Itaca è qualcosa di più che un’isola del mar Jonio. È il paradiso in cui Ulisse viveva felice con Penelope e il figlio Telemaco. La dolce terra dell’infanzia che un giorno l’ha visto partire e, alcuni decenni dopo, l’ha visto ritornare. Omero ha raccontato nell’Odissea l’avventura lunga, ardua, e piena di pericoli dell’eroe. Da allora Itaca è il simbolo del viaggio che ti riporta a casa.
I nostri protagonisti durante l’infanzia sono vissuti nella Chiesa, nel terreno fertile e felice della fede. Ma un giorno, come Ulisse, hanno deciso di abbandonare Itaca e se ne sono allontanati per molto tempo. Per alcuni l’assenza ha significato l’abisso, per altri il vuoto, per tutti la nostalgia. Alcuni hanno rinnegato Itaca, altri l’hanno semplicemente dimenticata, altri ancora si sono fermati nei dintorni. Tutti però, a un dato momento, hanno deciso di ritornare. Di ritornare alla Chiesa. Di calpestare un terreno saldo.


LONTANO
“Niuno l’ha visto, niuno sa nulla, lamenti ed ambasce ei m’ha lasciato...”
(Odissea, Canto I)

NOSTALGIA
“I suoi occhi non s’erano asciugati dal pianto e col pensiero del ritorno consumava i suoi dolci anni”
(Odissea, Canto V)

CAMBIAMENTO
“Ora ti ordina di congedarlo immediatamente, ché non morir dalla sua terra lunge, ma la patria bensì, gli amici, e l'alto riveder suo palagio è a lui destino."
(Odissea, Canto V)

RITORNO
“Rispondimi anche a questo con la verità, per assicurarmi bene se questa terra alla quale sono arrivato è Itaca, come mi ha detto quest’uomo che ho incontrato al venir qui”.
(Odissea, Canto XXIV)
I FIGLI DI ITACA
![]() ![]() ![]() ROSA | ![]() ![]() ![]() ÁFRICA | ![]() ![]() ![]() JOSÉ |
![]() ![]() ![]() ÁNGEL | ![]() ![]() ![]() MARÍA | ![]() ![]() ![]() MANUEL |

ROSA
Ho fatto di tutto per piacere, per avere un bell’aspetto. Facevo tutto come un obbligo

Audio

Testo in PDF
Rosa è una donna elegante, di quelle alle quali non si può chiedere l’età. Una volta (non sapeva che la sua vita stava cominciando a cambiare) stava percorrendo la via Gastón de Bearne, a Saragozza ed era arrabbiata. Molto arrabbiata. Le rodeva dentro la frase che aveva appena ascoltata: “Alcuni cristiani sono dei fanali accesi e altri... sono spenti”.
Nessuno aveva mai insinuato, nemmeno per scherzo, che lei faceva parte del secondo gruppo e fra tutte le persone che stavano vedendo con lei il video di un incontro con san Josemaría, nessuna sembrava sentirsi direttamente interpellata come lei. Mai si era sentita così a disagio.
A partire da quel giorno niente era più stato normale, perché non poteva evitare di farsi domande e, peggio ancora, non riusciva a darsi una risposta chiara. La sua vita logica, uniforme, perfetta, improvvisamente aveva mostrato una piccola crepa che l’ossessionava con la medesima intensità con la quale finora se ne era compiaciuta.
Ma perché dovrei essere spenta se ho una vita meravigliosa? Mi piace il lavoro che faccio, ho una famiglia: un marito, dei figli... Tutto mi va bene, mi diverto, esco con le mie amiche, vado al cinema, faccio teatro...
Ma perché dovrei essere spenta se ho una vita meravigliosa?

Proprio il teatro, che aveva cominciato come passatempo, era diventato quasi un’attività di volontariato. La piccola compagnia, formata da altre coppie di genitori con i figli nella stessa scuola, aveva cominciato a lavorare dieci anni fa. Ci fu poi l’inizio della crisi, quando cominciarono a venir meno le sovvenzioni e le ONG furono costrette a cercare altre fonti di finanziamento. E tra i conoscenti degli uni e degli altri, furono decine i contributi di solidarietà, che permisero di raccogliere i fondi a favore dei bambini con problemi motori, handicappati cerebrali...
Il mondo continuò a girare e passarono parecchi mesi finché Dio bussò al cuore di Rosa, improvvisamente; però, questa volta, per metterlo a posto. Una buona amica le aveva raccontato che si era prenotata per degli esercizi spirituali, una specie di ritiro. Perché non vieni anche tu? La proposta fu fatta con noncuranza. A lei sembrò una buona occasione per stare in pace, per rilassarsi, per leggere... senza dover preparare pranzi e cene.
E lì, a un tratto, Rosa scoprì l’amore di Dio in maniera esplosiva. È molto difficile, quasi impossibile, spiegare quello che accadde. Però ancora oggi le viene la pelle d’oca quando lo ricorda: È come se mi trovassi in una stanza molto illuminata – fari, luci... – e, all’improvviso, mi sono resa conto che in fondo ci sono delle tende. Le apro ed entra la luce del sole, che inonda tutto ed eclissa tutte le luci della stanza. Sono sempre lì, accese, però non servono. È stata una sensazione che non si può paragonare a nient’altro.

