Ero forestiero e mi avete ospitato. Coloro che hanno ascoltato dalla bocca di Cristo queste parole conoscevano bene i pericoli che incombevano su quanti si avventuravano per le strade: ladri, bestie selvatiche, guai atmosferici e altri rischi. Anche Maria e Giuseppe, quando Gesù era venuto al mondo, avevano provato i problemi cui vanno incontro i viandanti. Una dopo l’altra si erano chiuse per loro le porte di Betlemme. Soltanto una stalla aveva accolto Dio alla nascita. Dopo qualche tempo, la Sacra Famiglia, perseguitata dal re Erode, fu costretta all’esilio in un paese straniero, senza poter portare quasi nulla con sé, data la fretta di mettersi in cammino.
Il Santo Padre ha detto che “la predicazione di Gesù ci presenta le opere di misericordia perché possiamo verificare se viviamo o no come suoi discepoli”. Pertanto, è il caso di chiedere a Dio nella nostra preghiera: Perché, Signore, ci inviti a dare ospitalità al pellegrino? Che cosa ci vuoi insegnare?
Dare ospitalità al pellegrino vuol dire accogliere l’estraneo, vuol dire fare spazio nel nostro mondo sicuro e stabile a chi ha bisogno di aiuto; vuol dire offrire una protezione a chi si vede minacciato, mettendo in gioco per loro anche la nostra comodità, condividendo il nostro benessere e, dunque, perdendo un poco della nostra tranquillità personale, ma sperimentando la gioia di farlo.
In questi ultimi mesi vediamo ogni giorno, con dolore, migliaia di persone che mettono a repentaglio e consumano la loro vita per ottenere una esistenza più degna in un paese o in un continente diverso dal proprio. Non è un fenomeno nuovo, ma recentemente le disuguaglianze sociali e le guerre hanno raggiunto livelli tali che né il mare né altri limiti naturali hanno potuto trattenere questo flusso migratorio.
Il forestiero non è più una figura lontana, ma è sempre più presente nelle vie delle nostre città. Il Papa ha fatto notare che, se guardiamo con indifferenza il doloroso viaggio di queste famiglie vuol dire che “abbiamo perduto il senso della responsabilità fraterna”.
Società che per secoli si sono sviluppate al calore del cristianesimo, affrontano ora questa sfida gigantesca. Perciò mi permetto di dire che avremo la capacità di accogliere coloro che si vedono costretti a emigrare soltanto se ci cimentiamo ogni giorno nella carità di Cristo. Questa misericordia – che tante volte li ha consolati nelle loro terre d’origine, ad opera dei missionari, dei religiosi e delle religiose, e di tanti uomini e donne di fede verso i quali dobbiamo essere molto grati –, ispirerà ora la creatività di molte persone.
Sarà necessario svolgere iniziative di diverso tipo per distribuire fra tutti il benessere indispensabile, i posti di lavoro, le case, l’educazione… Comprendiamo bene che non è soltanto un problema economico, ma soprattutto morale, perché quando un fratello reclama giustizia, il cristiano deve rispondere anche con la carità.
Nel Vangelo ci viene mostrato che il Signore, mentre predicava in Giudea e in Galilea, godette dell’ospitalità di molti suoi amici. E Gesù trasformava la vita di tutti coloro che gli aprivano le porte delle loro case: Marta, Maria e Lazzaro godettero così dell’amicizia del Redentore; Simone il fariseo imparò il valore del perdono; Zaccheo abbandonò la sua vita da egoista... Ora, ai giorni nostri, Cristo, nelle vesti di emigrante o di derelitto, cerca ancora amici che lo accolgano.
Tu e io possiamo ospitare il Signore nelle nostre anime ogni giorno, quando lo riceviamo nella santa Eucaristia. Sorelle e fratelli miei, amici e amiche, riflettiamo: Quale ospitalità offriamo al Redentore? Prepariamo bene il cuore come i personaggi del Vangelo predisponevano le loro case prima dell’arrivo del Maestro? Quali attenzioni affettuose riserviamo al divino Ospite?
Se parliamo dell’Eucaristia, non ci allontaniamo dal tema della misericordia, perché solamente un cuore che sa trattare Cristo e si sforza di amarlo sempre di più, sarà capace di accogliere il fratello che ha bisogno di aiuto, di lavoro o semplicemente di un’attenzione particolare.
Se curiamo la Comunione, il Signore ci farà diventare più generosi, più sensibili alla sofferenza altrui, più disponibili a offrire i nostri mezzi materiali, il nostro tempo o le nostre possibilità agli indigenti.
Anche san Josemaría dovette sottostare alla prova di chi è costretto a fuggire e a cercare un rifugio. A causa della persecuzione religiosa che si produsse in Spagna a partire dal 1936, dovette rifugiarsi per lunghi periodi di tempo in diversi luoghi di Madrid, in soffitte e in stanzini angusti, in luoghi scomodi e strani. Quando sapeva che le persone che lo avevano accolto non lo avrebbero denunciato, rivelava loro la sua condizione di sacerdote e – senza tema di mettere in pericolo la propria vita – offriva loro la possibilità di partecipare ai sacramenti, alla Confessione o all’Eucaristia, un vero sollievo in quei mesi difficili. In questo modo, tra l’odio e la paura che caratterizzano ogni conflitto, Cristo si faceva strada ancora una volta nel cuore di quelle persone.
Prima di terminare questo dialogo con voi, chiediamo alla Madonna e a san Giuseppe, pellegrini a Betlemme ed emigranti in Egitto, di insegnarci ad aprire la porta della nostra vita a quel Cristo che ci sta chiedendo di essere generosi verso coloro che hanno bisogno di essere accolti.