Mio padre era macellaio, mia madre casalinga, entrambi abbastanza indifferenti alla fede. Ma un grande dono di Dio è stato avere come vicino di casa, nella stessa strada, Matteo, uno dei primi fedeli soprannumerari della Puglia, a cui è dedicata una targa in piazza san Josemaria, ad Apricena.
Il primo ricordo nitido della nostra amicizia risale alle elementari: veniva a bussarmi alle cinque del mattino per andare insieme alla novena di preparazione al Natale. Due anni fa mia moglie Donatina ed io abbiamo festeggiato cinquant’anni di matrimonio, insieme ai nostri cinque figli, i generi, le nuore e i tredici nipoti. Sono convinto che le preghiere e l’amicizia di Matteo, che ho frequentato per settantadue anni, abbiano cambiato la mia vita: quando da Apricena sono andato all’università (con qualche anno di ritardo), Matteo, che era molto paziente rispetto alla maturazione interiore delle persone, ripetendo spesso che “solo le zucche crescono velocemente”, mi fece conoscere la residenza universitaria di Bari, in cui si portavano avanti alcune attività di formazione cristiana dell’Opus Dei. Era il 1966. Quando nel 1963 mio padre morì all’età di cinquantatré anni, io non ne avevo ancora venti, e mi ostinavo a non accettare tale evento luttuoso. L’affetto e il sostegno di Matteo fecero per me la differenza, poiché mi aiutarono a vivere in modo più cristiano il lutto, trasformando le lacrime in preghiera.
Sono cooperatore dal 1968, e oltre agli aspetti pratici della formazione cristiana di cui beneficio da tantissimi anni, l’idea che più ha rivoluzionato la mia vita e di cui sono più grato all’Opera e a san Josemaria è quella del “minuto eroico”: alzarsi quando suona la sveglia, iniziare a lavorare quando prefissato, concludere all’orario stabilito, e offrire questi piccoli minuti per un amico in difficoltà o per la conversione di qualcuno.
Nel mio cinquantennale lavoro di ragioniere commercialista non sono mai stato né pasticcione né eccellente: ho sempre saputo “fare a gomitate”, in senso buono, cioè impegnarmi fino a raggiungere l’obiettivo. L’Opera mi ha aiutato a dare senso soprannaturale a questa mia ordinarietà.
Negli anni ho contribuito all’organizzazione di tante attività di formazione umana e cristiana, alcune volte semplicemente a far conoscere l’Opus Dei a chi ancora non aveva avuto questa fortuna. Ammetto di non essere mai stato il promotore principale di queste iniziative: mi considero un buon gregario. Di solito Matteo era un trascinatore, e io un trascinato. Oggi tra Apricena e Foggia (dove da dieci anni si svolge un ritiro spirituale ogni mese) tantissime persone conoscono l’Opera, anche grazie alla preghiera e alla determinazione di Matteo, che ci esortava all’impegno cristiano fino alla scocciatura: passato poco tempo dalla scocciatura, chi era stato esortato affermava “meno male che c’è Matteo”. Io spesso ero tra questi.
Ho imparato che apostolato e amicizia sono la stessa cosa, e che a volte una cosa così semplice come invitare a cena degli amici, stando un paio d’ore insieme senza “catechesi”, può portare molti frutti: riusciamo a trasmettere il nostro modo di vivere e di fare, anche grazie a piccole delicatezze come non mangiare di fretta per favorire la conversazione, e lasciare i telefonini fuori dal pranzo per dare agli ospiti tutte le attenzioni.
Sono molto grato all’Opus Dei e quindi a Dio per avermi fatto conoscere Matteo e le altre persone dell’Opera che come lui si sono spese per far conoscere Gesù a quante più persone possibili. Anche se non ho vocazione all’Opus Dei, sono convinto pienamente di quello che san Josemaría scrive in Solco al numero 927: «L’ apostolato consiste nel diffondere bontà, luce, entusiasmo, generosità, spirito di sacrificio, costanza nel lavoro, profondità nello studio, magnanimità nella donazione, aggiornamento, obbedienza assoluta e gioiosa alla Chiesa, carità perfetta… - Nessuno dà ciò che non ha».