Da allora, Rosa dice che tutto è diverso e che vede le cose sotto una luce diversa, attraverso un filtro diverso. Il bello è che all’esterno la sua vita non è cambiata. Vive come prima, come una trapezista, ma ora sa che c’è sempre una rete, e se cade – cosa inevitabile – non succede niente.
Suo marito non si è sorpreso quando gli ha spiegato ciò che le era capitato. Non solo, se lo aspettava. Noi parliamo spesso e immagino che certe cose si notano. Non dimenticherò mai quello che mi ha detto: Se tu sei più felice, tutta la famiglia sarà più felice. Questo è, come si suol dire, di avantieri.
Non è che la sua vita fosse a pezzi, né che fosse una persona triste, né che avesse la necessità che Dio le togliesse qualche sasso dalla scarpa. Era una cristiana che osservava le regole per sentirsi a posto, nel caso che Dio l’Altissimo volesse castigarla. Ora ha scoperto che Dio non la misura per quello che fa male, ma per quanto ama. Questa sensazione mi tiene sempre compagnia, anche perché cerco di accrescerla e faccio il possibile per avvicinarmi a Lui. Sentirmi figlia di Dio dall’eternità, da sempre... pur essendo già grande!
E penso: Come mai non me ne sono accorta prima? Che testona che ero...

ÁFRICA
Ho tutti i peccati. Meno che uccidere, me li può attribuire tutti.

Audio

Testo in PDF
Nella leggendaria isola di Itaca s’innalzava il bel palazzo dell’eroe, Ulisse, circondato da tre monti e da esso si potevano scorgere tre mari. Anche nella storia di Africa tre eventi l’hanno aiutata a rendersi conto che era ritornata a casa, ma di questo non è stata consapevole per parecchi anni, finché non si è seduta a scrivere il racconto della propria esistenza. Sul momento si è dovuta accontentare di giocare, come direbbe un allenatore, “una partita alla volta”.
Per ventidue anni Africa non ha avuto quasi alcun contatto con Dio. “Quasi” perché al momento di sposarsi, si è sposata in chiesa e poi, ogni tanto, recitava un Padrenostro per chiedere, al massimo, qualche cosetta. Comunque, tutto andava a meraviglia: suo marito è un tesoro, ha due figli stupendi – un bambino e una bambina, come lei voleva – cambia lavoro e lo trova immediatamente... Sei nata con la camicia, tutto ti va per il verso giusto!. Non aveva assolutamente bisogno di Dio ed erano ormai lontani gli anni di scuola dalle monache e le domeniche a Messa con la famiglia.
Non avevo bisogno di Dio per nulla.
Un giorno, dopo aver dato alla luce uno dei figli, incontrò una vicina di casa che da poco aveva avuto due gemelli:
—Come si chiamano?
—Pietro e Paolo.
—Ma va, come i Picapiedra!
(Sarebbero i "Flinstones". In spagnolo Fred e Barney sono chiamati Pedro e Pablo) —No, no... come gli apostoli. E come è andata con tua figlia?
—Benissimo. È nata alle 3, all’ora de...
—Della Divina Misericordia.
—No, del telegiornale... Della Divina Misericordia? e in che canale lo fanno?
Non capiva nulla, era completamente Off.
La profondità del mar Ionico
Qualche tempo dopo, nell’ottobre del 2001, era disoccupata e ha avuto l’occasione di fare un master all’università. Ogni mattina, andando al bar per fare colazione, passava davanti alla cappella, dove c’era un cartello che diceva: ““Ancora non ti sei cresimato? Vieni e infornati””. Tutte le mattine veniva attratta da quel cartello senza poter evitare di guardarlo. Quelle parole le martellavano il cervello, finché un giorno decise di entrare.
Lo fece perché suo figlio stava per fare la prima Comunione e le dispiaceva che fosse l’ultima, dato che né lei né suo marito andavano mai a Messa.
Siccome in quel momento il prete non c’era, prese un libro che era sul tavolo e che poi non ha più smesso di leggere perché le piace molto: “Parlare con Dio” di Francisco Fernández Carvajal. Le sembrava tanto bella la storia che raccontava da non credere che potesse essere vera. Ha cominciato ad arrivare in anticipo all’università per leggere e riprendeva la lettura appena finivano le lezioni. E intanto il prete continuava a non esserci...
Ha trovato anche un foglio con i comandamenti della Chiesa: “Ascoltare la Messa tutte le domeniche”. Tutte le domeniche? Con tutte le cose che si debbono fare, sono pazzi..… “Confessarsi almeno una volta l’anno”. Per favore, ma chi lo fa? È tantissimo... “Aiutare la Chiesa nelle sue necessità”. Sì, con tutto quello che hanno! Si vendano il Vaticano... E pensò che a un certo punto questi comandamenti andavano cambiati.
Poi apparve il prete. Gli disse che si voleva cresimare e che immaginava che per farlo doveva prima confessarsi. Il sacerdote le diede un esame di coscienza e lei si preparò. Come avrebbe potuto sapere che tutte queste cose erano peccato? Si confessò dicendo: Ho tutti i peccati. Meno che uccidere, me li può attribuire tutti..
Quello stesso sacerdote le diede lezioni di catechesi per alcuni mesi e alla fine lei fece la Cresima, nel maggio del 2001. È stato un momento indimenticabile. È vero che di solito non si sente niente quando ti cresimi, ma nel mio caso ho fatto un’esperienza piuttosto particolare. Nel momento in cui il vescovo mi imponeva l’olio, ho sentito una pressione molto forte, non potevo muovermi. Piangevo per l’emozione, non so bene perché. Mio marito, che era quasi più lontano di me, era il mio padrino. Poi mi sono resa conto che doveva essere la persona che ti assiste spiritualmente, ma comunque, egli era lì, mi mise una manina sulla spalla ed è stato meraviglioso.
Grazie alla cerimonia della Cresima aveva cominciato ad andare a Messa, ma ben presto ci ha rinunciato. Dopo la Comunione di suo figlio ha fatto altri tentativi, ma niente. Non capiva il significato della liturgia né le parole del sacerdote. Tutto le sembrava ripetitivo, non vi trovava nulla di attraente.
Il dolce azzurro dell’Adriatico
Africa aveva sempre curato le buone relazioni con la sua famiglia, specialmente con suo padre, che era molto credente. Anche se non condividevano la fede, neppure era una cosa che li separava, ma tutto il contrario. Spesso parlavano della morte, una cosa che a lei aveva fatto sempre molta paura.
Suo padre le diceva che lo preoccupavano solo le cose cattive che avrebbe potuto fare prima di morire, e che invece aveva molto chiaro ciò che lo aspettava poi. Questo non puoi saperlo. Però egli pregava da molti anni per avere una buona morte e aveva chiesto al Signore di avvertirlo, quindici giorni prima, per farsi trovare preparato.. Per favore, papà, che cosa speri? Che ti appaia la Madonna? Che ti arrivi un telegramma celeste? “Da molti anni lo chiedo al Signore e so che il Signore e la Madonna me lo concederanno”. Poveretto, quando si accorgerà che sta per morire e non lo avvisa nessuno...
Quell’estate in cui è morto aveva ricevuto prima dei segnali. Non so se sono stati 15 giorni esatti oppure no, perché non ho avuto modo di pensarci su. Suo padre ha avuto una buona morte, come voleva, e ha avuto il tempo di ricevere l’Unzione degli Infermi. Chiaramente, non poteva essere un caso.
Un anno dopo Africa continuava ad avere moltissimi dispiaceri, una depressione orribile, ma doveva continuare a lavorare. A volte era costretta a interrompere improvvisamente e correre in bagno a piangere. Per la prima volta in vita sua è andata dal medico e ha preso le medicine contro l’ansia e per dormire. Fino a quando un giorno, non potendone più, si è rivolta a Dio: “Per favore, Signore, aiutami tu. Ho bisogno che mi liberi da queste pene e mi faccia andare avanti perché non ne posso più”.

