Vangelo (Gv 3, 13-17)
– Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’Uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
– Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Commento
Il vangelo della festa dell’Esaltazione della Santa Croce include un frammento della conversazione che Gesù ha con Nicodemo, uno degli uomini illustri di Gerusalemme, che va a incontrarlo di notte. Benché si tratti di un “maestro in Israele (Gv 3, 10), Nicodemo si avvicina con deferenza al Signore, attratto dalla sua imponente figura e dalla sua predicazione piena di autorità e di sapienza. Le parole di Gesù sono profonde e da parte nostra richiedono una disposizione di ascolto attenta e umile, come quella di Nicodemo.
Il brano fa parecchi riferimenti al binomio sopra/sotto e alle azioni di salire e scendere, con un grande contenuto teologico. “Alto” è l’ambito di tutto ciò che è divino, il Cielo, dove sta il Padre, da dove è venuto il Figlio, il quale discende nel mondo, l’ambito limitato degli uomini, per essere uno dei nostri; e da qui, da qui giù, ritorna trionfante accanto al Padre, con la nostra umanità glorificata e assunta, come dirà lo stesso Gesù risuscitato alla fine del vangelo: “salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20, 17). Grazie all’opera compiuta da Gesù, gli uomini potranno avere vita eterna e salvezza.
Tutto questo mistero è possibile perché Gesù si è lasciato innalzare sulla croce, per trasformare paradossalmente in una esaltazione il gesto terribile e umiliante di innalzare i crocifissi perché fossero visti da tutto il popolo. Il culmine della sua sconfitta agli occhi del mondo diventa la figura del suo trionfo agli occhi del Padre e per questo la sorgente di salvezza per gli uomini. In questo si vede fino a che punto Dio ha amato il mondo (v. 16).
Per spiegare questo a Nicodemo in poche parole, Gesù fa riferimento al famoso brano del serpente di bronzo, contenuto nel libro dei Numeri 21, 8-9. In quel brano Dio comanda a Mosè di forgiare un serpente di bronzo e di collocarlo in cima a un’asta in modo che possa essere alzato e contemplato dal popolo nel deserto. E come gli israeliti morsi dai serpenti ottenevano paradossalmente la salvezza e la guarigione guardando un serpente innalzato, così gli uomini sprofondati nel peccato possono raggiungere la salvezza guardando colui che è stato innalzato su una croce come se fosse maledetto e peccatore.
Riflettendo sulla festa dell’Esaltazione della Croce, che commemoriamo oggi, una volta il Papa Francesco spiegava così il brano del dialogo di Gesù con Nicodemo: “Qualche persona non cristiana potrebbe domandarci: perché «esaltare» la croce? Possiamo rispondere che noi non esaltiamo una croce qualsiasi, o tutte le croci: esaltiamo la Croce di Gesù, perché in essa si è rivelato al massimo l’amore di Dio per l’umanità. È quello che ci ricorda il Vangelo di Giovanni nella liturgia odierna: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito» (3,16). Il Padre «ha dato» il Figlio per salvarci, e questo ha comportato la morte di Gesù, e la morte in croce”[1].
Il Papa Francesco si domandava allora: “Perché è stata necessaria la Croce?” e rispondeva: “A causa della gravità del male che ci teneva schiavi. La Croce di Gesù esprime tutt’e due le cose: tutta la forza negativa del male, e tutta la mite onnipotenza della misericordia di Dio. La Croce sembra decretare il fallimento di Gesù, ma in realtà segna la sua vittoria. Sul Calvario, quelli che lo deridevano gli dicevano: «se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce» (cfr Mt 27,40). Ma era vero il contrario: proprio perché era il Figlio di Dio Gesù stava lì, sulla croce, fedele fino alla fine al disegno d’amore del Padre. E proprio per questo Dio ha «esaltato» Gesù (Fil 2,9), conferendogli una regalità universale”[2].
Pablo M. Edo
[1] Papa Francesco, Angelus, 14 settembre 2014.
[2]Idem.