"Io qui sono utile?" Un prete nei paesi dei Pirenei

​Pubblichiamo un contributo di Luis Cano da una raccolta di testimonianze di sacerdoti della Società Sacerdotale della Santa Croce, realtà composta da chierici fondata da san Josemaría nel 1943 e indissolubilmente unita all’Opus Dei. Le testimonianze si basano sugli archivi e sui colloqui con alcuni di questi sacerdoti, che chiesero l’ammissione in questa società sacerdotale dal 1950 in poi.

Jaume Font Espigolé era nato a Gerona e in quella città era stato ordinato sacerdote a 23 anni. È stato anche uno dei primi di quella diocesi a chiedere, nel marzo del 1954, l’ammissione nella Società Sacerdotale della Santa Croce. Ha prestato servizio in diversi paesi della diocesi, come Torroella de Montgrí o Beget, nella Valle di Camprodón, nei Pirenei. A quei tempi questo paese non aveva strade di accesso. Non poteva essere raggiunto da nessun veicolo a ruote - né carri, né biciclette -, ma ci si arrivava soltanto a piedi. Tutti i trasporti erano a dorso di mulo e – spiegava don Jaume – la vita era più cara che non a Madrid o a Barcellona. L’elettricità e il telefono, invece, erano già arrivati in paese e funzionava anche, e molto bene, il servizio postale.

Non si può dire che le cose andassero a meraviglia per il buon sacerdote. Anche per questo l’ho scelto. Ogni domenica celebrava tre messe e predicava e si metteva a disposizione nel confessionale del suo villaggio dei Pirenei, ma – a quel che raccontava – la maggior parte delle domeniche nessuno passava dal suo confessionale. Si occupava anche di altre chiese nei villaggi vicini, come Rocabruna, e, dopo aver camminato un paio di ore per raggiungere il paese, spesso trovava a messa sette bambini, cinque donne e due o tre uomini, su un totale di centocinquanta abitanti del paese.

Perciò don Jaume si domandava in una lettera: “La tentazione più grande che abbiamo è la poca efficacia del lavoro. Io qui sono utile? È questa la domanda che mi faccio spesso. Non ho molto lavoro. Predico e tutto va avanti come prima. Mi avvicino ai fedeli e molti si allontanano. Mi do da fare e loro proseguono per la loro strada. Non lavoro di più perché non ho più lavoro”.

La Spagna era un paese confessionalmente cattolico; però la pratica religiosa in molti luoghi della penisola era scarsa. In ogni caso, ciò che dava coraggio a don Jaume Font i Espigolé, nel freddo e nell’isolamento, era sentirsi membro di una famiglia spirituale, quella dell’Opus Dei, che nel 1950 aveva aperto le porte ai sacerdoti incardinati nelle diocesi. Così, nella sua lettera di richiesta di ammissione, del 1° marzo 1954, scriveva: “Da quel giorno vivo un’altra vita, sono rinato a vita nuova. Sono più ottimista, uomo di maggior orazione, di maggior sacrificio e di maggior povertà. Non sono mai stato così contento, se non il giorno della mia ordinazione. Mi dedico all’Opera senza titubanza e senza risparmio”. Per don Jaume (e per moltissimi altri sacerdoti). sentirsi compreso, aiutato e accompagnato da altri sacerdoti dell’Opera è stato, a quanto pare, un buon aiuto.

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I sacerdoti diocesani che aderiscono alla Società Sacerdotale della Santa Croce continuano a essere incardinati nella loro diocesi e il loro vescovo continua a dar loro incarichi, li cambia di parrocchia e così via. L’Opus Dei fornisce loro stimoli spirituali perché riescano a essere buoni sacerdoti, preti santi. Si tratta dello stesso aiuto - circoli, ritiri, convivenze, direzione spirituale, ecc. - che ricevono i membri laici dell’Opera per cercare di vivere il messaggio di santificare la vita di ogni giorno.

Oggi questa società è formata da circa 4.000 sacerdoti di tutto il mondo. La metà appartenevano già all’Opus Dei come numerari prima di essere ordinati sacerdoti. Altri duemila, più o meno, appartengono a diocesi di molti paesi, come Filippine, Stati Uniti, Nigeria, Lettonia, Cile o Libano.