Il calore dell’imbrunire sul Mediterraneo
A quel tempo lavorava come promotrice nel campo degli investimenti e aveva dei clienti che curava a domicilio. Un giorno le telefonò una signora che le chiedeva aiuto. Dove ci vediamo? “Io lavoro come organista nella tal chiesa; possiamo vederci dopo la Messa delle 12”. Era una domenica, il giorno di Pentecoste.
Arrivò all’appuntamento in anticipo e decise di entrare e sedersi vicino all’organista per aspettarla, nei pressi dell’altare, al primo banco. All’omelia successe qualcosa. Il sacerdote cominciò a parlare in una maniera che mi colpì. Era come se il messaggio fosse diretto a me: parlava dell’altra vita, diceva che si tratta di un cambio di casa, che siamo eterni e che la morte è soltanto un arrivederci, che staremo con gli esseri che amiamo, che conosceremo Gesù... Le mie pene cominciarono a scomparire per lasciare posto alla speranza.
Rimase tanto sconvolta che, una volta terminata la Messa, non era capace di reagire. L’organista le raccontava i suoi problemi, ma lei l’ascoltava come da lontano. Uscì da lì completamente cambiata, ma non disse niente a nessuno. La domenica successiva sentì un grande impulso a ritornare. E poi l’altra, e l’altra... comunque sempre di nascosto.
Un giorno il prete spiegò che non si va a Messa per adempiere un dovere, ma per amore a Dio. “Potresti stare tutta una settimana senza vedere la persona che ami? Con Dio succede lo stesso”.
In quel periodo portava i figli a scuola e poi alcune madri sue amiche andavano a fare colazione. Lei cominciò ad andare alcuni giorni a Messa a quell’ora...ma si vergognava di dirlo. Un giorno diceva loro che andava da un parrucchiere che apriva presto; un altro giorno che doveva fare un acquisto in un negozio molto lontano. Finché un giorno non ne poté più... “Ma si può sapere dove vai tutte le mattine dopo la scuola?”. A Messa! Vado a Messa perché ne sento il bisogno! “Ma che dici? Oggi è giovedì”.
La botta successiva arrivò ancora una volta all’omelia. “Per poter conoscere Dio e parlare di Lui alla gente bisogna studiare la storia della salvezza, conoscere il significato della liturgia... per questo qui in parrocchia abbiamo lezioni di Teologia. È gratis, non ci sono esami da fare e potete venire quando volete, senza iscrivervi”.
Con grande entusiasmo cercò una baby-sitter per il pomeriggio del venerdì e comprò un quaderno per continuare a prendere appunti come faceva all’università da studentessa inappuntabile. Della prima lezione non capì nulla e decise di non ritornare, però, prima di andarsene, la giovane accanto a lei, di un’età simile alla sua, si offrì di darle lezioni private. Gratis? Ma se non ci conosciamo... “Così cominciamo a conoscerci”. Per tre mesi ha studiato da sola, un po’ alla volta ogni giorno dopo la Messa e, quando è stata pronta, si è inserita nuovamente nel gruppo che frequenta ancora oggi.
Questo è stato il ritorno definitivo per Africa. Suo marito, al quale alla fine ha raccontato la sua conversione, per un certo tempo se n’è fatto una risata, ma poi ha cominciato ad accompagnarli la domenica. Tutti, perché andavano in quattro. Lui cominciò ad aspettarli al bar e, un po’ per volta, cominciò a entrare. A lui è successo come a me, anche se ha perso più tempo.
Io pensavo di essere felice, ma ora ho capito che mi mancava la cosa più importante: Dio. Dal vivere ignorando Dio a vivere alla sua presenza, la vita è completamente differente, ruota di 180 gradi.
Dio parla a bassa voce. Mi ha dovuto chiamare per venti anni, perché io gli dicevo di no, sapendo che se lo lasciavo entrare mi avrebbe sconvolto la vita; però valeva la pena.
Una volta, molti anni fa, Africa ricorda di aver provato un certo dolore per aver perso la fede e aver sentito dentro di sé una voce che le diceva: “chiedila”. E l’ha chiesta. Se chiedi la fede il Signore te la dà. Così, gratis.


JOSÉ
Credo che il mio processo interiore sia un miracolo. Non lo concepisco diversamente.

