Un don Chisciotte di Dio

Attraverso la beatificazione di Josemaría Escrivá sappiamo che questo sacerdote del nostro secolo si trova nel coro di coloro che lodano Dio, e che la parola della lettura di oggi lo riguarda: “Quelli che ha giustificati li ha anche glorificati”.

La misteriosa Apocalisse di San Giovanni, che in modo così terrificante ci informa del passato e del futuro della nostra storia, rivela ancora una volta il cielo alla terra e ci mostra che Dio non ha abbandonato il mondo. Il male può anche avere il sopravvento in diverse occasioni, ma alla fine la vittoria di Dio è sicura.

Fra le tribolazioni della terra si fa sentire sempre più forte un canto di lode. Intorno al trono di Dio si trova un crescente coro di eletti, le cui vite — trascorse nella dimenticanza di sé — si sono ora trasformate in gioia e glorificazione. Questo coro non canta soltanto nell'aldilà; si prepara nella storia, pur rimanendovi nascosto. Ciò è reso chiarissimo dalla voce che proviene dal trono, cioè dalla sede di Dio “Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!” (Ap 19, 5). È un’esortazione a svolgere il proprio compito in questo mondo, entrando così a far parte della liturgia dell'eternità.

Attraverso la beatificazione di Josemaría Escrivá sappiamo che questo sacerdote del nostro secolo si trova nel coro di coloro che lodano Dio, e che la parola della lettura di oggi lo riguarda: “Quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (Rm, 8,30). Glorificazione non è solo futuro, è già passato: la beatificazione ce lo ricorda. “Lodate Dio, voi piccoli e grandi”.

Josemaría Escrivá ha visto in questa chiamata la sua vocazione, ma non l’ha applicata solo a sé e alla sua vita. L’ha considerata una missione da compiere: trasmettere la chiamata di Dio, proclamarla a gran voce nel nostro secolo. Ha invitato i grandi e i piccoli a dare lode a Dio e proprio in questo modo egli stesso ha reso lode a Dio.

Josemaría Escrivá divenne ben presto consapevole che un progetto divino lo riguardava da vicino, che Dio aveva bisogno di lui per un compito particolarissimo. Ma non conosceva questo compito. Come trovare una risposta, dove cercarla? Si mise alla ricerca soprattutto nell'ascolto della parola di Dio, nella Sacra Scrittura.

Non ha letto la Bibbia come un libro del passato, nemmeno come un libro di problemi di cui discutere, ma come una parola attuale, che parla all’uomo di oggi, come una parola in cui siamo noi, ognuno di noi, e in cui dobbiamo cercare il nostro posto, per trovare la nostra strada.

In questa ricerca lo commosse in modo particolare la storia di Bartimeo, il mendicante cieco che lungo la strada per Gerico sentì che Gesù passava, e iniziò a invocare pietà ad alta voce (Mc 10,46-52). Mentre gli apostoli cercavano di metterlo a tacere, Gesù si rivolse a quel povero cieco e gli chiese: “Che cosa vuoi che io faccia?”. E la risposta di Bartimeo fu: “Signore, che io veda!”.

Josemaría riconobbe sé medesimo in Bartimeo. “Signore, che io veda!”, era la sua costante invocazione, “che conosca la tua volontà nei miei confronti!”. Solo quando si impara a vedere Dio, si vede bene. E si inizia a vedere Dio quando si vede la volontà di Dio e si vuole ciò che Lui vuole. Il desiderio di vedere la volontà di Dio e mettere la propria volontà in quella di Dio fu e rimase la vera attività della vita di Escrivá. “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Attraverso questa ricerca, questa incessante preghiera, egli fu pronto al momento dell'illuminazione a rispondere come Pietro: “Signore, sulla Tua parola getterò le reti” (Lc 5,5).

Il suo sì non fu meno arrischiato di quel sì di allora nel mare di Genesaret dopo una notte infruttuosa: la Spagna era pervasa di odio contro la Chiesa, contro Cristo, contro Dio. Si voleva cancellare la Chiesa dalla Spagna quando a lui fu dato il compito di gettare le reti per Dio. Ma egli ha calato le reti di Dio, come pescatore di Dio, instancabilmente, per tutta la sua vita, nelle acque della nostra storia, per portare grandi e piccoli alla Luce e far sì che ci vedessero.

