Discorso di Giovanni Paolo II per il congresso Univ 95

Sì, il lavoro, come vi esorta a fare il Beato Josemaría Escrivá, “deve convertirsi in preghiera”: atto sincero di offerta al Signore, accettazione serena del sacrificio, dono spesso difficile ma terreno di crescita nelle virtù.

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Martedì, 11 aprile 1995

Carissimi,

Anche quest’anno è una gioia per me darvi il benvenuto a Roma, dove vi siete riuniti per il vostro Congresso Universitario Internazionale. Vi saluto tutti con affetto. A voi, professori e studenti, provenienti da 300 Università di ben 60 Paesi, auguro di trarre il massimo profitto dallo scambio di idee e di esperienze che scandirà queste giornate. Non è certamente casuale la scelta della Settimana Santa come cornice dei lavori di questo incontro. Perciò il mio principale auspicio è che sappiate approfondire l’argomento del Congresso in modo veramente coerente con lo spirito di questo significativo tempo liturgico.

La commemorazione della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo è mistero sempre vivo ed attuale, nel quale ciascun uomo si trova personalmente inserito secondo tutte le dimensioni della propria vita.

il lavoro, come vi esorta a fare il Beato Josemaría Escrivá, “deve convertirsi in preghiera”

Il lavoro tende a realizzare in noi la “vocazione a essere persona”. In questo senso appare come un supporto alla lotta per la santità. Quello che ci rende santi “non è il lavoro”, ma “l’azione della grazia in noi”; infatti, è lungo tutto l’arco della vita e, quindi, nell’orizzonte specifico dell’operare quotidiano, che si realizza il nostro corrispondere alla grazia. Possiamo dire che il lavoro ci offre il luogo, l’ambito, il mezzo o, se preferite, gli strumenti e il linguaggio della nostra risposta alle sollecitazioni dell’amore di Dio. Il lavoro – con gli interessi positivi che suscita, gli stimoli che produce nei suoi protagonisti, la ricchezza delle sue motivazioni, la sua durezza e la sua fatica, così come con la monotonia che a volte lo accompagna – vede dilatarsi in questo modo i significati che gli sono propri: “non è solo espressione della dignità dell’uomo”, fattore di sviluppo della sua personalità, vincolo di unione con gli altri uomini, fonte di sostentamento per la famiglia e mezzo per contribuire al progresso della società; ma soprattutto, e prima ancora di tutto questo, “è un compito che ci è stato affidato da Dio”, segno della sua fiducia nell’uomo e testimonianza dell’amore della creatura per il suo Creatore.

In questa prospettiva vi invito a coltivare, durante gli anni fecondi degli studi universitari, la giusta “passione professionale” e ad arricchirla con un alto anelito di santità. “Dio vi parla nel lavoro” e il lavoro quotidiano contiene tutto il lessico della vostra risposta. Sì, il lavoro, come vi esorta a fare il Beato Josemaría Escrivá, “deve convertirsi in preghiera”: implorazione di aiuto, atto sincero di offerta al Signore, accettazione serena del sacrificio, dono spesso difficile ma sempre generoso, terreno di crescita nelle virtù.

Domandatevi: il mio lavoro è riflesso della Croce? In tutte le prove che nascono dall’attività lavorativa, nella fatica che essa genera, so sorridere a Cristo che mi viene incontro porgendomi la Croce?

Cari giovani, sono certo che la vostra visita a Roma durante la settimana Santa e la vostra riflessione sui temi del congresso dell’UNIV di quest’anno vi saranno di sicuro aiuto a maturare ancor più nel vostro impegno a evangelizzare la società attraverso l’esempio e l’amore. Il mondo ha bisogno di giovani cattolici in grado di “rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro” (1 Pt 3, 15). Il che vale soprattutto nel mondo del lavoro e dell’attività professionale. Vi esorto a continuare a dare testimonianza della vostra fede nella fedeltà alle domande etiche e spirituali dei vostri doveri professionali.

Con il tema dell’incontro da voi realizzato fate vostro il significato emergente del lavoro, che deve sempre corrispondere ad una visione dell’uomo che sia conforme al senso di giustizia e che sia portatrice di significato in se stessa, e mai deve essere subordinata ad un terzo fine. Possano le vostre preghiere e il vostro lavoro qui a Roma essere produttivi per il vostro impegno cristiano a casa, nelle vostre parrocchie ed episcopati.

Carissimi giovani, vivete sempre il lavoro nello spirito di Cristo; parteciperete così all’opera della Redenzione. La garanzia che il lavoro viene eseguito in autentica coerenza con lo spirito di Cristo sta proprio nel servizio specificamente cristiano che, attraverso il lavoro, rendiamo ai fratelli: i vincoli di amicizia e di collaborazione che si consolidano, operando gomito a gomito con i colleghi, vanno trasformati – con la preghiera e la penitenza, con la parola e con l’esempio – in occasioni di evangelizzazione. E non dimenticate che l’atto culminante della Redenzione, come meditiamo in questi giorni, è stato consumato da Gesù sul Calvario. Domandatevi pertanto: il mio lavoro è riflesso della Croce? In tutte le prove che nascono dall’attività lavorativa, nella fatica che essa genera, so sorridere a Cristo che mi viene incontro porgendomi la Croce?

Carissimi, affido i vostri ideali ed i vostri progetti a Maria, silenziosa e dolente ai piedi della Croce, a Maria testimone prima della gloria della Risurrezione. Vi auguro di tutto cuore di trascorrere una felice e santa Pasqua, mentre imparto a voi, ai vostri familiari, ai promotori del vostro Congresso l’Apostolica Benedizione.

© Copyright 1995 - Libreria Editrice Vaticana

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