Audio

Testo in PDF
“Volete che vi racconti la mia rinascita?”. José è un artista e questo si percepisce da come è arredata la sua bottega, da come lavora, dal suo modo di parlare e di affrontare gli argomenti. “Credo che il mio processo interiore sia un miracolo. Non lo concepisco diversamente”.
E racconta di essere stato educato in una scuola di religiosi dove si pregava, dove si credeva. Un posto sicuro.
Accadde allora un evento traumatico che lo allontanò dal paradiso dell’infanzia. “Mia madre morì che io avevo 15 anni ed ecco una montagna di domande senza risposta. Perdere la madre così presto è una cosa che ha segnato la vita della mia famiglia. È stato il principio della fine”.
José si è allontanato da Dio. “Gli ho addossato la colpa della perdita e l’ho odiato. Non c’era posto per lui nella mia vita, né io, chiaramente, pensavo di darglielo”. Con gli anni, l’odio si è andato modificando e si è trasformato in indifferenza mentre la vita di José andava avanti.
Con gli anni, l’odio si è andato modificando e si è trasformato in indifferenza
“Ho studiato Belle Arti perché volevo diventare pittore; appena terminati gli studi, mi hanno offerto un lavoro in una importante fabbrica di mobili. Ho accettato e ho cominciato a crescere professionalmente. Il lavoro sovrastava tutto il resto. Ho raggiunto il più alto gradino dell’impresa. Mi piaceva, era un ottimo lavoro, ero apprezzato e guadagnavo bene. Non potevo chiedere di più. Eppure...”.
Eppure, José non era felice e gli si è scatenata una crisi professionale, che nascondeva una crisi personale.

“Io ero talmente insensibile a qualunque problema spirituale, ero talmente svuotato da tanti anni, che la prima cosa che ho individuato non è stata la crisi personale ma una crisi professionale. Avevo lavorato per 28 anni come un mulo, contento, e avevo mantenuto la mia famiglia, ma non mi ero preoccupato di sviluppare la mia vocazione. Avevo studiato Belle Arti perché volevo diventare pittore. Ma il lavoro me ne aveva tenuto lontano. Avevo 50 anni e mi domandavo che cosa ne stavo facendo della mia vita”.
José confessa che questa crisi professionale nascondeva qualcosa di più profondo: in realtà non era contento della propria esistenza. Decise di rischiare, prendendo una decisione radicale: “Ho lasciato il lavoro. È stato un momento problematico perché la mia famiglia non ha capito. Sembrava una decisione irresponsabile. In casa il clima si fece pesante, anche perché non riuscivo a ottenere un altro lavoro. Avevo lasciato un buon impiego e ora ero disoccupato”.
La figlia piccola, di 8 anni, si è resa conto della situazione e una sera si è avvicinata a suo padre con quello che riteneva fosse una possibilità per uscire dal fosso. “Mi ha dato una immaginetta di un santo e mi ha detto: recita la preghiera e ti aiuterà. Mi proponeva una novena per chiedere lavoro mediante l’intercessione di san Josemaría. Sorprendentemente, l’ho recitata quella sera stessa. L’ho recitata con fede..., io che non avevo fede. Ero tanto disperato, la mia vita stava per esaurirsi, che mi afferrai a quel cartoncino come all’ultima possibilità”.
Sette giorni dopo, senza che la novena fosse terminata, José ha ricevuto una telefonata del cappellano della scuola del figlio maggiore al quale “una volta io avevo presentato un progetto per insegnare ai bambini attraverso l’arte. Mi ha detto che la cosa lo interessava. Si apriva così una porta molto importante per la mia vita. Era proprio quello che io avevo chiesto a san Josemaría: trovare un lavoro nel quale io potessi sviluppare la mia vocazione e aiutare gli altri”.
Dopo questa porta hanno cominciato ad aprirsene altre. “Improvvisamente, tutta questa indifferenza, questo vuoto si è trasformato in inquietudine, ho cominciato a farmi domande, volevo sapere qualcosa sulla vita di Gesù, sulla Messa, ho cominciato a leggere il Vangelo. Volevo conoscere la vita di quel santo che mi aveva aiutato e ho passato la Settimana Santa al chiuso, guardando alcuni video di san Josemaría. Ero come un bambino. E mi accorgo che mi vado trasformando interiormente. Sono più contento. Sono felice, ma con la F maiuscola. E migliorano i rapporti con la famiglia. Do un altro senso al lavoro. Io lavoravo bene, ma ora non lo faccio tanto per guadagnare; lo faccio per gli altri, per Dio, e cerco di non assuefarmi ma di farlo sempre meglio, perché si può migliorare sempre.
José non dubita che il suo ritorno a Itaca sia un miracolo. “Io mi trovavo nell’inferno dell’indifferenza e una mano mi afferra e mi riporta a casa. E una volta che Dio ti prende per mano non lo lasci, a meno che tu non sia proprio uno sciocco. Non vuoi tornare quello di prima”.
Vuoi rimanere a Itaca per sempre.


ÁNGEL
Con una angoscia e un vuoto immenso; allora mi sono rifugiato nelle droghe senza sapere che mi stavo rifugiando direttamente nell’inferno.

