Verso il Giubileo 2025, pellegrini di una speranza che non delude

Alla fine di quest’anno avrà inizio il Giubileo 2025. Manca ancora qualche mese, ma è bene iniziare a prepararsi: ecco una riflessione di don Luigi Vassallo.

È dura la vita di una porta santa.

Rimane chiusa per quasi tutto il tempo. Anzi, non chiusa: murata. Come a dire: dimenticatevi che c’era una porta, le ante sono lì per bellezza, di qui non passa nessuno. E la nostra benedetta porta passa i lustri a chiedersi: «Ma allora che sono porta a fare?».

Poi però, tutt’a un tratto, la notte di Natale viene aperta, davanti agli occhi attoniti di tutta la Chiesa. Viene spalancata dal Papa in persona e tutti stanno a guardare per vedere cosa ci sarà dietro, come se quella porta, murata e dimenticata per l’ultimo quarto di secolo, fosse l’ingresso stesso del paradiso.

Ed è allora che inizia il giubileo. Come nei tempi dell’antico Israele si sente risuonare nei cuori la voce potente dello shofar, il corno che segnalava l’inizio dell’anno di grazia del Signore. Da tutto il mondo cristiani di ogni lingua, popolo e nazione confluiscono in unità, convergendo verso quella porta che tutti vogliono attraversare, per ottenere il perdono e l’indulgenza, riempirsi dei benefici della grazia e iniziare una vita nuova.

La porta santa allora è ripagata dei lunghi anni di attesa, perché più che mai capisce di essere un potente simbolo di Cristo stesso, che disse: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9). Capisce che i suoi poveri stipiti e le sue ante adesso spalancate sono uno strumento di cui la Santa Chiesa si serve per ricordare agli uomini che dobbiamo passare per la porta stretta, che bisogna mettersi in cammino per attraversare una soglia di conversione, per entrare in una speranza che non delude.

Qualcuno di noi conserva ancora nel cuore l’impressionante icona di san Giovanni Paolo II inginocchiato sulla soglia della porta santa di San Pietro appena aperta, la notte di Natale del 1999, a un passo dall’inizio del terzo millennio dell’Incarnazione. Sono passati 25 anni e anche in questo Natale la Chiesa tornerà a ricordarci che quel Bambino nella mangiatoia era una porta aperta verso la salvezza.

Per entrare nella Basilica che custodisce la grotta di Betlemme ancora oggi c’è una porta detta “dell’umiltà”, tanto piccola che per attraversarla bisogna chinarsi. Il punto è quello: che dobbiamo farci piccoli per entrare nel regno di Dio.

Allora scopriremo che, al di là delle porte che la Chiesa apre nelle cattedrali per darci un segno tangibile del dono di grazia, la porta santa dell’amore di Dio ci aspetta in ogni momento.

È la porta santa di casa, quando un papà o una mamma tornano stanchi da una giornata di lavoro, e si preparano ad abbracciare la gioia a volte faticosa della vita familiare.

È la porta santa di un esame o di una prova, cui lo studente si avvicina con ansia, ma con speranza, pronto a fare del suo meglio.

È la porta santa dietro cui sta bussando un povero, un amico in cerca di ascolto, qualcuno che soffre.

È la porta santa del confessionale, con cui entriamo nella misericordia, liberando il cuore dal fardello delle mostre miserie.

È la porta santa del tabernacolo, dietro cui un Dio umile si nasconde in un pezzo di pane.

Troveremo porte sante ovunque, aperte da Dio per noi, e sentiremo la voce del Signore che ci dice: «Ecco, ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome» (Ap 3,8).

Mancano pochi mesi e la Porta Santa, quella ufficiale, si aprirà per davvero. E ne vedrà delle belle, con tutte le storie che la attraverseranno nell’anno santo per ritrovare più intensa la luce della fede. E tra quelle storie e quei viandanti speriamo di esserci anche noi, felici pellegrini di una speranza che non delude. E sarà giubileo.

Don Luigi Vassallo