Imitare Cristo: il significato della mortificazione cristiana

Javier Sesé è Dottore in Sacra Teologia nell’Università di Navarra.

“Dio è Amore”, afferma san Giovanni nella sua prima lettera; e continua: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.

La grande manifestazione dell’infinito amore di Dio per ognuno, uomini e donne, è la passione e morte di Cristo sulla Croce.

Ricambiare amore per Amore

È caratteristico di una persona innamorata e riconoscente ricambiare amore per amore, e l’amore si manifesta con parole e con opere. Quanto maggiore è l’amore, tanto più infiammate sono le parole e le opere più generose e frutto di sacrificio.

Perciò i cristiani innamorati di ogni epoca si sono sforzati di manifestare il loro amore di Dio con le parole (preghiera) e con i fatti (sacrifici), rispondendo così all’amore di Dio dimostrato nella sua parola (predicazione, vangelo, insegnamenti) e nel suo sacrificio sulla Croce.

Ma è anche caratteristico delle persone innamorate somigliare al massimo alla persona amata, seguire da vicino i suoi passi, rispondere nello stesso modo dell’altro, per quanto possibile.

Digiuno, astinenza, veglie, discipline e cilici

Proprio per questo, fin dall’inizio del cristianesimo, gli innamorati di Cristo si sottoposero a quei sacrifici che più si avvicinavano allo stesso sacrificio di Cristo: al digiuno di Gesù risposero con il digiuno e l’astinenza; al suo non avere “dove posare il capo” con veglie, oppure dormendo per terra o su letti e cuscini duri; alla sua flagellazione, con la flagellazione (discipline); alla sua incoronazione di spine, con cinture cosparse di aculei o cose simili (cilici); alla sua “via crucis”, caricandosi una croce sulle spalle (nazareni), ecc.

Tutto questo con la generosità di innamorati e con l’umiltà e la prudenza di chi sa di dovere tutto, persino la sua stessa vita, all’amore di Gesù: ecco perché proprio quegli stessi che hanno imitato e imitano la flagellazione, la coronazione di spine o la “via crucis”, non hanno avuto bisogno né hanno bisogno (salvo pochi esaltati, sempre disapprovati dalla Chiesa) di inchiodarsi a una croce con veri chiodi o mettere in pericolo la propria vita e la propria salute spingendo all’estremo queste mortificazioni corporali.

Senza pericolo per la salute

Molti sono stati i martiri orgogliosi di essere torturati o uccisi per Gesù Cristo come Egli morì per noi; ma nessun santo è morto o si è messo in pericolo di morte per aver adoperato volontariamente cilici o discipline, o per aver digiunato (a differenza, per esempio di alcuni scioperanti della fame).

Un esempio significativo: uno dei santi più austeri e mortificati di tutta la storia, modello di intere generazioni di penitenti, sant’Antonio Abate, morì a 105 anni, in un’epoca in cui la speranza di vita non superava i 20 anni.

La mortificazione cristiana: una via, non un fine

L’amore di Dio è, dunque, il motivo più profondo e decisivo di ogni altro tipo di sacrificio cristiano. Un amore che comprende la consapevolezza dei peccati e delle miserie personali, e cerca il perdono di Colui che fu flagellato, coronato di spine e crocifisso, per perdonarci i nostri peccati. Un amore che vuole unirsi, sia pure modestamente, al dolore della persona amata: il dolore purificatore di cui si caricò con i peccati di tutti gli uomini.

Però il Sacrificio di Gesù culmina nella sua Resurrezione, nella gloria, nel Cielo, nella felicità assoluta, definitiva ed eterna.

La mortificazione, il cilicio e la disciplina sono un mezzo, una via, non un fine: il sacrificio per amore culmina in un amore pieno, senza alcuna ombra di dolore o di tristezza: in Dio stesso, che è Amore, Gioia, Gaudio, Felicità, Gloria.

Javier Sesé