Le lettere di san Josemaría. Intervista allo storico Luis Cano

Luis Cano lavora all’Istituto Storico San Josemaría Escrivá di Roma. Alla fine del 2020 ha pubblicato uno studio critico di quattro lettere inedite che il fondatore ha scritto per i membri dell’Opus Dei di tutti i tempi.

Il fondatore dell’Opus Dei, san Josemaría, ha scritto molte cose nel corso della sua vita: libri, lettere, istruzioni, appunti personali eccetera. Alcune delle sue opere ha potuto pubblicarle in vita, come Cammino o Santo Rosario, ma la maggior parte di esse sono inedite e si conservano nell’Archivio Generale della Prelatura.

Nel 2001 l’allora prelato dell’Opus Dei, Javier Echevarría, diede il via all’Istituto Storico San Josemaría Escrivá, che ha sede a Roma e a Pamplona, affinché un gruppo di storici si assumesse l’incarico di studiare e pubblicare questi documenti. Una parte importante di questo archivio è costituito dalle lettere che il fondatore ha scritto ai membri dell’Opus Dei, ma che possono avere interesse per molte altre persone.

Le prime quattro lettere sono state pubblicate per la prima volta pochi mesi fa. Luis Cano è il curatore di questo primo volume.

Qual è la struttura di questo libro?

Questo libro contiene quattro lettere lunghe dirette ai membri dell’Opus Dei di tutti i tempi. La maggior parte sono testi che all’interno dell’Opus Dei sono stati usati parecchio. In generale, in modo parziale. Finora non si era messo mano a una edizione completa per il pubblico in generale e in modo critico. Fanno parte di un gruppo di quarantatrè lettere che sono a tutt’oggi inedite e che egli ha ordinato apponendo alcune date. Noi abbiamo cominciato col pubblicare le prime quattro.

Perché finora non erano state pubblicate?

San Josemaría avrebbe voluto pubblicare queste lettere in una veste definitiva. Alla fine della sua vita si mise a rivederle, fino a poco tempo prima di morire, perché voleva correggere alcune inesattezze. Non riuscì a farlo, non ebbe il tempo, e morì prima di terminare questa revisione. Poi ci si accorse che la cosa migliore era aspettare di avere uno strumento, un istituto, che potesse preparare queste edizioni in maniera critica. Per un'edizione critica occorre confrontare attentamente i manoscritti esistenti, se c’è qualche piccola differenza, ecc. Questo portò alla creazione di questo istituto, che ha cominciato col fare questo tipo di edizione dei libri che erano stati già pubblicati e, in un secondo tempo, a poco a poco, abbiamo cominciato a occuparci dei libri inediti. La prima cosa è stata stabilire quali persone potevano occuparsi di questo lavoro, la metodologia da seguire, con che cosa cominciare...

Alcuni erano convinti che era meglio cominciare con la pubblicazione delle meditazioni inedite. Infatti alcuni anni fa Francesc Castells e io abbiamo pubblicato un libro sulle meditazioni inedite di san Josemaría. Altri erano del parere che le lettere fossero la cosa migliore e alla fine, effettivamente, ci siamo dedicati alle lettere. Le abbiamo studiate a fondo. È stato un lavoro piuttosto lento, ma credo che ora stiamo lavorando a un buon ritmo e con le successive andremo ancora più rapidamente.

Un’altra delle cause del ritardo della pubblicazione è stata che per parecchio tempo si è pensato che tutto questo materiale interessasse esclusivamente le persone dell’Opus Dei. In parte questo è vero, ma a mio giudizio sono testi che possono essere fonte di ispirazione per molte persone, evidentemente cristiane, e in alcune cose anche non cristiane.

Lo stesso san Paolo VI, quando morì san Josemaría, disse al suo successore che tutti questi testi che si conservavano inediti erano “un tesoro per la Chiesa”. Questo ci ha incoraggiato a presentarli e a vincere l'indecisione che può comportare la pubblicazione di questi contenuti.

In che cosa è consistito il suo lavoro come curatore di questo libro?

