“Non ti dia pena essere niente”

Non dolerti se vedono le tue mancanze; l'offesa a Dio e lo scandalo che tu potresti cagionare: questo deve addolorarti. —Quanto al resto, lascia che sappiano come sei e ti disprezzino. —Non ti dia pena essere niente, perché così è Gesù che dovrà darti tutto. (Cammino, 596)

Dio nessuno l'ha mai visto — scrive san Giovanni Evangelista —; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato [Gv 1, 18], presentandosi allo sguardo attonito degli uomini: dapprima, come un neonato, a Betlemme; poi, come un bambino uguale agli altri; più tardi, nel tempio, come un adolescente assennato e sveglio; e, alla fine, con la figura amabile e attraente del Maestro, che faceva breccia nei cuori delle folle che lo seguivano con entusiasmo.

Basta rievocare pochi tratti dell'Amore di Dio che si incarna, e subito la sua generosità ci tocca l'anima, ci accende, ci spinge dolcemente a un dolore di contrizione per il nostro comportamento, così spesso meschino ed egoista. Gesù Cristo non esita ad abbassarsi per elevare noi dalla miseria alla dignità di figli di Dio, di fratelli suoi. Tu e io, invece, sovente ci inorgogliamo stoltamente per i doni e i talenti ricevuti, facendoli diventare un piedistallo per imporci sugli altri, come se il merito di certe azioni, portate a termine con relativa perfezione, dipendesse esclusivamente da noi: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? [1, Cor 4, 7].

Nel considerare la dedizione di Dio e il suo annichilimento — lo dico perché lo meditiamo, e ciascuno pensi a sé — la vanagloria, la presunzione del superbo rivelano la loro natura di peccati orrendi, proprio perché collocano la persona all'estremo opposto del modello che Gesù Cristo ci ha offerto col suo comportamento. Pensateci bene: Egli, che era Dio, umiliò se stesso. L'uomo, orgoglioso del proprio io, pretende a ogni costo di esaltare se stesso, non riconoscendo di essere fatto di rozza terraglia. (Amici di Dio, nn. 111-112)

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