Un ramoscello d’ulivo nell’arca di Noè

Il Signore, seppur senza segni visibili, vuole darci la pace che quell’ulivo simboleggia. Una riflessione su questa Domenica delle Palme, che vivremo come Noè rinchiuso nell'arca.

Photo di Shahan Khan su Unsplash

Dopo quaranta giorni e quaranta notti, Noè non ne poteva più di stare nell’arca. Non doveva essere facile vivere chiusi in mezzo a tutti quegli animali e il passare dei giorni aveva reso via via più faticosa la convivenza familiare di quelle otto persone.

Non solo: i disagi si accompagnavano all’incertezza di mille domande su cosa stava accadendo all’esterno, in quel mondo trasformato dal diluvio in un’immensa distesa d’acqua. Quanto ancora sarebbe durato? Cosa avrebbero trovato là fuori? Come sarebbe ricominciata la vita? Poi il diluvio cessò, l’arca si posò sulla cima di un monte e le acque iniziarono lentamente a scendere. Dopo due tentativi per capire la situazione, la Scrittura racconta che Noè «di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo» (Gen 8,10-11).

In queste settimane anche noi viviamo chiusi nella nostra arca di Noè, alle prese con mille incognite sul futuro, col dolore di tante persone vicine e lontane, incertezza economica e molte rinunce. Alcuni sottoposti a un lavoro più intenso al servizio degli altri e in condizioni difficili. Quasi tutti chiamati a ridisegnare la vita in spazi più piccoli, a reinventare il lavoro, a escogitare ogni giorno qualcosa con i bambini, a sopportarsi pazientemente nella logorante e incerta attesa di tempi migliori.

In questa Domenica delle Palme a molti mancherà – e quanto! – quel ramoscello d’ulivo benedetto da mettere in casa, accanto a un crocifisso o un’immagine della Madonna.

Ma dobbiamo pensare che il Signore, seppur senza segni visibili, vuole darci la pace che quell’ulivo simboleggia. Credo che questa sia la notizia più bella di questo giorno, che segna l’ingresso nella Settimana Santa: che la Passione di Cristo contiene un messaggio di pace. «Egli è la nostra pace», dirà San Paolo agli Efesini (Ef 2,14).

Sarebbe bello che in questi giorni ognuno si adoperasse per trasformare questo messaggio di pace in qualcosa di concreto da vivere con le persone che abbiamo intorno, diventando come un ramoscello di ulivo per la propria famiglia. Fare servizi materiali, evitare argomenti di conversazione che risultino pesanti agli altri, silenziare ogni forma di lamento e invece ringraziare per ogni piccola cosa bella. In tutto dobbiamo cercare – senza risultare pedanti – di alimentare uno sguardo soprannaturale, di vita eterna nel quotidiano, seguendo quel consiglio di San Josemaría per una Domenica delle Palme: «Nel commemorare il giorno in cui il Signore dà inizio alla settimana decisiva per la nostra salvezza, mettiamo da parte le considerazioni superficiali, andiamo all'essenza, a ciò che è veramente importante. Ebbene, la nostra aspirazione è andare in Cielo. Altrimenti non c'è nulla che valga la pena» (È Gesù che passa, n. 76).

Così entreremo, col piede giusto e con lo sguardo su Gesù, in questi giorni di mistero pasquale, verso un Triduo sacro forse molto diverso dal solito ma che porterà con sé – non dobbiamo dubitarlo – tante grazie per la nostra vita.

Dal momento in cui riceve la foglia d’ulivo, passeranno ancora alcuni giorni prima che Noè possa uscire dall’arca con la sua famiglia, ma l’ulivo è una carezza di Dio: è già preludio dell’arcobaleno, di quell’alleanza eterna che segnerà la ripresa del culto, una grande fecondità, l’inizio di una vita nuova, più vicina al Signore.

Don Luigi Vassallo