Prima di tutto è stato necessario rivedere i manoscritti originali e alcune versioni stampate che esistevano di ogni lettera, in modo da avere la certezza di presentare i testi esattamente come li voleva san Josemaría.

Lavorando su questo, ci siamo resi conto che egli li aveva corretti molte volte, di solito correzioni molto piccole, ma non le aveva unificate in un solo documento, ed erano sparse in molti testi. Li abbiamo studiati per capire bene quale fosse l’ultima versione e anche per ricuperare alcune cose che c’erano fino alla versione precedente, ma che egli alla fine aveva dimenticato di aggiungere. È un po’ un pasticcio, ma è stato il primo lavoro: confrontare bene ogni cosa per avere la certezza di proporre il testo che egli voleva.

Poi a ogni lettera abbiamo aggiunto una piccola introduzione, oltre a delle brevi note là dove mi sembrava che i lettori le avrebbero gradite, soprattutto quelli che non hanno familiarità con san Josemaría. Si è cercata anche l’origine di alcune citazioni che egli rammenta a memoria, di alcuni detti, così come le citazioni bibliche, che abbiamo riveduto molto a fondo (di Padri della Chiesa, ecc.). Poi è stata fatta, da don José Luis Illanes, una introduzione generale su tutto l’insieme di queste lettere e un’altra nella quale si spiega tutta la storia dei manoscritti e del documento in sé.

Alcune persone possono domandarsi perché il fondatore dell’Opus Dei scriveva tanto; e non solo questo, ma anche se tutto quello che scriveva ha la medesima importanza.

Egli dice espressamente che queste lettere “no os hacen falta”, non sono necessarie. “Tutto ciò che riguarda l’Opus Dei, ormai lo sapete, lo fate bene”. Questo è un riassunto, che potrà servire fra un secolo, nel caso che qualcuno non lo abbia conosciuto o non lo abbia ascoltato. Sono testi molto familiari, nulla a che vedere con un trattato. Si può definire piuttosto una conversazione: che va cambiando da un tema all’altro, che racconta delle battute...

Quando uno le legge è facile immaginare di avere il fondatore davanti. Questa è la funzione che hanno; non si tratta di “compiere a ogni costo quello che dico qui”, ma, come lui stesso dice testualmente, “questa è una conversazione di famiglia”.

Parliamo ora di queste quattro lettere appena pubblicate. Per esempio, la prima in che consiste?

La prima è uno scritto relativamente breve – nell’edizione critica si estende per diciannove pagine –, nel quale spiega i tratti essenziali della vita cristiana di oggi. Per esempio, comincia la lettera dicendo: “Il Signore ha messo gli occhi e il cuore nella moltitudine, in tutte le persone. Anche noi, come Gesù, dobbiamo stare sempre a contatto con la moltitudine. Infatti non c’è creatura umana che non amiamo, che non cerchiamo di aiutare e di comprendere. Ci interessano tutti”. In altre parole, dice che Dio oggi chiama i cristiani, e specialmente i membri dell’Opus Dei, i cooperatori, gli amici e i simpatizzanti, a preoccuparsi di tutti, a non tendere a rifugiarsi in un ghetto, a proteggersi, ad andare in un hotel chic o in un club esclusivo, e lì dedicarsi a fare i bonaccioni e a vivere al sicuro. Dice invece che bisogna andare incontro a una moltitudine che oggi, soprattutto in Occidente e specialmente i giovani, si sta allontanando da Dio.

In realtà insiste parecchio su questo messaggio: “In questo consiste il grande apostolato dell’Opera: mostrare a questa moltitudine che ci aspetta qual è il sentiero che porta dritti dritti a Dio”. Questo non significa indottrinare la gente o praticare loro il lavaggio del cervello. Egli afferma ripetutamente che si tratta di un servizio, il migliore che possiamo prestare a una persona che sta al nostro fianco e alla quale vogliamo bene.

Dice anche una frase che mi sembra molto significativa: “Comprendere tutti per servire tutti”. Per poter servire bisogna comprendere e per comprendere bisogna ascoltare. Di questo parlerà molto nella quarta lettera. Come dico, questa prima lettera riassume tutto il suo pensiero, tutto il suo spirito, pur essendo così breve. Poi queste cose le svilupperà meglio.