Audio

Testo in PDF
Se c’è un figlio di Itaca nel quale si può riconoscere la biografia di Ulisse, questi è Ángel. Ángel ha 54 anni... e avventure e contrarietà da riempire un secolo. È nato nel 1964 a Puente de Vallecas, a Madrid. I genitori hanno educato lui e i suoi fratelli nella fede cattolica. Ángel comincia a lavorare molto presto, a 14 anni. Fa passi avanti e finisce per trovare un impiego ne La perdiz de Somontes (La pernice di Somontes), un famoso ristorante situato molto vicino al palazzo reale della Zarzuela.
A 17 anni s’innamora di Petri e dopo un lungo periodo di fidanzamento si sposano nel 1991. Poco tempo dopo nasce una splendida figlia: María Jesús.
Fra le braccia di Calipso
Sembrava una bella storia... che però, in realtà, era cominciata a incrinarsi da tempo... Prima era stato suo fratello Jesús a cadere nella droga. Una bestia che, nella Madrid degli anni ’80, galoppava incontrollata demolendo vite. Jesú è stato ucciso a 22 anni da una sostanza edulcorata.
È stato il primo anello di una catena drammatica.
La depressione per la morte del fratello piccolo, i suoi primi contatti con la droga, uniti alle difficoltà economiche e ad altri problemi personali che Ángel preferisce non rivelare al microfono, mandano in malora anche il suo matrimonio.
Da quel momento è stata tutta una discesa senza freni. Mi sono visto solo. Abbandonato. Con una angoscia e un vuoto immenso; allora mi sono rifugiato nelle droghe senza sapere che mi stavo rifugiando direttamente nell’inferno. Nessuno lo sa finché non ci si trova dentro, ma la droga è comunque un inferno. È come essere morto pensando di essere vivo. Il corpo ti brucia. Hai il diavolo dentro. E chiaramente, non c’era posto per Dio nella mia vita.
Ángel come Ulisse, dopo essere vissuto alcuni anni a Itaca, si accorge di essere prigioniero fra le braccia della ninfa Calipso. Una ninfa bugiarda e imbrogliona che va risucchiando la vita.
Il culmine fu la morte di mia madre. L’unica cosa che mi era rimasta. L’unica che, malgrado tutto, mi continuava ad amare. Il mio rifugio. E se n’è andata. Per sempre. A questo punto rompo definitivamente con Dio. Come puoi essere tanto malvagio?, dicevo a Dio. Inoltre, parte della mia famiglia mi accusava di aver ucciso mia madre con i miei spropositi. E ci ho creduto anch’io.
Ángel, espulso dal territorio in cui era nato, allontanato dai suoi e avvelenato dalla droga prosegue la sua strada funesta lottando contro demoni esterni e interni.
Tentavo di rialzarmi... e cadevo di nuovo. Ho cominciato una terapia disintossicante e ho ottenuto un lavoro alle Poste. Sembrava che il vento cominciasse a soffiare a favore... quando sono stato costretto a entrare in prigione per scontare una vecchia condanna per truffa.
Di nuovo nell’abisso...
Sembrava che il vento cominciasse a soffiare a favore... quando sono stato costretto a entrare in prigione per scontare una vecchia condanna per truffa. Di nuovo nell’abisso...
Luci all’orizzonte
Eppure, dietro le sbarre, Ángel inizia timidamente il suo ritorno alla fede. Non riuscivo a spiegarmelo, però, in mezzo a questa amarezza, pur essendo ormai lontano da qualsiasi pratica religiosa, ho cominciato a sentire Dio vicino. Qualche volte entravo nella cappella e parlavo con Dio. Sentivo che era accanto a me.
Una volta uscito dal carcere, soltanto la strada aspetta Ángel. Sono stati tempi assai duri. Vivevo in preda a una psicosi tremenda di paura, di umiliazione e di solitudine. Sono radicalmente solo. E ho paura. Per la strada non c’è rispetto. Un giorno ti depredano, un altro ti insultano, il terzo ti aggrediscono. Non dormi e lo stress ti fa impazzire.
Ad ogni modo Ángel, come Ulisse, non si arrende. E continua a lottare per raggiungere la terra ferma. Dato che la sua vita si è svolta sempre a Vallecas, i vicini, e anche la polizia, lo conoscono e lo aiutano per quanto possono. Comincia a rivolgersi alla Caritas. Si dedica alla vendita ambulante per poter guadagnare qualche soldo e frequenta sempre più spesso la chiesa di San Ramón Nonato. La sua parrocchia di sempre. A volte per dormire. A volte per chiedere e sempre per pregare.
Ángel continua a lottare con tutte le sue forze contro la disperazione. Certe volte vorrebbe morire e fa qualche tentativo. Ma altre volte arrivano quelli che egli chiama i segnali del Cielo, che lo stimolano a continuare a navigare, per quanto le correnti siano molto forti.
Telemaco riconosce Ulisse
Uno di questi segnali ci rimanda direttamente al racconto di Omero che, in una delle pagine più emozionanti dell’Odissea, racconta l’incontro di Ulisse col figlio Telemaco 20 anni dopo la sua partenza.
Io María Jesús non la vedevo da quando aveva un anno. È accaduto qui, accanto alla parrocchia – racconta Ángel, ancora tremante per l’emozione –. Lei era alla fermata dell’autobus, fumava, e io mi sono avvicinato per chiederle una sigaretta. Aspetti – mi ha detto – mentre frugava nella borsa. Alzando lo sguardo, abbiamo fissato gli occhi l’uno nell’altro. È stato emozionante. Lei mi ha detto: Sei Ángel? Le ho risposto: “Sì... e tu sei María Jesús, mia figlia”. Non ci vedevamo da 18 anni e a lei avevano detto che io ero morto. Però ci siamo riconosciuti. Siamo stati mezz’ora abbracciati, piangendo. Da allora, lei sa che suo padre è qui, per tutto ciò di cui avrà bisogno.
Dio, dalla spiaggia di Itaca, inviava segnali di fumo. La fine del viaggio era vicina.
Però mancava ancora la parte finale, con alcune lotte contro i ciclopi da vincere e canti di sirene da mettere a tacere.
Sono a casa
In quel periodo di strade, di salite e di discese, e di visite in chiesa, incontra la sorella Sara che, come se si trattasse della nereide Leucotea (la sorella Sara perdoni il paragone), gli offre qualcosa di più che una coperta. Gli offre un rifugio nella residenza Nazareth, un posto di accoglienza per persone senza casa molto vicino alla parrocchia di San Ramón Nonato.
Sono le ultime bracciate prima di toccare riva. La mia vita comincia a cambiare. Mi sento accolto. Siccome non ho un lavoro, mi chiedono di dare una mano nella residenza, in una sala da pranzo sociale e nella parrocchia. E comincio a lavorare, ad assumere responsabilità. Do una mano in ciò che posso e comincio a recuperare l’autostima. Ho la giornata piena, occupandomi degli altri. Comincio a utilizzare alcune abilità che mi aveva insegnato mia madre in fatto di ordine e organizzazione. Mi sento sempre più forte, ho finito di distruggermi e comincio a essere padrone di me stesso.
Una sera, seduto sul letto, vede profilarsi il campanile della chiesa. Non so spiegarlo, ma, da dentro, sento una voce che mi dice: Coraggio, Ángel, continua così, che vai bene. Ho cominciato a piangere. Quella notte, non ho potuto dormire.
Per Ángel, le parole che sente nel suo cuore sono la spinta definitiva. Egli, che per tutta la vita aveva sentito rimproveri, si sente incoraggiato, amato, perdonato, stimolato, risanato.
Con uno sforzo infinito, ma anche – come egli stesso riconosce – con l’aiuto di Dio, è riuscito ad arrivare a Itaca. A casa sua.
Ora lavora nel "Rifugio", al banco delle bibite, e “spende” le sue ore aiutando in parrocchia in ciò che può. Io, che sono stato tanto lontano, tanto separato da Dio, che ho abitato nell’inferno, ora non posso vivere senza di Lui. Dopo una vita così intensa e dolorosa sono arrivato a casa. A casa mia.

