L’abbraccio di Cristo nella vita di tutti i giorni

Il 2 ottobre 1928 il Signore si servì di san Josemaría per fondare l’Opus Dei. In questo editoriale don Enzo Arborea, partendo dall’esperienza della bellezza del Cristo Pantocratore del Duomo di Monreale, approfondisce il senso della vocazione nell’Opus Dei.

Era sera inoltrata quando il parroco della Cattedrale di Monreale accolse un piccolo gruppo di visitatori nella Chiesa, completamente immersa nel buio e nel silenzio. In un preciso istante ha acceso tutti i riflettori e siamo rimasti abbagliati dalla straordinaria bellezza dell’apparato musivo che riveste completamente l’interno di Santa Maria Nuova. Con grande profondità teologica, ci ha fatto immergere nella storia della salvezza attraverso le scene bibliche dei mosaici di scuola bizantina a fondo oro. A un certo punto, ci ha raccontato una cosa che è sicuramente rimasta nel cuore di tutti. Tutte le volte che, al termine della visita, chiede ai turisti e ai pellegrini da che cosa siano rimasti più colpiti, la risposta è sempre la stessa: l’abbraccio e lo sguardo del Cristo Pantocratore.

Gli occhi del Cristo Pantocratore hanno un’intensità difficile da descrivere: parlano di compassione, di comprensione, di perdono, di fiducia, di speranza.

Chi ha avuto la grazia di contemplare il catino absidale del Duomo di Monreale o anche soltanto di poter avere dinanzi agli occhi un’immagine di quello sguardo e di quell’abbraccio, probabilmente non si stupirà di quanto ho raccontato. Quegli occhi hanno un’intensità difficile da descrivere: parlano di compassione, di comprensione, di perdono, di fiducia, di speranza. Sono vivi! E quelle braccia che ci benedicono, ci accolgono e ci sostengono sempre, ci ricordano che nessuno di noi «è il frutto del caso, e neppure di un insieme di convergenze, di determinismi o di interazioni psico-chimiche». Ciascuno di noi «è un essere che gode di una libertà che, pur tenendo conto della sua natura, la trascende, e che è il segno del mistero di alterità che lo abita. […] Questa libertà dimostra che l’esistenza dell’uomo ha un senso».[1]

L’esperienza di questo incontro personale con lo sguardo e l’abbraccio di Cristo c’è stata – in modalità molto diverse – nella vita di ogni persona che ha intrapreso un cammino vocazionale nella Chiesa. È proprio questo il “luogo” in cui scopriamo che il fondamento della nostra libertà è il nostro essere figli di Dio: siamo veramente liberi perché siamo figli di Dio, figli molto amati da Dio.[2] Siamo liberi perché possiamo contare sempre sulla misericordia del Padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15,31). Queste parole che Gesù mette in bocca al padre misericordioso, in una tra le più celebri parabole (cfr. Lc 15,11-32), sono vere sempre per ogni persona umana e in qualsiasi condizione. Sono il fondamento della nostra libertà. Sono il contenuto della nostra fede. Sono la fonte della nostra speranza.

Siamo liberi perché possiamo contare sempre sulla misericordia del Padre

Chi è una persona dell’Opus Dei? È una persona normale che ha scoperto che lo sguardo e l’abbraccio di Cristo sono la realtà più vera in assoluto. Pur essendo eterno – anzi proprio perché è eterno! – questo sguardo è vivo e dà vita. Proprio come lo sguardo vivo del Pantocratore di Monreale. Una persona dell’Opera è una persona normale che ha scoperto che l’abbraccio di Cristo è sempre rigenerante, perché è l’abbraccio del Padre al figlio amato, tutte le volte che si incontrano i propri limiti, le miserie personali, le chiusure verso gli altri e nei propri confronti.

E allora che differenza c’è rispetto a un cristiano normale? Nessuna… o, forse, almeno una. È quella che san Josemaría indicava con l’immagine del lampione stradale. Chi ha scoperto, nel bel mezzo della strada, la libertà di essere figlio di Dio, profondamente amato dal Padre, è un lampione acceso. Illumina, dà calore, attrae!