Per esempio, nel numero 22 dice questa frase: “Dobbiamo riempire il mondo di luce”. Naturalmente poi spiegherà che non si tratta di convertire il mondo in una sacrestia, ma di riempirlo di luce. Non della nostra luce, che è piuttosto fioca, ma di quella che Cristo ti dà, che ti permette di percepire la realtà delle cose e la loro bellezza, la loro verità. Questo significa illuminare tutte le professioni: l’arte, lo sport, la musica, le reti sociali, internet... Tu porti una luce che in qualche modo trasforma, rende tutto più bello.

È chiaro che per avere questa luce devi inserire la batteria. Egli parla molto su come ci dobbiamo caricare: per esprimerci in maniera metaforica, con un intimo rapporto personale con Gesù Cristo. Non con una idea o una ideologia, ma con una Persona. Dice concretamente: “Il Signore ci sta parlando continuamente nei mille dettagli di ogni giornata”.

Invece il tema della seconda lettera è molto più concreto, perché parla della virtù dell’umiltà. A che cosa credi sia dovuto?

In realtà tutte le lettere non hanno un solo tema, perché egli non è un autore sistematico. Lui stesso lo dice nella lettera numero 15: “Le mie lettere non sono un trattato”. In questa lettera mescola molte cose, coinvolge altre virtù, come la fedeltà, la capacità di risollevarsi dopo le cadute, la semplicità di chiedere consiglio e l’aiuto a una persona che ci vuol bene, quando in noi c’è qualcosa che ci opprime.

Parla molto anche delle sconfitte, delle cadute, dei peccati in cui restiamo invischiati ogni giorno. Dice, per esempio, che “nella nostra lotta spirituale non mancano le sconfitte. Però, in questo caso, quando sbagliamo, quando siamo in errore, dobbiamo reagire immediatamente facendo un atto di contrizione”. In altre parole, quando constatiamo la nostra miseria non serve a niente mettere la testa sotto la sabbia come fa lo struzzo o torturarsi con i sentimenti di colpa. E dice così: “Si chiede perdono a Dio e si ricomincia”. Questo è in gran parte il contenuto di questa lettera.

Ecco perché poi dice, per esempio, che “bisogna vedere l’aspetto positivo delle cose. Quello che sembra più tremendo nella vita, non è tanto nero, non è tanto cupo. Se fate il punto della situazione non arriverete a conclusioni pessimiste”. È un modo di vedere le cose che nasce dalla fiducia in Dio, non dal pensiero positivo. Vale a dire, ognuno di noi è come una boccetta di profumo di lusso, che contiene una cosa che non è sua e che è di gran pregio. Quando uno si sente vuoto, quello che deve fare è chiedere a Dio che lo riempia – dico così, in parole povere – in modo che possa darlo agli altri.

In tal modo egli spiega che l’umiltà diventa “la condizione necessaria per essere utili, per avere una vita feconda”. In realtà a me sembra che questa lettera sia un commento della frase di san Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte”.

L’umiltà è una virtù che serve a rimanere unito a Gesù, per non perdere quel legame di cui parlavo prima. Per questo dice: “Siamo innamorati e viviamo di amore. Cerchiamo di riporre sempre il nostro cuore in Gesù Cristo, Signore nostro”. Questo è, come ho detto all’inizio, uno di quei leitmotiv che Escrivá ripete. È il suo modo di intendere la vita cristiana, molto unita a Gesù Cristo, di amicizia profonda con Lui, di semplicità nei confronti di Lui, sapendosi inoltre, come dicevo, costantemente perdonati e compresi da Dio, amati da Dio. Malgrado le nostre sconfitte e malgrado che certe volte ci comportiamo male. Ripete continuamente che sarai caduto mille volte, ma Dio non ti ama perché ti sei comportato bene; ti ama perché sei suo figlio o sua figlia, e perché ti vuol bene. Non perché sei un genio e un santarello, ma semplicemente perché sei quello che sei. E questo ti riempie di quell’amore che egli dice che è il motore di tutto, quello che ti fa essere fedele a Dio e ti fa vivere la vita cristiana.

