Vedere, nel malato, un altro Cristo

A Roma c’è il Campus biomedico, Università e Policlinico, in cui si cerca di mettere la persona al centro di tutto. Ce ne parla l’infermiera Luisella Leandri, che lavora come caposala in un piano di degenza di questo ospedale.

Nei primi anni della sua attività sacerdotale, Josemaría Escrivá trascorse molto tempo negli ospedali, assistendo spiritualmente i malati. Questa particolare dedizione, nei confronti di chi soffre, si è concretizzata in numerose iniziative dell’Opus Dei nel campo della sanità, in tutto il mondo.

“Tutte le persone che ruotano all’interno del Campus biomedico - spiega Luisella - rappresentano il nostro prossimo. Non soltanto gli ammalati, ma anche gli altri: i medici, le infermiere, gli studenti, i parenti dei pazienti, le signore che fanno le pulizie... Ognuno ha la sua importanza e deve essere rispettato, in un clima di grande armonia. In questo modo, anche i pazienti si troveranno bene”.

“I malati sentono di trovarsi in un ospedale che pone la persona al centro di tutto?”

“Avvertono questa differenza ed affermano di sentirsi accolti. Trovano un ambiente piacevole, fin dai più piccoli particolari. Ad esempio, le signore delle pulizie si mostrano discrete e gentili. Cercano di svolgere bene il loro lavoro. Anche questo contribuisce a rendere gradevole la permanenza nell’ospedale”.

“Quanto è importante il sorriso di un’infermiera per il paziente?”

“E’ importantissimo. Le infermiere del Campus biomedico cercano sempre di essere gentili e di regalare un sorriso. L’ammalato ha bisogno d’avere accanto a sé persone accoglienti, con le quali parlare. Questi potrebbero sembrare soltanto dei dettagli, ma sono proprio le cose che aiutano il paziente a trovare la forza d’andare avanti, di continuare. Anche nelle situazioni più difficili. Ciò rientra nello spirito dell’Opus Dei, che invita a santificare anche i più piccoli gesti della vita quotidiana. Come un sorriso. Naturalmente, le persone dell’Opera sono soltanto una piccola percentuale tra quelle che lavorano al Campus. Ma noi cerchiamo di trasmettere questo spirito a tutti. Ed è bello vedere come tutti si sforzino di svolgere con amore e dedizione il proprio lavoro”.

“Quale messaggio sente d’aver ricevuto attraverso la formazione dell’Opus Dei?”

“Il Prelato dell’Opera, Javier Echevarría, ci ha ricordato che noi infermiere dobbiamo vedere, nel malato, un altro Cristo. Tutto ciò che noi facciamo per un paziente, è come se lo facessimo a Gesù. Personalmente, devo sforzarmi di svolgere bene il mio lavoro. Con amore e professionalità. Anche quando sento di essere stanca, o se devo correre perché ci sono tante cose da fare. Nonostante questo, non devo mai dimenticarmi di donare un sorriso agli altri. E’ questa la ricerca della santificazione della vita quotidiana, nella sua concretezza”.

“Oltre alle esigenze di ordine pratico, quanto è importante la dimensione spirituale del paziente?”

“Bisogna ricordare sempre che il malato ha una mente ed un cuore. E quindi, oltre ad aiutarlo nelle cose pratiche, cerco d’accorgermi se necessita di un supporto spirituale. A volte ha bisogno di pregare, o dell’aiuto di un prete. Oltre ad essere vicina al medico nell’esercizio della sua professione, accompagno il sacerdote mentre distribuisce l’Eucaristia. E questo perché esiste la medicina del corpo, ma anche quella dell’anima. Entrambe sono importanti, allo stesso modo. Quindi io, come infermiera, devo comportarmi con la stessa professionalità. Sia quando accompagno il medico che quando accompagno il sacerdote”.

“Anche i malati, nel Campus biomedico, hanno un modo diverso di comportarsi?”

“Noi chiediamo ai pazienti di non indossare il pigiama e la vestaglia, quando sono nel corridoio o nelle parti comuni dell’ospedale. Cerchiamo di far capire loro che, se sono in grado di uscire, allora possono anche vestirsi normalmente. Questo li aiuta a vivere la loro degenza in modo più dignitoso, evitando di sentirsi addosso l’etichetta di malati. Inizialmente, non tutti riescono a capire questa nostra richiesta. Ma poi, ne comprendono il valore. Ed infatti, i pazienti che ritornano nel Campus biomedico sono ben organizzati e si portano i vestiti necessari per questa esigenza: una tuta o un abito facile da indossare”.

“Ci sono altri dettagli che denotano uno spirito diverso, secondo ciò che desiderava il fondatore dell’Opus Dei?”

“Nel Campus biomedico ci sono soltanto due pazienti per ogni stanza. E questo rende tutto più agevole, facilitando anche l’amicizia. La biancheria viene cambiata spesso, affinché la persona si trovi bene. E poi, se il paziente compie gli anni durante il periodo della degenza, si cerca di festeggiarlo offrendogli da mangiare qualcosa di diverso e di particolare. Il tutto, naturalmente, d’accordo con la dietista. Al momento di portare il vassoio con il pranzo, le infermiere aggiungono anche un biglietto di buon compleanno. E poi si recano insieme dal paziente, per fargli gli auguri. Tutto questo aiuta anche noi, che lavoriamo al Campus, a sentirci più vicini alle persone. I pazienti stessi, quando ritornano nel nostro ospedale, a distanza di tempo, si ricordano delle attenzioni ricevute e cercano le infermiere che li hanno assistiti durante la precedente degenza. Questo è molto bello, e significa che si è riusciti a lasciare un segno”.

“In “Cammino”, Josemaría Escrivá ha scritto che una delle preghiere più gradite a Dio è quella dei malati. Perché?”

“Il malato vive una condizione di grande sofferenza, sia fisica che psicologica, proprio come Gesù sulla croce. Per questa ragione, è molto vicino a Dio ed ha maggiormente bisogno di essere ascoltato. Io credo che questa frase di “Cammino” nasca dalla lunga esperienza del fondatore dell’Opera negli ospedali, durante i suoi primi anni di sacerdozio, in cui esercitava la funzione di medico delle anime tra gli ammalati”.

“Oltre alla santificazione della vita quotidiana, è possibile parlare anche di una santificazione del dolore?”

“Josemaría Escrivá invitava ad offrire la propria sofferenza per un atto d’amore, proprio come Gesù in croce. Non sempre è facile. Ma attraverso la preghiera, è possibile arrivare ad accettare pienamente la propria condizione ed offrirla a Dio. Anche il fondatore dell’Opera, nel corso della sua vita, attraversò momenti di malattia e di sofferenza. Ed amava ripetere: ‘Benedetto sia il dolore, santificato sia il dolore, glorificato sia il dolore’. Per essere più vicino a Gesù”.

Intervista a cura di Carlo Climati