MARÍA
Non ho mai pensato che il mio vuoto avesse a che fare con la religione. Era semplicemente una sensazione di insoddisfazione.

Audio

Testo in PDF
Quando Maria è ritornata a Itaca aveva 47 anni. Da 32 mancava dall’isola. Ha sempre creduto in Dio, ma la gioia che sentiva quando era bambina e partecipava alla Messa era svanita.
A 15 anni aveva smesso di andare in chiesa, aveva smesso di confessarsi e di comunicarsi. Continuava ad avere fede, ma si trattava di una pallida credenza senza alcuna pratica religiosa.
Credo che mi sono allontanata perché ho smesso di pregare e ho smesso di pregare perché non avveniva mai niente di quello che chiedevo. Un po’ per volta è cessato ogni mio rapporto con Dio e ho dimenticato la fede e la devozione che avevo da bambina
La vita continuava e Maria poteva ringraziare quel Dio lontano per ciò che le continuava a dare. Avevo il lavoro, una famiglia, gli amici, andavo al cinema, facevo sport, non avevo particolari problemi, eppure mi sentivo vuota e non sapevo perché. Mai mi sono resa conto che quel vuoto era spirituale. Ricordo che quando la domenica andavo a vedere mia nonna, essa mi diceva “Vai a Messa”. Io non la stavo a sentire e non ho mai pensato che il mio vuoto avesse a che fare con la religione. Era semplicemente una sensazione di insoddisfazione.
Maria è una donna impulsiva e di grande cuore, e la via del ritorno è stata segnata da un forte colpo della grazia... e da un amico argentino.
Tre anni fa, il giorno del mio compleanno, improvvisamente mi è venuta voglia di andare a Messa. E ci sono andata. Da decenni non entravo in una chiesa. Due giorni dopo la voglia mi è ritornata e sono andata nuovamente. Poi un giovedì, un martedì, una domenica... In 2 mesi sono andata a Messa tutti i giorni. Dopo ho avuto voglia di leggere la Bibbia e di recitare il rosario, ma, siccome in casa non lo avevamo mai recitato, non avevo la minima idea di come si fa e ho dovuto guardare su Youtube.
ho smesso di pregare perché non avveniva mai niente di quello che chiedevo.
I suoi improvvisi “attacchi” di devozione hanno fatto pensare a Maria che le stava succedendo qualcosa di strano: non poteva essere normale. Non aveva attorno a sé nessuno particolarmente religioso, sicché si è ricordata di Eduardo, un amico argentino. Non avevamo mai toccato argomenti spirituali, ma sapevo che era cristiano, e così gli ho raccontato che cosa mi stava succedendo. Egli si è rallegrato molto e mi ha detto una cosa sorprendente: da due mesi pregava per me e offriva la Messa perché incontrassi Dio.

Maria è consapevole che Eduardo ha svolto una funzione simile a quella di Eolo, il dio del vento che nell’Odissea sospinge Ulisse e lo fa arrivare a Itaca. Anche se lei, logicamente, più che a Eduardo attribuisce il miracolo della sua conversione al potere della preghiera. Lei si era allontanata da Dio proprio perché pensava che pregare non servisse a niente. Ora sono convinta del potere che ha la preghiera. Eduardo ha pregato per molto tempo – ore! – senza dirmi nulla. E Dio ascolta, ascolta sempre e ha mosso il mio cuore. È sorprendente. Se sapessimo quanto bene facciamo a una persona quando preghiamo per lei...
Come gli altri personaggi di Itaca, Maria è felice di essere ritornata. Dopo quello della vita, è il più grande regalo che ho ricevuto. La cosa più bella che mi sia successa. Ora ho capito che il vuoto che avevo, soltanto Dio può riempirlo. Sono felice e serena. Ho ricuperato quella sensazione che avevo da bambina e che avevo dimenticata. Perciò ora, da quando è avvenuta la mia conversione dico sempre di sì a Dio. In tutto. Egli mi ha dimostrato che i suoi progetti sono migliori dei miei. La mia vita è cambiata, e di molto, in meglio.
Anche chi la frequenta ha notato il cambiamento. Mi vedono più felice, più soddisfatta, ora cerco di preoccuparmi di più degli altri, di dimenticare me stessa. Prego ogni giorno madre Teresa perché, come lei, diventi capace di essere caritatevole con tutti, di aiutare tutti quelli che mi stanno attorno.
E Maria ricorda una parabola che vive come se Gesù l’avesse raccontata per lei. Sono ritornata a casa, e certe volte mi chiedo come abbia potuto perdere tutti questi anni! Mi sento come il figlio prodigo, che viene ricevuto meravigliosamente da suo padre, che gli dice: Sempre sono stato qui ad aspettarti, anche se tu non mi vedevi.

