Tracce della nostra fede
Compiuto il tempo della purificazione della Madre, secondo la Legge di Mosè, bisogna andare con il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. (Santo Rosario, IV mistero gaudioso).
Per un cristiano, la Città Santa riunisce i ricordi più preziosi del passaggio sulla terra del nostro Salvatore, perché in Gerusalemme Gesù morì e risuscitò dai morti. Fu anche lo scenario della sua predicazione e dei miracoli, e delle ore intense che precedettero la sua Passione, durante le quali istituì la pazzia d’Amore della Eucaristia. In quello stesso luogo – il Cenacolo – nacque la Chiesa che, riunita intorno a Maria, ricevette lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste.
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Storia della Città Santa
In realtà il protagonismo di Gerusalemme nella storia della salvezza era già iniziato molto prima, con il regno di Davide, tra gli anni 1010 e 970 prima di Cristo. Grazie alla sua situazione topografica, la città aveva costituito come un’enclave del popolo gebuseo, inespugnabile per gli israeliti nella loro conquista della terra promessa. Occupava la cima di una serie di colline disposte come gradini in ordine ascendente: nella parte sud della zona più elevata – conosciuta ancora oggi con i nomi di Ofel o Città di Davide - si trovava la fortezza gebusea; nella parte nord il monte Moria, che la tradizione giudea identificava con il luogo del sacrificio di Isacco (Cfr. Gn 22, 2; e 2 Cr 3,1).
Il massiccio, con un’altezza media di 760 metri sul livello del mare, era circondato da due torrenti profondi: il Cedron sul lato orientale – che separa la città dal monte degli Ulivi -, e il Ginon o Gehenna sul lato occidentale e meridionale. I due si univano con un terzo, il Tiropeòn, che attraversava le colline da nord a sud.
Quando Davide prese Gerusalemme, si stabilì nella fortezza e realizzò diverse costruzioni (Cfr. 2 Sam 5, 6-12), costituendola capitale del regno. La convertì inoltre come centro religioso di Israele con il trasporto dell’Arca dell’Alleanza, che era il segno della presenza di Dio tra il suo popolo (Cfr. Sam 6, 1-23), e con la decisione di edificare in onore del Signore un tempio che gli servisse da dimora (Cfr. 2 Sam 7, 1-7. E anche 1 Cr 22, 1-19; 28, 1-21; e 29, 1-9). Secondo le fonti bibliche, suo figlio Salomone iniziò le opere di costruzione del Tempio nel quarto anno del suo regno, e lo consacrò nell’undicesimo (Cfr. 1 Re 6, 37-38), vale a dire verso il 960 a. C. Anche se non è possibile giungere a prove archeologiche – per la difficoltà di realizzare scavi in quella zona -, la sua costruzione e il suo splendore sono descritti in dettaglio nella Sacra Scrittura (Cfr. 1 Re 5, 15-6, 36; 7, 13-8, 13; e 2 Cr 2, 1-5, 13).
Luogo di incontro con Dio
Il Tempio era il luogo di incontro con Dio mediante la preghiera e, soprattutto, mediante i sacrifici; era il simbolo della protezione divina sul popolo, della presenza del Signore sempre disposto ad ascoltare le richieste e a soccorrere coloro che ricorrevano a Lui nelle necessità. Così appare evidente nelle parole che Dio rivolse a Salomone:
-Ho ascoltato la tua preghiera; mi sono scelto questo luogo come casa ove sacrificare. (…). Ora i miei occhi saranno aperti e i miei orecchi attenti alla preghiera fatta in questo luogo. Ora io mi sono scelto e ho consacrato questa casa perché il mio nome vi resti sempre; i miei occhi e il mio cuore saranno là tutti i giorni. Quanto a te, se camminerai davanti a me come ha camminato Davide, tuo padre, facendo quanto ti ho comandato, e osserverai le mie leggi e le mie norme, io stabilirò il trono del tuo regno come ho promesso a Davide, tuo padre, dicendo: "Non ti sarà tolto un discendente che regni in Israele". Ma se voi devierete e abbandonerete le leggi e le norme che io vi ho proposto, se andrete a servire altri dèi e a prostrarvi davanti a loro, vi sterminerò dalla terra che vi ho dato, ripudierò questo tempio che ho consacrato al mio nome, lo renderò la favola e lo zimbello di tutti i popoli. Questo Tempio, che appariva tanto eccelso agli occhi di coloro che vi passavano davanti, si convertirà in rovine- (Cfr. 2 Cr 7, 12-21. 1 Re 9, 1-9).