L’abbraccio e lo sguardo di Cristo non ci attendono solo nello splendido mosaico del Cristo Pantocratore di Monreale, ma nella prosa di ogni giorno che, quando è vissuta con Gesù, diventa poesia. «Nel riprendere il tuo consueto lavoro, ti sfuggì come un grido di protesta: sempre la stessa cosa! E io ti dissi: — Sì, sempre la stessa cosa. Ma questo lavoro ordinario — uguale a quello dei tuoi colleghi — deve essere per te una continua orazione, con le stesse parole appassionate, ma ogni giorno con una musica diversa. È missione molto nostra trasformare la prosa di questa vita in endecasillabi, in poesia eroica».[3]

L’abbraccio e lo sguardo di Cristo non ci attendono solo nello splendido mosaico del Cristo Pantocratore di Monreale, ma nella prosa di ogni giorno.

È proprio lì, nella vita di tutti i giorni e soprattutto nel lavoro, che una persona dell’Opus Dei scopre l’abbraccio e lo sguardo di Cristo.[4] Anche quando “non ci arriviamo”, anche quando ci giostriamo tra le nostre giornate intessute di impegni assorbenti, anche quando siamo “travolti dalla vita”, sappiamo scorgere lo sguardo di Cristo che subito ci ridona la pace: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,27). È proprio questo abbraccio che ci rende lampioni accesi!

Questa realtà apre un altro scenario bellissimo. Gesù ci abbraccia e ci riempie della sua luce, del suo calore, della sua capacità di attrazione per essere proprio noi il suo abbraccio e il suo sguardo in mezzo al mondo. Una persona dell’Opus Dei è chiamata – con tutti i suoi limiti e senza pensare di essere migliore e diverso dagli altri – a rendere presente l’abbraccio e lo sguardo di Cristo in mezzo al mondo, nelle situazioni più abituali e ordinarie, e soprattutto nei tanti luoghi del lavoro umano.

Magari chi incrocia il nostro sguardo al lavoro, per strada, in palestra, a scuola e, forse soprattutto, tra le mura di casa nostra, potesse riconoscere il suo abbraccio, il suo sguardo![5] Così possiamo prendere questo mondo e riportarlo nel cuore di Cristo.

don Enzo Arborea


[1] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al convegno “L'identità mutevole dell'individuo” promosso dalla “Académie des Sciences” di Parigi e dalla Pontificia Accademia delle Scienze, Sala dei Papi, 28 gennaio 2008.

[2] Ecco alcune parole di san Josemaría che indicano il legame tra la verità della nostra filiazione divina e la libertà che ne deriva: «Qual è la verità che inizia e porta a compimento in tutta la nostra vita il cammino della libertà? Ve lo dirò sinteticamente con la gioia e la sicurezza che derivano dalla relazione fra Dio e le sue creature: sapere che siamo opera delle mani di Dio, che siamo prediletti dalla Santissima Trinità, che siamo figli di un Padre eccelso. Chiedo al Signore che ci aiuti a renderci conto di tutto questo, ad assaporarlo giorno dopo giorno: in questo modo agiremo da persone libere. Non dimenticatelo: chi non sa di essere figlio di Dio, non conosce la più intima delle verità che lo riguardano, e nel suo comportamento viene a mancare della padronanza e della signorilità che contraddistinguono coloro che amano il Signore al di sopra di tutte le cose» (san Josemaría, Amici di Dio, n. 26).

[3] San Josemaría, Solco, n. 500.

[4] Cfr. san Josemaría, Amare il mondo appassionatamente, Omelia pronunciata l’8 ottobre 1967: «è la vita ordinaria il vero “luogo” della vostra esistenza cristiana. […] Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai. […] Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini. […] Sappiatelo bene: c’è “un qualcosa” di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire».

[5] Cfr. san Josemaría, È Gesù che passa, n. 105: «Ogni cristiano deve rendere presente Cristo fra gli uomini; deve agire in modo tale che quelli che lo avvicinano riconoscano il bonus odor Christi (cfr 2 Cor 2, 15), il profumo di Cristo; deve comportarsi in modo che nelle azioni del discepolo si scorga il volto del maestro».