MANUEL
Siccome ero un medico e credevo di essere uno scienziato, leggevo di tutto e sono rimasto molto colpito dal positivismo

Audio

Testo in PDF
Lo scisma familiare è avvenuto nel 2002. Fino allora i rapporti con suo padre erano andati sempre a meraviglia, anche quando Manuel è stato mandato a Madrid a studiare da interno in un collegio di Gesuiti quando aveva 9 anni e non è vissuto più in famiglia se non durante le vacanze. Vivevamo lontani, ma la convivenza, i periodi in cui stavamo insieme, era molto bella.
L’uragano, invece, che durò soltanto poco tempo e che nessuno ha avuto voglia di ricordare quando è finito, fu intenso. Però mio padre non me lo ha messo in conto. Non si è arrabbiato per questo, né ha peggiorato minimamente la nostra relazione.
Tutto è cominciato il giorno in cui Manuel padre ha invitato tutti – di persona, perché la notizia ha voluto darla personalmente e per farlo è andato fino a Madrid – a Roma per assistere alla canonizzazione di Josemaría Escrivá. Manuel, sua moglie e i suoi due bambini. Gli faceva un particolare piacere pagare a tutti il viaggio. Il motivo sembrò al figlio tra i più rocamboleschi: quel carcinoma che suo padre aveva molti anni fa, scomparso poi improvvisamente, dalla sera alla mattina, era ora il miracolo che la Chiesa riconosceva per la canonizzazione del fondatore dell’Opus Dei. Ci mancava solo questo!
Però mio padre non me lo ha messo in conto. Non si è arrabbiato per questo, né ha peggiorato minimamente la nostra relazione.
Il miracolo sta nelle sue mani
Tutto era successo molto tempo prima, al principio degli anni ’90. Manuel padre era medico, come suo figlio, e con gli anni nelle sue mani si era sviluppata una radiodermite. Era una malattia abbastanza comune fra i traumatologi di allora che avevano lavorato per anni con i raggi X senza protezione, e consiste in una displasia della pelle, ovvero, in qualcosa di pre-canceroso.
Io conoscevo bene le mani di mio padre, facevano pena. Aveva delle macchie nere, alcune molto aderenti alla pelle, con una chiazza assai brutta. Egli era preoccupato perché gli davano parecchio fastidio e aveva perduto la mobilità e la sensibilità. Per un chirurgo traumatologico questo significa dover abbandonare il lavoro, ciò che alla fine era stato costretto a fare.
Questo episodio era accaduto senza che il figlio gli facesse il minimo caso perché si trovava in collegio a Madrid. Ogni tanto me le mostrava e mi diceva: “guarda, io credo che questo è già un carcinoma epidermoide (un cancro). È già infiltrato”. Io però non lo consideravo così grave Più avanti Manuel padre gli ha detto che sicuramente avrebbe dovuto amputarsi qualche dito, cosa che era già successa ai suoi colleghi che erano nella sua stessa situazione. Ma io ci scherzavo sopra.. Non avevo capito la gravità della situazione.
Un bel giorno una persona diede al malato una immaginetta dell’allora Beato Josemaría Escrivá e il bello è che… ha funzionato. A me la storia dell’immaginetta l’hanno raccontata dopo... allora non l’ho vista.

