Sulle orme di un Padre

Mons. Javier Echevarría celebra il 14 giugno un nuovo compleanno. È nato a Madrid nel 1932. Ha conosciuto san Josemaría nel 1948. E dal 1994 è suo successore alla testa dell’Opus Dei. Presentiamo alcune foto e alcuni suoi ricordi autobiografici.

Mons. Javier Echevarría è nato il 14 giugno del 1932.

Sono nato a Madrid, nella calle Fortuny, il 14 giugno 1932. Mio padre, ingegnere, era docente nell'istituto di ingegneria industriale…Avrei voluto essere agente di cambio e lavorare in borsa, come mio nonno, per guadagnare e vivere bene. Poi Dio è entrato nella mia vita e ho cambiato programmi: ho studiato, qui a Roma, diritto canonico all'Angelicum e diritto civile all'Università Lateranense, conseguendo le lauree e il dottorato.

Con san Josemaría, prima di essere sacerdote.

Ho frequentato la scuola dei marianisti; poi, dopo il ritorno a Madrid, i Maristi della calle García de Paredes, molto vicino, in effetti, al luogo in cui undici anni prima, nel 1928, Josemaría Escrivá aveva «visto» l'Opus Dei. .. Inoltre da piccolo sono vissuto anche nello stesso fabbricato in cui esisteva un centro dell'Opus Dei. Col passar del tempo, quando ho saputo che il fondatore dell'Opera aveva frequentato parecchio quella casa e che era solito salire e scendere per le scale senza prendere l'ascensore, ho pensato che forse qualche volta possiamo esserci incontrati e mi avrà raccomandato al mio angelo custode, pregando per la mia vocazione, cosa che era solito fare quando passava accanto a qualcuno.

Una foto del 1958.

Una domenica pomeriggio, il 6 giugno, stavamo per andare al cinema. Il mio amico mi telefonò, proponendo un cambiamento di programma: «Ti piacerebbe andare a una residenza universitaria, in calle Diego de León, per interessarci di che cos’è l'Opus Dei?». E ci andammo tutti e sei. Ci accolsero molto bene…Uscendo di lì mi portavo in tasca una immaginetta di Isidoro Zorzano, ingegnere, membro dell'Opus Dei, del quale era iniziato da poco il processo di beatificazione. Mi sembrò un «santo laico» attraente, che si sarebbe potuto imitare.

[Parlando di san Josemaría] 'Eravamo la sua vita!'

Tutto questo succedeva alla vigilia della morte di mio padre. Stava preparandosi alle vacanze estive con la famiglia a San Sebastián quando gli sopraggiunse un infarto fatale. Poiché la notizia non ce la diedero di colpo, ma dicendoci che era molto grave, ricordo che pregai per lui usando la preghiera dell'immaginetta di Isidoro.

Don Javier è stato 'custode' di san Josemaría dal 1955. La foto è del 1968.

Quell'estate ci fermammo a Madrid. Non era mai accaduto prima. Questo mi diede l'occasione di frequentare un centro dell'Opera, che - altra coincidenza - si trovava nella mia stessa via: la famiglia Echevarría era ritornata a calle Españoleto. Ed «Españoleto» si chiamava quella casa di gente giovane dove, tutte le volte che ci andavo, mi davano qualche lavoretto domestico: scartavetrare delle vecchie sedie per ridipingerle; aiutare nella decorazione; dare una mano in qualche lavoro di falegnameria... Mi faceva piacere il fatto di sentirmi utile e di essere trattato come uno che può fare qualcosa per gli altri. L'8 settembre ho chiesto l'ammissione all'Opera. Avevo sedici anni.

Ha accompagnato il fondatore in numerosi viaggi di catechesi.

Mi attrasse l'atmosfera gioiosa: studiavano e lavoravano come matti, ma erano molto contenti. Il fatto che, senza cambiare stato, ci si potesse santificare nella propria professione. E la prospettiva grandiosa di poter portare molta gente a Cristo. Fin da piccolo ero molto socievole e mi piaceva avere molti e ottimi amici.

