Isidoro Zorzano nacque a Buenos Aires (Argentina) il 13 settembre 1902. Era il terzo dei cinque figli di una famiglia di emigranti spagnoli. I loro genitori erano riusciti a raggiungere una situazione economica di un certo benessere e tornarono in Spagna nel 1905, con l'intenzione di rientrare in Argentina. Si stabilirono a Logroño, dove Isidoro frequentò le scuole elementari e medie. Nel 1912 morì improvvisamente suo padre e sua madre decise di restare in quella città.
Nel gennaio del 1916 conobbe Josemaría Escrivá, un nuovo compagno di classe, proveniente da Barbastro, con il quale fece amicizia. Isidoro concluse la scuola secondaria nel 1918 e cominciò a prepararsi per l’ammissione alla Scuola Speciale di Ingegneria Industriale di Madrid, dove si trasferì in ottobre del 1919. Da adolescente Isidoro intensificò la pratica religiosa e cercò l’aiuto di qualche sacerdote per essere orientato nella sua vita cristiana. Metteva in pratica le opere di misericordia e – con parole di un compagno – «era sempre disposto ad aiutare tutti in qualsiasi momento».
Nel 1924, a causa del fallimento del Banco Español del Río de la Plata, gli Zorzano persero quasi tutti i loro risparmi. Isidoro e il suo fratello minore Francisco pensarono di lasciare gli studi per contribuire a sostenere la famiglia con il loro lavoro. Ma la madre e le due sorelle vollero che proseguissero. Isidoro cominciò anche a impartire lezioni private.
Nel giugno del 1927, Isidoro ottenne il titolo di ingegnere industriale. Dopo aver insegnato in un'accademia di preparazione all’ammissione nella Scuola di ingegneria industriale e, dopo una breve esperienza nei cantieri navali di Matagorda (Cádiz), si trasferì a Malaga, per lavorare nella Compañía de los Ferrocarriles Andaluces e insegnare nella Scuola Industriale della stessa città.
In quel periodo, Isidoro cominciò a sentire inquietudini spirituali più profonde. Il 24 agosto del 1930, ebbe a Madrid un lungo colloquio con Josemaría Escrivá, suo vecchio compagno di liceo, che era sacerdote da 5 anni. Josemaría gli spiegò il messaggio dell’Opus Dei, fondato nel 1928: cercare la santità e fare apostolato per mezzo del lavoro professionale e il compimento dei doveri ordinari. Isidoro si rese subito conto che quel panorama corrispondeva pienamente alle sue aspirazioni e decise di entrare nell’Opus Dei.
Tornò a Malaga e riprese il suo lavoro abituale, ma ora tutto aveva acquisito una nuova luce. Intensificò la vita di preghiera, si alzava presto ogni mattina per partecipare alla Santa Messa e ricevere la Comunione, collaborava generosamente con attività assistenziali; tra l'altro, dedicava diverse ore a fare lezione ai bambini poveri di alcune scuole dirette dalle suore Adoratrici e da P. José Manuel Aicardo, gesuita. Uno dei suoi alunni della Scuola Industriale, che partecipava con lui anche alle passeggiate dell'Associazione Escursionistica, ricorda che era simpatico, affabile, equilibrato; utilizzava ogni occasione per servire gli altri e attirarli a Dio. Un collega di università, che coincise con lui anche a Malaga, racconta che, benché con il suo stipendio avrebbe potuto permettersi qualche comodità, viveva con sobrietà, perché utilizzava i soldi per aiutare la sua famiglia e i bisognosi.
A tutti erano noti il suo rispetto per la giustizia e la sua premura verso gli operai che lavoravano sotto la sua direzione. Non discriminava nessuno per le sue idee politiche, si preoccupava di tutti e serviva chiunque, sia al lavoro che a scuola. I suoi alunni ricordano che talvolta faceva lezioni private gratuite affinché tutti imparassero la materia e fossero promossi all'esame. Nel 1936 si diffuse un esasperato atteggiamento antireligioso e l’ambiente della città diventò molto pericoloso. Nel mese di giugno, alcuni dipendenti informarono Isidoro che certi gruppi politici avevano deciso di ucciderlo in quanto cattolico, perciò si trasferì a Madrid.
Poco dopo scoppiò la guerra civile e nelle zone controllate da comunisti e anarchici, si scatenò una violenta persecuzione religiosa. San Josemaría e i pochi giovani appartenenti all’Opus Dei dovettero nascondersi o furono imprigionati perché erano cattolici. Isidoro avrebbe potuto fuggire dalla Spagna, ma decise di restare a Madrid per non disinteressarsi degli altri: protetto da documenti precari – un estratto di nascita a Buenos Aires – e sapendo che la sua vita era continuamente in pericolo, contribuì a mantenere uniti i membri dell’Opus Dei, sia tra loro che con san Josemaría.
In quegli anni aiutò molte persone, non solo spiritualmente, ma anche procurando loro generi di prima necessità e cibo, che otteneva con gran sacrificio, rinunciando in buona parte al proprio. Pativa tante privazioni che una volta svenne per strada. In quei mesi si evidenziò il suo amore per l’Eucaristia: nonostante le restrizioni, riusciva a procurare a san Josemaría e ad altri sacerdoti il pane e il vino per poter celebrare la Santa Messa di nascosto, custodiva nella propria stanza le particole consacrate per portare la Comunione ai rifugiati e riuniva i conoscenti per la celebrazione clandestina della Santa Messa in qualche appartamento.
Terminata la guerra, Isidoro ottenne un posto di lavoro a Madrid nella Compañía Nacional de Ferrocariles del Oeste. Un collega ha dichiarato che «esercitò un notevole ascendente su tutti i suoi subordinati, in primo luogo perché si vedeva che era un uomo di gran talento e di straordinaria competenza, poi perché il suo comportamento era così dolce e paterno che non c’era chi gli resistesse». San Josemaría lo nominò amministratore delle opere di apostolato dell’Opus Dei: svolse questo incarico con disponibilità e umiltà, senza perdere la pace di fronte alle costanti difficoltà economiche delle diverse iniziative, che erano sempre economicamente deficitarie.
Meditava frequentemente la vita di Cristo, si rivolgeva alla Madonna con affetto filiale, manifestava il suo amore per Dio con il servizio agli altri e la cura dei piccoli particolari. Un testimone che lo conobbe a Madrid ha scritto che aveva visto «nelle sue azioni, parole, comportamento e nelle espressioni dell’animo un modo mirabile di vivere con semplicità e naturalezza l’eroicità della vita quotidiana radicata in Dio. Nel frequentare Isidoro, io mi sentivo semplicemente e quasi inavvertitamente avvolto nella presenza di Dio».
All’inizio del 1943 gli diagnosticarono un linfogranuloma maligno. Sopportò la dolorosa malattia con fortezza e abbandono alla volontà di Dio. Una delle infermiere che lo assistettero ha dichiarato: «Non chiedeva mai niente; per lui andava bene tutto; non si lamentò mai». Morì in fama di santità il 15 luglio di quello stesso anno, all’età di quarant’anni e fu sepolto nel cimitero dell'Almudena, a Madrid. «Nel parlare tra noi dei dirigenti – racconta uno dei suoi colleghi delle ferrovie “Ferrocarriles del Oeste” – spesso si diceva: “Don Isidoro è un santo”».
Nel 2009 i suoi resti mortali furono deposti nella parrocchia di Sant’Alberto Magno di Madrid, dove riposano attualmente.