Al ritorno da un Congresso a Vienna il padre è passato da casa di suo figlio e gli ha detto che le mani erano guarite. Erano cambiate radicalmente di aspetto: si vedeva dove d’erano state le macchie, però non c’era più la pelle nera, che ora non era né dura, né aderente. Era rimasta una pelle fine e delicata, rosata, come quella di un bambino piccolo. Manuel figlio a quelle mani risanate fece lo stesso caso di quando erano malate, vale a dire, nessuno.
Da quel momento la guarigione è stata studiata a fondo e, dopo molti anni, è diventata il miracolo che la Chiesa ha riconosciuto per la canonizzazione del Beato. In quel periodo mio padre è andato diverse volte a Roma, ha superato diversi esami, ma per me era come se tutto questo non esistesse. Non ci badavo affatto, non me ne importava nulla, non credevo in niente... e, naturalmente, non lo riconoscevo come un miracolo.
Sua moglie di quel periodo ricorda le telefonate, i messaggi continui: “siete usciti sul giornale”, “nelle notizie”, nei titoli de “il medico che ha dato la santità a Escrivá”.
All’inizio sua moglie era convinta che dovessero andare a Roma. Da 14 anni era al fianco di Manuel e, anche se non dava alcuna importanza al miracolo in sé, considerava importante andare per i suoceri, che considera al pari dei propri genitori.
Il figlio Manuel, però, ha detto che loro non avrebbero partecipato. Quando mio padre ha insistito un po’ di più, io sono diventato una bestia. Sbattendo la porta. Allora mi ha chiesto che almeno lasciassi partire i bambini e mia moglie, ma io ho risposto che non ero per nulla d’accordo e lui non ha insistito oltre. Partì per Roma con tutta la famiglia, i miei tre fratelli con le rispettive famiglie. Tutti meno io. Infatti, in quel momento, Manuel pensava che andare a Roma non fosse coerente con il suo ateismo.
La coerenza di un ateo
La sua personale guerra di Troia, quella che lo aveva allontanato da Dio e dalla Chiesa, era cominciata quando aveva 14 anni quando, senza un motivo preciso, non andò più a Messa. A partire da allora, il resto è avvenuto velocemente fino al momento in cui si è considerato ateo.
Siccome ero un medico e credevo di essere uno scienziato, leggevo di tutto e sono rimasto molto colpito dal positivismo. Secondo lui, starebbe stata la scienza a salvare l’umanità e Dio non era assolutamente necessario, anche se poi, in realtà, conservava ancora nel cuore i valori morali tipici del cristianesimo. Non è che io fossi una cattiva persona; semplicemente credevo che si sarebbe potuto costruire un mondo meraviglioso, senza Dio: senza guerre, dove la gente fosse solidale... Pensavo che la Chiesa fosse deleteria, e anche che fosse impossibile conciliare fede e scienza.
Alla fine degli anni ’90, grazie a Internet, Manuel era cresciuto al massimo come ateo: edicavo il mio tempo libero a intervenire in discussioni intorno alla religione – una sorta di versione primitiva di Facebook – tanto per passare il tempo. Avevo una precisa tendenza a scrivere cose contrarie a Dio e alla Chiesa, e avevo parecchi seguaci, gente che approvava quello che io scrivevo. Poi c’erano anche altri con i quali discutevo e godevo nel vedere che si schieravano dalla mia parte.
Non penso più a nessuna di queste cose
Due anni dopo l’episodio della canonizzazione, hanno diagnosticato a suo padre una grave malattia del sangue, la mielodisplasia. Per me è stato un duro colpo perché mio padre era la roccaforte della mia vita, una persona molto importante e, con quella diagnosi, la previsione di vita era di due anni. È stata una bruttissima notizia e una fonte di angoscia.
Manuel padre iniziò una terapia settimanale, ogni lunedì, nell’ospedale dove lavorava suo figlio. La domenica veniva con sua moglie da Badajoz a Madrid e restava con lui fino al giorno dopo. Come avevano sempre fatto, ogni domenica, i genitori di Manuel andavano a Messa. Così Manuel e sua moglie cominciarono ad accompagnarli e, pur potendo rimanere fuori ad aspettare, entravano in chiesa. Con rispetto: se le persone si alzavano, si alzavano anche loro; però Manuel in ginocchio, mai.
Dopo diversi mesi, un giorno Manuel, come ipnotizzato, cominciò ad ascoltare quello che diceva il prete, e gli piacque. Questo sacerdote segue un buon metodo: prima legge il Vangelo e poi lo spiega. La domenica successiva ha cominciato a pensare che ciò che lì si diceva era interessante e poteva trovare applicazione. In sostanza, erano consigli per la vita. In realtà non sapevo perché, ma di solito andavo a Messa preoccupato per lo stato di salute di mio padre e alla fine uscivo come rasserenato. Una cosa veramente strana...
Ha cominciato a essere d’accordo con quello che ascoltava durante la Messa, al punto da arrivare ad avere un certo senso di appartenenza. Ho cominciato a ricordare che anch’io ero cristiano: anch’io sono battezzato e tutto questo fa parte della mia cultura. Poi è arrivato un momento in cui ho pensato che era da sciocchi continuare a star lì seduto senza far nulla. Così ha deciso che a questo punto era coerente praticare nuovamente, confessarsi, fare la comunione...
Erano passati 4 anni dacché aveva cominciato ad andare a Messa con i genitori.
Il primo passo è stato parlarne con sua moglie, neanche essa praticante, anche se non si era mai dichiarata atea, né contraria alla Chiesa. Era ormai da anni che andavamo a Messa insieme, ma non ne avevamo mai discusso. Io un po’ mi vergognavo, ma poi risultò che anche lei la pensava esattamente come me e non sapeva come dirmelo.
Il passo successivo è stato quello di cercare qualcuno di fiducia per confessarsi. Manuel si ricordava della scuola e del Padre Prefetto di quei tempi. Un sacerdote che ricordava il nome di tutti gli alunni, dei loro fratelli, dei loro genitori... e che, grazie all’affetto, era capace di chiedere notizie di ognuno di loro dopo anni. Lo trovarono in una casa dei Gesuiti a Madrid e, naturalmente, si ricordava di loro e si rallegrò molto quando fu informato su quello che era successo. Ci siamo confessati entrambi con lui ed è stato facile perché lui ci ha aiutato molto. Io mi ricordavo che dovevo fare un po’ di esame di coscienza, ma poco più... Ho sentito una gioia molto profonda, non da fare salti dentro di me.

Quel sacerdote impose loro per penitenza di andare a Messa e fare la comunione il giorno dopo, che era il mercoledì delle ceneri; nel farlo, Manuel sentì un brivido nell’ascoltare, dopo tanti anni, “convertiti e credi nel Vangelo”. Ancora oggi continua a sentirlo quando ricorda questa frase.
Posso ricordare perfettamente quando ero ateo, perché è stato poco tempo fa. Ora ho una consolazione infinita, qualcosa cui ricorrere tutti i giorni. Si vive diversamente, ma non è facile da spiegare. Se qualcuno mi chiedesse di valutare la differenza fra la mia vita di prima e quella di oggi dall’1 al 10, io direi 1.000, ma non sono in grado di spiegare esattamente in che cosa. Forse in tutto.
A suo padre, che ancora non era morto, non parlarono molto del cambiamento. Semplicemente, se ne accorse. E un giorno, quando era già ricoverato, Manuel gli disse: ricordi quando non sono voluto andare alla canonizzazione di san Josemaría e ti ho detto tutte quelle cose? “Sì”. Ormai non penso più nessuna di quelle cose. Nessuna.
Mi sento molto simile al protagonista del Vangelo del figlio prodigo. Come lui, in tutta la mia vicenda, mi sono sempre sentito accolto, nessuno mi ha rinfacciato mai nulla. Tutti hanno apprezzato il mio ritorno a casa.
“In qualunque situazione della vita non devo dimenticare che non smetterò mai di essere figlio di Dio, di essere figlio di un Padre che mi ama e spera nel mio ritorno. Anche nelle situazioni più brutte della vita Dio vuole abbracciarmi, Dio mi aspetta”.
PAPA FRANCESCO
Se vuoi vedere i video in un unico documentario, clicca qui: “Documentario: Il ritorno a Itaca”.