bisognose.
Dobbiamo anche interrompere il nostro cammino quando vediamo gli altri in difficoltà, come vediamo fare a Cristo. Lo Spirito Santo, Amore infinito, consolerà altre persone per mezzo della nostra compagnia, della nostra conversazione e del nostro silenzio rispettoso e costruttivo quando il paziente ne ha bisogno. Tutti noi siamo occupati ogni giorno in numerose attività, che si moltiplicano incessantemente, ma non dobbiamo permettere che un’agenda piena di impegni ci faccia dimenticare i malati.
Sono molti gli esempi di santi e di sante che hanno imitato Gesù anche in quest’opera di misericordia. Per esempio, san Josemaría era solito spiegare che l’Opus Dei era nato – come una necessità – negli ospedali, tra i malati. Da quando si era trasferito a Madrid, nel 1926 o 1927 e fino al 1931, ha collaborato intensamente in varie istituzioni assistenziali – il Patronato degli Infermi, la confraternita di San Filippo Neri, ecc. – che si dedicavano ai malati degli ospedali e dei sobborghi della capitale. Madrid contava allora più di un milione di abitanti; i sobborghi erano molto distanti tra loro, i mezzi di trasporto scarseggiavano e, allo scopo di servire i malati nelle loro case o nelle loro baracche, andava dove riteneva fosse necessario, sempre a piedi, e trasmetteva a tutti l’incoraggiamento di Cristo e il perdono di Dio Padre. Quante persone saranno andate in Cielo grazie a questo lavoro sacerdotale di san Josemaría!
In questi o in altri ospedali e luoghi, soprattutto a partire dal 1933, andava accompagnato da alcuni giovani che assisteva nella loro vita spirituale. Con loro, offriva ai pazienti parole di affetto oppure i servizi più diversi, come lavarli, tagliare loro le unghie, pettinarli o suggerire una buona lettura. Molti di questi giovani, proprio perché venivano a contatto con il dolore o la povertà di altre persone, hanno scoperto sino in fondo Gesù nel malato e nell’invalido.
Figlie e figli miei, amici e amiche che partecipate agli apostolati della Prelatura, questa attenzione rivolta ai deboli non deve limitarsi a una iniziativa dei primi tempi: l’Opus Dei continua a nascere e a crescere ogni giorno in te, in me, quando pratichiamo la misericordia verso chi è abbandonato, quando scopriamo Cristo nelle anime che ci stanno attorno specialmente in chi è tormentato da qualche male.
Come Cristo, portiamo loro la misericordia di Dio con le nostre attenzioni, con la nostra presenza, con i nostri servizi, anche con una semplice telefonata. Potremo così distrarli dal dolore o dalla solitudine, ascoltare con pazienza le preoccupazioni che li opprimono, trasmettere loro affetto e fortezza affinché reagiscano con dignità alle situazioni in cui si trovano; e possiamo ricordare loro anche che la malattia è un’occasione per unirsi alla Croce di Gesù.
In Cammino, opera conosciuta in tutto il mondo, san Josemaría scrisse: – Bambino. – Malato. – Nello scrivere queste parole, non senti la tentazione di usare la maiuscola? È perché, per un’anima innamorata, i bambini e i malati sono Lui”. Già fin da giovane – mi riferisco a san Josemaría – vedeva Cristo in coloro che soffrono, perché Gesù non solo guarì i malati, ma si identificò con loro. Il figlio di Dio subì inenarrabili dolori: pensiamo, per esempio, al suo esaurimento fisico e spirituale nell’orto degli ulivi, durante l’indescrivibile pena ad ogni staffilata durante la flagellazione, al dolore di testa e alla debolezza fisica che lo dovettero pervadere col passare delle ore durante la Passione...
Per coloro che hanno una malattia, questa situazione di sofferenza forse viene accolta come un peso oscuro e senza senso; la realtà può essere ritenuta incomprensibile e irragionevole. Perciò, se il Signore permette che proviamo il dolore, accettiamolo. E se dobbiamo andare dal medico, obbediamo docilmente alle sue indicazioni, cerchiamo di essere buoni pazienti: con l’aiuto del Cielo, sforziamoci di accettare questa situazione e di avere voglia di recuperare le forze per servire con generosità Dio e gli altri. Ma se la sua volontà fosse diversa, diciamo come la Madonna: fiat!, si faccia, si compia la tua volontà...
In tal modo, nella nostra preghiera sapremo rivolgerci al Signore, dicendogli: Io non capisco quello che vuoi, ma non chiedo neppure che me lo spieghi. Se Tu permetti la malattia, concedimi un aiuto per sopportare questi momenti: fa’ che mi unisca di più a te, che mi unisca di più a coloro che mi fanno compagnia, che mi unisca di più a tutta l’umanità. Poi, ripetendo una frase di san Josemaría, invochiamo lo Spirito Santo: “Oh Spirito di comprensione e di consiglio, Spirito di gioia e di pace!: voglio ciò che tu vuoi, voglio perché tu lo vuoi, voglio come tu vuoi, voglio quando tu vuoi...”.
Quanto fa bene all’anima di ciascuna e di ciascuno essere portatori della misericordia! Preghiamo il Signore, attraverso la sua Santissima Madre, di sostenerci affinché possiamo trasmettere l’affetto di Dio a coloro che non hanno sufficiente salute e accogliamo con pace la misericordia del Signore, se la sua Volontà si traduce nel fatto che ci uniamo a Lui mediante la Croce.