Rosalía López e i suoi ricordi di san Josemaría

Rosalía López, nata il 5 febbraio 1925 a Busnela (Burgos, Spagna), ha vissuto a Roma dal 1946, poco dopo la sua vocazione come numeraria ausiliare, su invito di san Josemaría. Pochi giorni fa è morta, a novantanove anni. In questo articolo aveva condiviso i suoi ricordi di san Josemaría.

Soltanto pochi mesi prima di recarsi a Roma, Rosalía López aveva deciso di far parte dell’Opus Dei, quando lavorava nel servizio domestico della prima residenza dell’Opera a Bilbao. Da allora e fino al transito in cielo di san Josemaría, il 26 giugno 1975, Rosalía ha lavorato nella sede centrale dell’Opus Dei.

Qual è il suo ultimo ricordo?

L’ho visto l’ultimo giorno, all’ora della prima colazione, poco prima che uscisse per recarsi a Villa delle Rose, a Castelgandolfo, dove poi ha avuto un incontro con sue figlie di tutti i continenti. Ma il mio ricordo più vivo è un episodio del giorno prima. Finito di mangiare, prima di lasciare la sala da pranzo, mi ha ringraziato: “Molte grazie, Rosalía, figlia mia, per esserti occupata di noi così bene”. Era sempre molto grato, ma quella volta mi sembrò che lo dicesse in un modo diverso, con un senso che andava oltre il servizio prestato con il mio lavoro in quel momento. Mi sono commossa molto, senza capire perché e ne parlai a Bianca Fontán, che era lì vicino: “Il Padre mi ha ringraziata in un modo diverso”. Bianca non diede molta importanza alla cosa, perché sapeva che io sono molto emotiva. Il giorno dopo, senza avermi detto altro, il Padre se ne andò in Cielo.

Tanti anni passati accanto a una persona che Giovanni Paolo II ha proclamato santo il 6 ottobre 2002…; si rendeva conto che era un uomo di Dio?

Sì. Il Padre conduceva a Dio; con lui imparavi ad amare il Signore. Ricordo che un giorno stavo togliendo la polvere e si avvicinò per domandarmi: “Figlia mia, quanti atti di amore hai già fatto?”. Io gli risposi: “Padre, che cosa vuol dire?”. “Ascoltami: quello che stai facendo, offrilo a Dio nostro Signore e digli anche qualche parola affettuosa”».

Che cosa metteresti in evidenza del suo modo di essere?

Era un vero Padre, che sapeva amare e sapeva essere esigente. Ti voleva molto bene, ti era vicino, ti aiutava. L’ho visto rifare i letti, fare le pulizie, raccogliere e mettere in ordine le cose. Non faceva distinzione tra i vari tipi di lavoro: erano tutti importanti e tutto doveva essere fatto bene, per amore di Dio.

Ciò a cui più teneva erano i suoi figli e le sue figlie. Nell’estate del 1962 passò alcune settimane a Londra; sono partita anch’io con altre persone, per curare il lavoro della casa dove abitavano. Quando si rese conto che il giorno in cui dovevamo far rientro a Roma coincideva con il mio onomastico – il 4 settembre – fece cambiare i biglietti. “Come possiamo partire il giorno dell’onomastico di questa mia figlia?” – ci disse -. Tutti i giorni avevamo un incontro informale con lui e con don Álvaro del Portillo e non voleva che proprio quel giorno saltasse.

Altri ricordi...

I primi mesi a Roma furono speciali. Quando siamo arrivate a Roma, il Padre e don Álvaro sono venuti ad accoglierci all’aeroporto. Prima che arrivassimo nell’appartamento di piazza della Città Leonina, egli aveva lavato i piatti e aveva messo in ordine la cucina perché trovassimo tutto a posto. Quella sera mettemmo in tavola una frittata con patate e pollo, che avevamo portato in aereo perché sapevamo che a Roma c’era molta scarsezza e stavano patendo la fame. Si era in pieno dopo-guerra, non c’erano mezzi né denaro. Quando venivano gli ecclesiastici che il Padre invitava a pranzo per spiegare loro l’Opera, cucinavamo con i bracieri che servivano per riscaldare la casa. Mancavano le cose più elementari, ma con un po’ di astuzia e con il sostegno di san Josemaría, riuscivamo a cavarcela. Mentre facevo le pulizie, l’ho visto spesso pregare sul terrazzo della casa, guardando verso gli appartamenti pontifici: era chiaro che pregava per il Papa.

Un altro ricordo risale al 27 aprile 1954, quando il Padre morì, come io, nonostante tutto, sostengo. Quando entrai nella sala da pranzo, don Álvaro stava assistendo il Padre, che aveva avuto uno shock dovuto al diabete di cui soffriva da parecchi anni, e stava cercando di mettergli dello zucchero in bocca. Mi disse di andare a cercare il medico. Io in quel momento ho visto il Padre morto.

Quello stesso pomeriggio il Padre e don Álvaro, nel ritornare a casa, entrarono dalla porta di via Villa Sacchetti 36 invece di entrare da via Bruno Buozzi, com’erano abituati a fare. Mi sembrò un particolare affettuoso per tranquillizzarci, vedendo che ormai si era perfettamente ripreso. Più tardi chiese che gli preparassimo una omelette alla francese. Il giorno dopo, appena mi vide, mi disse: “Rosalía, ora puoi darmi lo zucchero perché sono guarito dal diabete”. Assai spesso mi diceva: quando passi davanti la vetrata con l’immagine della Madonna, chiedile che ascolti il Padre.

Rosalía, che cosa vorrebbe che si capisse chiaramente da questa intervista?

La fede che aveva il Padre. Affidava tutto alla preghiera, perché sapeva che l’Opera era di Dio.

Quando sorgevano delle difficoltà, diceva: “Tu, prega”. In tutto questo tempo ho visto come è cresciuta l’Opera. È stata la fede del Padre: tutto quello che diceva si è avverato. Agiva sempre con una grande speranza: era spinto dal desiderio di arrivare in Cielo e di vedere il Signore e con molto amore per Dio e per tutte le persone.