La volontà di Dio. Paolo dice ai Tessalonicesi: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1 Ts 4,3). La volontà di Dio è in fin dei conti semplice e nella sua sostanza uguale per tutti: santità. E santità vuoi dire, come ci dice la lettura di oggi, farsi simili a Cristo (Rm 8, 9). Josemaría Escrivá non ha considerato il santificarsi come una vocazione per se stesso, ma soprattutto come un compito per gli altri: infondere il coraggio per la santità, raccogliere per Cristo una comunità di fratelli e sorelle. La parola “santo” nel corso del tempo ha subito una pericolosa restrizione, operante ancora oggi. Pensiamo ai santi raffigurati sugli altari, a miracoli e a virtù eroiche, e sappiamo che si tratta di qualcosa di riservato a pochi eletti, tra i quali noi non possiamo essere annoverati. Lasciamo la santità a questi pochi sconosciuti e ci limitiamo a essere così come siamo.

Josemaría Escrivá ha scosso le persone da questa apatia spirituale: no, santità non è qualcosa di insolito, ma una realtà abituale e normale per tutti i battezzati. Non consiste in gesta di un imprecisato e irraggiungibile eroismo, ha migliaia di forme; può essere realizzata in ogni stato e condizione. È la normalità. Consiste in questo: vivere la vita abituale con lo sguardo rivolto a Dio e plasmarla con lo spirito della fede. Per questo scopo il nostro Beato ha viaggiato instancabilmente per i continenti e ha parlalo agli uomini per infondere loro il coraggio della santità, cioè l'avventura dell'essere cristiani, ovunque la vita ci abbia posti. Cosi Josemaría è diventato un grande uomo d'azione, che viveva della volontà di Dio e alla volontà di Dio chiamava, ma senza fare il moralista.

Sapeva che non possiamo salvarci da soli; cosi come l'amore presuppone l'essere amato, anche la santità ha bisogno di un altro elemento: l'accettazione di essere amati da Dio. La sua fondazione si chiama Opus Dei, non Opus nostrum. Non volle creare alcuna opera sua, l'opera di Josemaría Escrivá: non volle costruire un monumento per sé. “La mia opera non è la mia opera”, poteva e voleva dire sulla linea di Cristo, nel conformarsi con lui (cfr Gv 7, 16): non voleva fare una cosa propria, ma lasciare spazio a Dio per realizzare la sua opera. Di sicuro egli era anche consapevole delle parole che Gesù rivolge a noi nel Vangelo di san Giovanni: “questa è l'opera di Dio, la fede” (cfr Gv 6, 29) — cioè l'immergersi in Dio, affinché Egli possa agire attraverso di noi.

In questo modo si realizza un’ulteriore identificazione con un'altra frase evangelica: le parole di Pietro nel Vangelo di oggi diventano le sue parole: “Homo peccator sum”, sono un uomo peccatore. Quando il nostro Beato diventò consapevole della ricca pesca della sua vita, provò spavento — come Pietro — dinanzi alla sua pochézza paragonata a ciò che Dio aveva voluto fare con lui e attraverso di lui. Si è definito un “fondatore senza fondamento” e uno “strumento inetto”; sapeva bene che non era stato lui a fare tutto ciò, non poteva essere stato lui; era stato Dio, invece, ad agire, servendosi di uno strumento chiaramente inadeguato. E anche questo corrisponde al concetto di “virtù eroica”: accade ciò che solo Dio stesso può fare. Josemaría Escrivá riconosceva la sua inadeguatezza, ma si è abbandonato in Dio e non ha guardato a se stesso, e senza una domanda su di sé e sulle sue cose ha agito per la realizzazione della volontà di Dio, Ha sempre parlato delle sue “pazzie”: inizi senza mezzi, inizi nell'ambito dell'impossibile.