Una volta lei ha affermato che la terza lettera le sembra straordinariamente moderna. Perché?

Bene, forse era moderna anche per me, perché la conoscevo poco. La terza lettera è lunga e molto ricca di contenuto; mi ha sorpreso piacevolmente quando l’ho letta nel 2019, all’inizio del mio lavoro in questo campo. Quello che si domanda è che cosa deve fare un cristiano nel mondo, qual è la sua missione: devo imporre la mia verità agli altri perché è una verità che salva? Devo scegliere una precisa posizione politica per sostenere questo programma? I valori cristiani devono illuminare la vita pubblica o sono una cosa privata?

Prima di tutto bisogna dire che questa lettera è un canto alla libertà e alla responsabilità dei cristiani. Per esempio, dice: “Veniamo a santificare qualunque impegno umano onesto, con un lavoro ordinario, proprio nel mondo, in maniera laicale e secolare, a servizio della Chiesa Santa, del Romano Pontefice e di tutte le anime. Per riuscire in ciò, dobbiamo difendere la libertà”. Credo che questo sia una cosa abbastanza originale.

Nello stesso tempo, questa lettera è anche un canto al lavoro. Per esempio, dice che “dobbiamo amare ogni genere di lavoro umano, perché il lavoro è il mezzo per la santificazione delle anime e per la gloria di Dio”. Assicura che nel bel mezzo di questo lavoro onesto ogni donna, ogni uomo può ascoltare la chiamata di Cristo, quella chiamata personale “che conferisce al lavoro un significato di missione che nobilita e dà valore alla nostra esistenza. Infatti Gesù, con un atto di autorità, si mette nell’anima, nella tua, nella mia. Questo è la chiamata”. Mi sembra che questo sia anche abbastanza attuale. Lo può essere anche la mancanza di lavoro, evidentemente. Dice che la chiamata di Gesù Cristo non è che ti cambi la vita, ma ti dà di essa una visione nuova. È come se si accendesse una luce dentro di noi. Questo deve indurci ad essere testimoni di Cristo in tutti i campi dell’attività umana.

Incoraggia molto a servire gli altri attraverso tutte le professioni. Spiega, per esempio, che “la presenza leale e disinteressata nel campo della vita pubblica offre immense possibilità per fare il bene”. Di fatto, parla parecchio e dà consigli per vivere nell’onestà se uno deve ricoprire un posto autorevole, sia in una impresa privata che in una pubblica. Sono criteri molto interessanti per un cristiano che vive con realismo la propria vita nel mondo.

Nello stesso tempo spiega con molta chiarezza che l’Opus Dei “non ha nessuna politica, non è questo il suo fine. La nostra unica finalità è spirituale e apostolica. Per questo l’Opera di Dio non si è cimentata né si cimenterà mai nella lotta politica dei partiti”. Anche questo è interessante ascoltarlo in forma categorica dal fondatore, che non aveva nessuna intenzione di fare manovre politiche, anche solo per diffondere ottimi valori cristiani. Piuttosto, attraverso la sua luce, ognuno cercherà di illuminare le cose che fa, dandole il colorito della propria fede, ma senza tentare di imporre o di manovrare.

Tutto questo si deve inquadrare in uno spirito di comprensione e di apertura. Infatti, alla fine di questa lettera dice una cosa che mi ha sorpreso per quanto è categorica: “Questo modo di comportarsi – agire con comprensione e apertura – fa parte dell’essenza stessa dell’Opera. Il Signore, infatti, ci vuole dappertutto, mentre spargiamo il seme della comprensione, della giustificazione, del perdono, della carità, della pace. Non ci sentiremo mai nemici di nessuno. Mai l’Opera potrà fare discriminazioni, mai vorrà escludere nessuno dal suo apostolato. Altrimenti, tradirebbe il suo stesso fine”. A questo punto, finisce la lettera.