La storia dei secoli seguenti mostra fino a quale punto si siano compiute queste parole. Dopo la morte di Salomone, il regno fu diviso in due: quello di Israele a nord, con capitale Samaria, che fu conquistato dagli assiri nel 722 a. C.; e il regno di Giuda a sud, con capitale Gerusalemme, che fu sottomesso a vassallaggio da Nabucodonosor nel 597. Il suo esercito rase al suolo la città, compreso il Tempio, nell’anno 587, e deportò la maggior parte della popolazione a Babilonia.
Prima della distruzione di Gerusalemme, non mancarono profeti inviati da Dio che denunciavano il culto formalista e l’idolatria, e spingevano ad una profonda conversione interiore; ricordarono anche che Dio aveva condizionato la sua presenza nel Tempio alla fedeltà all’Alleanza, ed esortarono a conservare la speranza in una restaurazione definitiva. In questo modo andò crescendo la convinzione, ispirata da Dio, che la salvezza sarebbe giunta per la fedeltà di un servo del Signore che obbedendo avrebbe preso su di sé i peccati del popolo.
Il secondo tempio e l’arrivo dei romani
Non dovettero trascorrere molti anni perché gli israeliti sentissero di nuovo la protezione del Signore: nel 539 a. C., Ciro, re di Persia, conquistò Babilonia e concesse loro la libertà di tornare a Gerusalemme: nello stesso luogo in cui era sorto il primo Tempio, venne edificato il secondo, più modesto, che fu dedicato nel 515. La mancanza di indipendenza politica per quasi due secoli non impedì lo sviluppo di un’intensa vita religiosa. Questa relativa tranquillità continuò durante l’invasione di Alessandro Magno nel 332 a. C. e anche durante il governo dei suoi successori egizi, la dinastia tolemaica.
La situazione cambiò nel 200 a. C. con la conquista di Gerusalemme da parte dei Seleucidi, altra dinastia di origine macedone che si era stabilita in Siria. I suoi tentativi di imporre l’ellenizzazione al popolo giudeo, che culminarono con la profanazione del Tempio nel 175, provocarono una sollevazione popolare. Il trionfo della rivolta dei Maccabei permise non solo di restaurare il culto del Tempio nel 167, ma favorì anche che i loro discendenti, gli Asmonei, regnassero in Giudea.
Nel 63 a. C., la Palestina cadde nelle mani del generale romano Pompeo, dando inizio ad una nuova epoca. Erode il Grande si fece nominare re da Roma che gli fornì un esercito. Nel 37, dopo aver consolidato il suo potere utilizzando anche mezzi non esenti da brutalità, conquistò Gerusalemme e iniziò ad abbellirla con nuove costruzioni: la più ambiziosa di tutte fu il restauro e l’ampliamento del Tempio, che realizzò a partire dal 20 a. C.
Il pellegrinaggio della Sacra Famiglia al Tempio
Santa Maria e San Giuseppe avranno compiuto pellegrinaggi al Tempio nella loro fanciullezza, e per tanto già conoscevano il Tempio quando, compiuti i giorni della purificazione, vi si recarono con Gesù per presentarlo al Signore (Lc 2,22). Erano necessarie diverse ore per coprire a piedi o in groppa ad una cavalcatura i dieci chilometri che separano Betlemme dalla Città Santa. Probabilmente erano impazienti di compiere la prescrizione di cui non sospettavano il vero significato: “la presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.529).
Al fine di ricordare la liberazione dall’Egitto, la Legge di Mosè ordinava la consacrazione a Dio del primo figlio maschio (Cfr. Es 13, 1-2 e 11-16); i suoi genitori dovevano riscattarlo mediante un’offerta, che consisteva in una quantità di argento equivalente al salario di venti giorni. La Legge stabiliva anche la purificazione legale delle madri dopo aver partorito (Cfr. Lv 12, 2-8); Maria Immacolata, sempre vergine, volle sottomettersi con semplicità a questo precetto, anche se di fatto non ne era obbligata.
La strada verso Gerusalemme segue con una leggera pendenza l’ondulazione delle colline. Quando ormai stavano vicini, da qualche curva avranno visto profilarsi all’orizzonte il monte del Tempio. Erode aveva fatto raddoppiare la superficie della spianata costruendo enormi muri di contenimento – alcuni di quattro metri e mezzo di spessore – e riempiendo gli spazi con terra o con una struttura di archi sotterranei. Formò così una piattaforma quadrangolare i cui lati misurano 485 metri ad ovest, 314 a nord, 469 ad est e 280 a sud. Nel centro, circondato a sua volta da un altro recinto, si innalzava il Tempio propriamente detto: era un edificio imponente, ricoperto di pietra bianca e lastre d’oro, alto 50 metri.