Apparivano pazzie, che doveva osare e che osò. Vengono alla mente le parole del suo grande compatriota spagnolo, Miguel De Unamuno: “Solo i pazzi fanno le cose serie; i savi realizzano solo cose insensate”. Egli osò essere come un don Chisciotte di Dio. Forse che non appare donchisciottesco insegnare, nel mondo d'oggi, umiltà, obbedienza, purezza, distacco dai beni, altruismo? La volontà di Dio era per lui la vera ragione, e così era in grado di vedere poco per volta la ragione di ciò che era visibilmente irrazionale.

Volontà di Dio. La volontà dì Dio ha luogo e forma concreta in questo mondo: ha un corpo. Nella sua Chiesa è rimasto il corpo di Cristo. E, per questo, l'obbedienza alla volontà di Dio è inseparabile dall'obbedienza alla Chiesa. Soltanto se si vive la propria missione nell'obbedienza alla Chiesa si ha la certezza di non confondere le proprie idee con la volontà di Dio, ma di seguire veramente la sua chiamata. Perciò Josemaría Escrivá ebbe l'obbedienza alla gerarchia della Chiesa e l'unità con essa come criterio fondamentale della sua missione.

Nella Chiesa non c’è alcun positivismo dell'autorità: la Chiesa non è un sistema di potere; non è un’unione dagli scopi religiosi, sociali o morali, che programma il modo migliore di raggiungerli o, eventualmente, li cambia con scopi più adeguati. Essa è sacramento.

Questo vuol dire che non appartiene a se stessa. Non realizza la propria opera, ma quella di Dio. È legata alla volontà di Dio. I sacramenti sono l’autentica impalcatura della sua esistenza. Il centro dei sacramenti è l’Eucaristia, in cui ci commuove con estrema immediatezza questa corporeità di Gesù. Pertanto l'ecclesialità, per il nostro Beato, ebbe soprattutto un nome: vivere per mezzo dell’Eucaristia: Egli ha amato e annunciato l’Eucaristia in tutte le sue dimensioni: come adorazione del Signore, sacramentalmente presente fra di noi; come dono, in cui Egli continua a offrirsi a noi; come offerta, secondo la Parola: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato” (Eb 10, 5; cfr Sal 40,6-8). Cristo ci si può dare in dono poiché ha fatto offerta di sé medesimo; si dà in olocausto poiché si è dato in olocausto e ha realizzato l'esodo dell'amore. Diventiamo conformi all'immagine del Figlio solo se diventiamo offerta, solo se aderiamo a questo esodo dell'amore: non c'è amore senza il passivo della passione, che ci trasforma e ci apre.

Quando Josemaría Escrivá aveva due anni ed era in pericolo di vita, e i medici lo avevano dato per spacciato, sua madre decise di affidarlo a Maria. Fra grandi disagi, per sentieri impraticabili, si recò con il bambino al Santuario mariano di Torreciudad per offrirlo alla Madre del Signore, affinché gli facesse da madre. Sicché Josemaría Escrivá durante la sua vita fu consapevole di essere sotto il manto della Madre di Dio, che gli era madre.

Nella sua stanza di lavoro, di fronte alla porta, c’era l'immagine della Madonna di Guadalupe; tutte le volte che entrava in quella stanza il suo primo sguardo cadeva su questa immagine. Fu anche il suo ultimo sguardo. Nei suoi ultimi istanti aveva appena varcato la soglia della stanza, guardando l'immagine della Madonna, quando sopraggiunse la morte.

Mentre moriva suonavano le campane dell'Angelus, annunciando il fiat di Maria e la grazia dell'incarnazione del Figlio, nostro Salvatore. In questo segno, che è all’inizio della sua vita e da cui lui ricevette sempre l'orientamento, è andato in cielo. Noi vogliamo ringraziare il Signore per queste testimonianze della fede nel nostro tempo, per questo instancabile annunciatore della sua volontà, e vogliamo pregarlo: Signore, fa che anch’io veda! Fa che anch’io conosca e faccia la tua volontà!

Amen.