L’ultima lettera pubblicata, la quarta, parla della evangelizzazione. Il contesto nella quale san Josemaría la scrisse non sembra in nulla simile a quello attuale, almeno nei paesi di tradizione cristiana. Moltissime cose sono cambiate. Continuano ad essere valide le parole dell’autore in questo 2021?

Me lo sono chiesto anch’io, però è abbastanza attuale. Penso che questa lettera sia una continuazione di quella precedente. È una mia idea, però ho la sensazione che la lettera precedente gli era venuta molto lunga e decise di interromperla lì e scrivere un’altra lettera più breve, perché questa è relativamente breve.

In essa sviluppa proprio queste idee: bisogna comprendere tutti per servire tutti, avvicinarsi a tutti e non aver paura. Anche alle persone che in fatto di religione la pensano in maniera opposta alla tua. Nel primo paragrafo dice che “l’Opus Dei ha un modo peculiare di insegnare il Vangelo. Questo modo peculiare ci invita alla comprensione, alla giustificazione, alla carità delicata verso tutte le anime”. Vale a dire, il male esiste, ma egli pensa che un cristiano, una persona dell’Opus Dei, deve “affogare il male in abbondanza di bene”. Questa frase è sta citata spesso ed è in questa lettera che appare.

Nello stesso tempo dice anche che la fedeltà alla verità, la coerenza dottrinale e la difesa della fede “non richiedono uno spirito triste, né debbono essere sostenute dal desiderio di annientare colui che sbaglia”. Sono diverse le frasi dedicate alle persone che “si lasciano trascinare dall’ira, dal fanatismo o dalla esagerazione, e che trasformano la loro vita in una eterna crociata”. In verità, quello che egli vuole sottolineare è proprio il contrario, che la comprensione va vissuta.

E continua: “È necessario, anche, che ascoltiate, che siate disposti a intavolare un dialogo franco e cordiale con le anime che volete avvicinare a Dio”. In altre parole, non dobbiamo imporre un'ideologia o una serie di idee agli altri, ma dobbiamo servirli. E per servirli, dobbiamo comprenderli; per comprenderli, dobbiamo ascoltarli. Inoltre, a metà di questa lettera, dice che “per portare agli altri la verità il procedimento è pregare, comprendere, frequentarsi. e poi far riflettere e aiutare a studiare le cose”.

Alla fine della lettera, poi, lo ripete anche in maniera perentoria: “Questo è il nostro spirito e lo dimostreremo aprendo sempre la porta delle nostre case a persone di tutte le ideologie e di tutte le condizioni sociali, senza alcuna distinzione, con il cuore e le braccia disposti ad accogliere tutti. Non abbiamo il compito di giudicare, ma il dovere di trattare fraternamente tutti gli uomini. Non esiste un’anima che noi escludiamo dalla nostra amicizia”.

A un lettore non specializzato nella storia dell’Opus Dei o in una edizione critica, come raccomanderebbe di leggere questo libro?

L’introduzione è un po’ lunga e può darsi che a una persona interessi leggere i testi e l’introduzione non gli dica nulla. Forse la cosa migliore è che cominci direttamente a leggere il testo, e se uno si fa delle domande, ritorni pure indietro. Infatti molte note sono collegate alle date in cui fu composto, quando fu scritto, con la problematica di un manoscritto che nella stampa subì non so che... Cose che alla maggioranza dei lettori non interessano.

L’edizione critica si rivolge agli specialisti, a persone che probabilmente vogliono fare, per esempio, uno studio teologico. E in questo caso vogliono sapere se una certa frase l’ha detta esattamente così o no, se l’ha cambiata... A queste piccole cose serve l’edizione critica, a dare la certezza che questo è il testo autentico.

Per un pubblico generico si stanno preparando edizioni che prescindono dalle lunghe introduzioni e conservano ben poche note. Alla fine c’è un glossario con alcuni termini tecnici nel caso che qualcuno non li conosca. Però credo che il testo si capisca abbastanza bene, perché la maniera di parlare e di scrivere di san Josemaría era molto semplice.