La strada da Betlemme terminava alla porta di Jaffa, situata nel lato ovest delle mura della città. Da qui, diverse stradine conducevano quasi in linea retta al Tempio. I pellegrini erano soliti entrare dal lato sud. Ai piedi del muro erano numerosi i negozi dove San Giuseppe e la Madonna potevano acquistare l’offerta per la purificazione prescritta per i poveri: un paio di tortore o di piccioni. Salendo per una delle ampie scalinate e attraversando quella che era chiamata la Porta Doppia, si accedeva alla spianata attraverso alcuni monumentali corridoi sotterranei.
Il passaggio sfociava nel cortile dei Gentili, la parte più spaziosa di quella superficie gigantesca. Era diviso in due zone: quella che occupava gli ampliamenti ordinati da Erode, il cui perimetro esterno era dotato di alcuni magnifici portici; e quella corrispondente all’estensione della spianata precedente, i cui muri erano stati rispettati. Sempre rumoroso per il vociare delle moltitudini, il cortile accoglieva indistintamente quelli che desideravano radunarsi in quel luogo, stranieri ed israeliti, pellegrini e abitanti di Gerusalemme. Questo chiasso si mescolava anche con il rumore degli operai, che continuavano a lavorare in molte zone non ancora terminate.
Il recinto del Tempio: l’incontro con Simeone
San Giuseppe e la Madonna non si trattennero lì. Attraversando per le porte di Hulda il muro che divideva l’atrio, e lasciandosi alle spalle il soreg –la balaustra che delimitava la parte proibita ai Gentili sotto pena di morte-, finalmente arrivarono al recinto del tempio, nel quale si entrava dal lato orientale. Probabilmente fu allora, nell’atrio delle donne, che l’anziano Simeone si avvicinò loro. Era andato lì “mosso dallo Spirito” (Lc 2,27), sicuro quel giorno di vedere il Salvatore, e lo cercava tra la moltitudine. “Vultum tuum, Domine, requiram!” ripeteva San Josemaría alla fine della sua vita per esprimere il suo vivo desiderio di contemplazione.
Mentirei se negassi che mi commuove tanto il desiderio di contemplare il volto di Gesù Cristo. Vultum tuum, Domine, requiram. Cercherò, Signore, il tuo volto. Mi riempie di gioia chiudere gli occhi, e pensare che giungerà il momento, quando Dio vorrà, in cui potrò vederlo, non “come in uno specchio o attraverso immagini opache… ma faccia a faccia" (1 Cor, 13-12) (San Josemaría, Appunti raccolti in una riunione di famiglia, 10-IV-1974).
Alla fine Simeone riconobbe il Messia nel Bambino, lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: -Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli- (Lc 2, 28-31).
“In questa scena evangelica –insegna Benedetto XVI- si rivela il mistero del Figlio della Vergine, il consacrato del Padre, venuto nel mondo per compiere fedelmente la sua volontà (cfr Eb 10,5-7). Simeone lo addita come “luce per illuminare le genti” (Lc 2,32) e annuncia con parola profetica la sua offerta suprema a Dio e la sua vittoria finale (cfr Lc 2,32-35). È l’incontro dei due Testamenti, Antico e Nuovo. Gesù entra nell’antico tempio, Lui che è il nuovo Tempio di Dio: viene a visitare il suo popolo, portando a compimento l’obbedienza alla Legge ed inaugurando i tempi ultimi della salvezza. (Benedetto XVI, Omelia nella celebrazione dei Vespri della festa della Presentazione del Signore, 2-II-2011).
Simeone benedisse i giovani sposi e poi si rivolse a Nostra Signora: - "Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori". (Lc 2, 34-35). Nell’ambiente di luce e di gioia che circonda la venuta del Redentore, queste parole completano quanto Dio è andato rivelando: ricordano che Gesù nasce per offrire un’oblazione perfetta e unica, quella della Croce (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 529). In quanto a Maria, ”il suo ruolo nella storia della salvezza non si esaurisce nel mistero dell'Incarnazione, ma si completa nell'amorosa e dolorosa partecipazione alla morte e alla risurrezione del Figlio suo. Portando il Figlio a Gerusalemme, la Vergine Madre lo offre a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo” (Benedetto XVI, Omelia durante la Messa nella Festa della Presentazione del Signore, 2-II-2006).
