Aldo, papà di un ragazzo che non vede, non parla, non cammina: “Vale la pena”

Aldo è un medico che ha conosciuto l’Opus Dei grazie a dei progetti di cooperazione internazionale. Cooperatore dell’Opus Dei, in questa testimonianza racconta della sua famiglia, di cosa significa crescere un figlio cerebroleso e dei progetti a cui ha partecipato con l’ICU.

“Oggi nostro figlio Rodrigo ha 27 anni - racconta Aldo, medico al Fatebenefratelli di Palermo -, non cammina, non vede e non parla e io e mia moglie Neyda non riusciamo a gestirlo da soli. Vicissitudini della vita come questa possono portarti a considerazioni sbagliate: prego ma a che cosa serve? Vado a Messa ma non mi va. Il fatto di poter usufruire di questo grandissimo patrimonio umano che ha l’Opera mi ha aiutato a non prendere mai delle sbandate”.

Aldo ha sessantadue anni e ha conosciuto l’Opus Dei grazie all’ICU alla fine degli anni ‘80: “Conobbi Umberto Farri - racconta Aldo -, che aveva dato vita all’ICU, e quando parlavi quindici minuti con lui ti ritrovavi improvvisamente in Russia o in Cina, pur essendo fisicamente a Roma. Umberto riusciva a farti sognare ma facendoti rimanere con i piedi per terra”.

In realtà anche la moglie di Aldo, Neyda, venezuelana, aveva “incontrato” il fondatore dell’Opus Dei leggendo Cammino quando frequentava la scuola, e questo ha semplicemente dato una spinta in più ad Aldo che, all’inizio della sua carriera da medico, era alla ricerca di un’esperienza professionale all’estero.

In Perù tra sviluppo e terrorismo

Nel 1989 Aldo e Neyda partirono alla volta del Perù insieme all’ICU, a san Vincente di Cañete. “Fu un’avventura un po’ travagliata - ricorda Aldo -, perché in quel periodo c’era ancora parecchio terrorismo e il programma di cooperazione prevedeva anche lo sviluppo agricolo e l’allevamento del bestiame. I terroristi distrussero la casa che era stata pensata per i medici. Ci spostammo allora dall’entroterra alla riva, perché più sicuro per noi stranieri. Furono anni meravigliosi - prosegue Aldo -, è stato bello partecipare a quel progetto. Io ero un po’ scorbutico all’inizio. Cominciai ad apprendere la dote della pazienza che ebbero gli altri professionisti coinvolti nel progetto nei miei confronti. Quando tornai in Italia ero più portato a un approccio più diretto al paziente e venni assunto nel reparto di medicina interna, specializzandomi in pneumologia e malattie respiratorie.”

Parte del progetto dell’ICU prevedeva la formazione professionale di donne del luogo volta a migliorare la loro vita e quella delle loro famiglie: “Io e mia moglie notavamo che le ragazze e le donne che frequentavano la scuola alberghiera ne entravano come contadine spaesate che poi diventavano persone davvero formate e potevano curare la casa e i loro cari”.

Epidemie di colera e scimmie che rubano i biberon

Mentre Aldo era in Perù, nella confinante Bolivia scoppiò un’epidemia di colera. L’ICU ottenne il permesso di recarsi lì per aiutare a contrastare l’emergenza: “Facemmo dei rilievi in una città che si chiama El Alto. Mi resi conto che in quei contesti con poche cose, come la costruzione di un pozzo o la formazione di alcune donne a una professione, era possibile far girare l’intera microeconomia di un villaggio”.

Aldo e Neyda alla laurea della figlia Alessia.

Qualche anno dopo, Aldo si è messo nuovamente a disposizione per un progetto dell’ICU, questa volta in Etiopia: “Fu un’altra avventura nell’avventura - sottolinea Aldo - perché partimmo con la primogenita Alessia (chiamata così in onore di Alexia Barros), che all’epoca aveva poco più di un anno. Delle scimmie le rubarono il biberon che era l’unico disponibile nel paese in cui risiedevamo, e dopo pochi giorni finì il latte in polvere e per recuperare l’uno e l’altro dovevamo viaggiare più di due ore verso il centro città più vicino”.

Rodrigo Álvaro Josemaría Santiago, forte come El Cid

Pochi anni dopo Alessia, che oggi fa il medico in Spagna, Aldo e sua moglie Neyda hanno avuto un altro figlio Rodrigo Álvaro Josemaría Santiago. Quando aveva solo quaranta giorni di vita Rodrigo ha avuto una bronchiolite che gli ha procurato danni cerebrali enormi. Oggi ha ventisette anni, e vive in condizioni di salute molto precarie.

“Non possiamo più viaggiare insieme, ma in realtà gli effetti più impattanti sono sulla quotidianità, perché quella di Rodrigo è una condizione che mi porta, per esempio, a svegliarmi alle quattro del mattino in giorni feriali. Inoltre reperire dei collaboratori formati che possano aiutarci quotidianamente dal lunedì alla domenica, è sempre più difficile”.

“Tutti i nomi di nostro figlio hanno un significato - spiega Aldo -. Rodrigo, perché è il nome de El Cid Campeador, del quale incarna il coraggio, poiché si è trovato tante volte davanti alla morte uscendone vincitore. Santiago, perché era il grido di battaglia dei cristiani durante la Reconquista. Josemaría e Álvaro e per la nostra devozione al fondatore dell’Opus Dei e del suo successore”.

L’Opus Dei? Una zattera

“Purtroppo, in maniera poco intelligente - sostiene Aldo -, utilizzo l’aiuto che l’Opus Dei mi può dare solo come zattera: tutte le volte che sto per affondare, mi ci aggrappo. Per me è una grande certezza avere a disposizione sacerdoti che ti fanno riflettere, ma soprattutto gli amici che frequenti solo per il piacere di frequentarli. Con affetto riescono a correggermi a guidarmi”.

“Inoltre - conclude Aldo - di san Josemaría e della sua storia mi piace molto l’esperienza dell’amicizia con Dio che non è un lasciapassare per una vita senza difficoltà. L’assoluta certezza dell’incarico che il Signore gli aveva affidato ha fatto procedere il fondatore dell’Opus Dei nonostante la guerra civile spagnola e tanti altri ostacoli. Vale la pena fidarsi del Signore, sapendo che la cosa che conta su tutte le altre è arrivare in Cielo”.