«Oggi la gente lavora tanto, e la tecnica in molti ambiti è arrivata lontano. Ma c’è tanta povertà dal punto di vista umano».
Francesco è nato e cresciuto a Perugia dove, dopo la maturità classica, ha studiato Giurisprudenza e poi frequentato la scuola legale. «Ho chiesto di diventare dell’Opera quando stavo per finire il liceo - racconta Francesco, che oggi ha quarantasette anni -. Un mio compagno di banco, che non aveva mai frequentato l’Opus Dei, mi invitò a un convegno in preparazione alla conferenza del Cairo sullo sviluppo demografico del 1994. A quel tempo eravamo entrambi attivi nella politica partitica e andammo a quel convegno per conoscere qualche persona importante da poter coinvolgere nelle nostre attività». Ma invece di qualche persona “semplicemente” importante, Francesco fece un incontro decisivo con Carlo, un giovane ingegnere che gli fece conoscere l’Accademia delle Volte, un luogo in cui si svolgono tutt’oggi attività di formazione cristiana come ritiri e circoli, e in cui i giovani possono studiare. «Diventai presto amico di Carlo - prosegue Francesco -, e iniziai a invitare qualche collega di liceo a studiare all’Accademia delle Volte. Dopo un po’ iniziò lì il primo circolo per giovani. Io a quei tempi facevo il catechista in parrocchia, e mi piaceva questo aspetto dell’approfondimento della formazione cristiana».
«In quelle settimane conobbi diverse persone “normali” che vivevano il celibato sin da giovani, come numerari - ricorda Francesco -. Dopo un po’ pensai: perché no? Ma c’erano alcune cose che mi trattenevano, come il fatto di essere figlio unico e di avere i genitori abbastanza anziani. Poi mi parlarono della vocazione di aggregato: per me fu un orizzonte provvidenziale, che mi permise di rimanere esattamente dov’ero e di continuare a prendermi cura della mia famiglia, restando a Perugia. Dopo l’Univ del 1995 chiesi l’ammissione all'Opus Dei».
Una cosa straordinaria come l’ascolto
Come tante altre persone dell’Opus Dei in tutto il mondo, Francesco vive in una città in cui non c’è un centro dell’Opera: «Il fatto di vivere da solo per vocazione per me è sempre un’occasione per spiegare lo spirito dell’Opus Dei - sottolinea Francesco - e condividere di aver fatto questa scelta come servizio nei confronti del prossimo. In una città piccola come Perugia questa disposizione mi ha messo nei radar di amici e conoscenti che mi cercano per un consiglio o per un aiuto. Nella società di oggi, essere disposti a dedicare un po’ di tempo per ascoltare qualcuno, viene visto come una cosa straordinaria, anche se non dovrebbe esserlo».
«Parte della mia vocazione - prosegue Francesco - è aiutare gli altri e ricordare a me stesso la bellezza della vita cristiana: il cristiano è chiamato a essere una persona d’ispirazione, umanamente attraente sulla quale gli altri possono far affidamento, ma la gente sembra essersene dimenticata. Se uno si vergogna di essere cristiano, come può essere sale della terra?»
Oggi Francesco lavora in uno studio di avvocati che si occupa di vari aspetti del diritto: «Siamo in tre, e ognuno ha le sue competenze. Io mi occupo di responsabilità penale e amministrativa degli enti. Lavoro per società quotate in borsa, partecipate in borsa, realtà di medie e grandi dimensioni».
Lavorare per gli altri, non solo per il MOL
Negli anni Francesco ha potuto fare consulenze a realtà industriali di vari ambiti, e sta portando avanti una piccola battaglia personale e professionale: «Cerco di trasmettere ai dirigenti delle società – spiega - che il MOL, “margine operativo lordo”, non è l’unica cosa che conta. Serve un buon modo di lavorare anche a livello industriale, perché l’adeguato assetto organizzativo di una società passa attraverso le persone. Bisogna curare l’attenzione alla formazione degli operai, dei quadri, degli impiegati, a partire dalle cosiddette seconde linee».
Un tema che Francesco approfondisce nelle sue consulenze è quello di ethical blindness (cecità etica): ovvero dei casi in cui una società non considera le conseguenze morali delle proprie azioni perché del tutto concentrata a produrre profitto, come nel famoso caso della Ford Pinto, un’automobile che se veniva tamponata aveva buone probabilità di prendere fuoco. La casa di produzione che la mise in commercio valutò sostenibile il rischio economico, senza considerare che sarebbero potute morire delle persone: quando ci fu la prima vittima, fu un vero disastro, sia economico che reputazionale. «Quando illustro questo e altri famosi casi ai dirigenti delle aziende, mi guadagno la loro attenzione, e in molti casi condividono con me il fatto che non avevano pensato in questi termini all’impostazione dei loro modelli di business».
Centro Bioetica Filèremo
«Circa quindici anni fa, un mio amico medico mi espose un reale caso di bioetica in cui era stato coinvolto: una giovane ragazza era rimasta coinvolta in un grave incidente stradale; una volta arrivata in ospedale, i medici si sono accorti che era incinta. Salvare la ragazza avrebbe senza dubbio compromesso la gravidanza, e si pose il problema di chi avvisare, perché la ragazza non era né sposata né convivente con il padre della creatura che portava in grembo. Dopo questa esperienza, insieme ad altre persone dell’Opera e vari amici, ci siamo posti il tema della formazione bioetica personalista per medici e operatori del settore sanitario». Per questo è nato il Centro Bioetica Filèremo, costituito da medici, filosofi e persone che vogliono approfondire questi temi: l’identità di genere, il suicidio medicalmente assistito, il rapporto medico-paziente. Le attività del centro sono rivolte a scuole, giovani e addetti ai lavori. Oggi il Centro di Bioetica è ente formatore della ASL di Perugia.
«In Amici di Dio - conclude Francesco - san Josemaría scrive che la libertà acquista il suo autentico significato quando viene esercitata al servizio della verità che redime, quando è spesa alla ricerca dell'Amore infinito di Dio, che ci scioglie da ogni schiavitù. Il fondatore dell’Opus Dei amava moltissimo la libertà personale, e questa libertà oggi è davvero centrale, perché le persone diventano facilmente schiave di tante piccole cose».