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La purificazione della Vergine
Ancora colpiti dalle parole di Simeone, a cui seguì l’incontro con la profetessa Anna, San Giuseppe e la Madonna si saranno diretti alla porta di Nicanore, situata tra l’atrio delle donne e quello degli israeliti. Avranno salito i quindici gradini della scalinata semicircolare per presentarsi davanti al sacerdote, che avrebbe accolto le offerte e benedetto la giovane sposa mediante un rito di aspersione. Con questa cerimonia fu riscattato il Figlio e purificata la Madre.
Vedi? scrisse san Josemaría contemplando la scena, Lei — l'Immacolata! — si sottomette alla Legge come se fosse impura.
Bambino mio, imparerai anche tu da questo esempio a non essere sciocco e a compiere la Santa Legge di Dio nonostante tutti i sacrifici che richiede?
Purificarsi! Noi due sì che abbiamo bisogno di purificazione! — Espiare, per trovare aldilà dell'espiazione, l'Amore. — Un amore che cauterizzi, che bruci le scorie della nostra anima, che sia fuoco che accende di fiamma divina la miseria del nostro cuore (Santo Rosario, IV mistero gaudioso).
La Chiesa condensa gli aspetti di questo mistero nella sua orazione liturgica: “Dio onnipotente ed eterno, guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio del tuo unico Figlio fatto uomo, e concedi anche a noi di essere presentati a te pienamente rinnovati nello spirito” (Cfr. Messale Romano, Orazione colletta nella festa della Presentazione del Signore).
La distruzione del Tempio
Gesù Cristo aveva profetato che del Tempio non sarebbe rimasta pietra su pietra (Cfr. Mt 24, 2; Mc 13, 2; Lc 19, 44 e 21, 6). Queste parole si compirono nel 70, quando fu incendiato durante l’assedio delle legioni romane. Cinquant'anni più tardi, soffocata la seconda sollevazione ed espulsi i giudei di Gerusalemme, pena la morte, l’imperatore Adriano ordinò di costruire una nuova città sulle rovine dell’antica. La chiamò Aelia Capitolina. Sopra le rovine del Tempio furono innalzati i monumenti con le statue di Giove e dello stesso imperatore.
Nel secolo IV, quando Gerusalemme si convertì in una città cristiana, si costruirono numerose chiese e basiliche nei Luoghi Santi. Tuttavia, il monte del Tempio rimase abbandonato, anche se si permise l’accesso ai Giudei una volta l’anno per pregare ai piedi del muro occidentale, davanti a quello che ancora oggi è detto il Muro del Pianto.
L’espansione dell’Islam, che giunse a Gerusalemme nel 638, sei anni dopo la morte di Maometto, cambiò tutto. I primi governanti focalizzarono la loro attenzione sulla spianata del Tempio. Secondo una tradizione, Maometto sarebbe asceso al cielo da lì. Subito furono costruite due moschee: una al centro, sopra il luogo che precedentemente doveva essere stato occupato dal Santo dei Santi, quella della cupola della Rocca, terminata nell’anno 691, che conserva ancora l’architettura originale; a sud, dove si trovava il portico più grande dell’epoca di Erode, la moschea di Al-Aqsa, che fu terminata nel 715, sebbene abbia subito vari restauri importanti lungo la storia.
Da allora, eccettuati i brevi regni dei crociati dei secoli XII e XIII, i musulmani sempre hanno detenuto il diritto su questo luogo: denominato Haram al-Sharif -il Santuario Nobile- lo considerano il terzo luogo più sacro dell’Islam, dopo La Mecca e Medina.
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Gli Atti degli Apostoli ci hanno trasmesso numerose testimonianze di come i Dodici e i primi cristiani si recavano al Tempio per pregare e dare testimonianza della resurrezione di Gesù davanti al popolo (Cfr. At 2, 46; 3, 1; 5, 12.20-25). Nello stesso tempo si riunivano nelle case per la frazione del pane (Cfr. At 2, 42 e 46), cioè per celebrare l ‘Eucaristia: fin dall’inizio, erano coscienti del fatto che “l’epoca del tempio è passata. Arriva un nuovo culto in un tempio non costruito da uomini. Questo tempio è il suo Corpo, il Risorto che raduna i popoli e li unisce nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue” (Joseph Ratzinger/ Benedetto XVI, Gesù di Nazareth. Dall’Ingresso in Gerusalemme fino alla Resurrezione, p. 32).