'Sono molto orgoglioso di essere «cresciuto» vicino a monsignor Escrivá', dice.

Il Padre viveva a Roma già dal 1946, anche se veniva in Spagna con una certa frequenza. In uno di questi viaggi, nel novembre 1948, ci invitarono a un incontro con lui in calle Diego de León. Nell'Opera il sentimento di filiazione verso colui che è il Padre è una caratteristica consustanziale al carisma vocazionale. Senza che nessuno me lo suggerisse, io desideravo conoscere il Padre. Alla fine di quell'incontro familiare - saremo stati circa trentacinque - il Padre si rivolse ai tre di noi che eravamo gli ultimi arrivati e ci propose di andare quello stesso pomeriggio con lui a conoscere Molinoviejo, una casa in aperta campagna in prossimità di Segovia, adibita a convivenze e ritiri.

'Ho il cuore aperto a tutto il mondo, grazie all'esser vissuto con due uomini dallo spirito grande'.

Ci infilammo in sei in una vecchia Vauxhall. Il Padre stava dietro. Io davanti condividevo il sedile con un altro. Guidava la macchina il dottor Odón Moles. Durante il tragitto facemmo molte cose: chiacchierammo, cantammo, ridemmo, pregammo... II Padre ci parlava di innumerevoli apostolati che l'Opera doveva fare in ogni parte del mondo e che ci stavano aspettando. Con la sua voce di baritono, di buon timbro e ben modulata, cantava canzoni popolari, canzoni d'amore che indirizzava a Dio: «Ho un amore che mi riempie di gioia...». Scherzava con noi: quando a una svolta della strada appariva una casupola vecchia, brutta, cadente, ci diceva: «Guardate!... Quello è Molinoviejo!». Ci siamo cascati un paio di volte. Purtroppo io mi sentii male, vomitai... e, poiché ero vestito di scuro per il lutto di mio padre, ne risultò un disastro. Mi aiutò a ripulirmi, mi tolse dall'imbarazzo della situazione, fece in modo che si viaggiasse col finestrino aperto nonostante fossimo in novembre e mi dimostrò tanto affetto che mi sentii destinatario delle attenzioni non di un padre, ma di un padre tenerissimo.

'I custodi esistono perché il prelato, il Padre, non viva solo'.

Nel 1950 mi trovavo qui per seguire un corso di formazione di alcune settimane, quando il Padre ci comunicò che in quell'anno sarebbero venuti in sette dalla Spagna per frequentare il Collegio Romano della Santa Croce. Io gli dissi: «Mi piacerebbe essere uno di quei sette». Subito il Padre mi rispose: «Parlane con don Álvaro. Se sistemi la cosa con la tua famiglia io non ho obiezioni». Tornai a Madrid per parlare con mia madre di presenza e non per lettera. Sistemai le cose, ed eccomi qui.

Don Álvaro aveva 'delle magnifiche doti umane, mediante le quali conquistava le persone che avvicinava'.

[Quando penso a san Josemaría] Lo vedo fra tante persone che parla di Dio. Lo vedo che va, che si fa incontro agli altri. Lo vedo che si dona a tutti noi, a tempo pieno, senza risparmiare un solo sforzo, senza riservare un minuto per sé. Tutte le nostre cose - un mal di denti, un esame, una preoccupazione familiare, una partita di pallone che stavamo per giocare -, tutto gli era noto e familiare. Eravamo la sua vita!

La ordinazione episcopale di mons. Javier Echevarría.

Vedo don Álvaro che scompare sempre, che si mette in un secondo piano dal quale poter vedere e udire nostro Padre, e aver cura di lui: guardandolo, anche fisicamente, col desiderio d'imparare da lui. E questo pur avendo delle magnifiche doti umane, mediante le quali conquistava le persone che avvicinava…L'ho sempre visto dipendere dal fondatore, assecondandolo in tutto, per aiutarlo a realizzare l'Opus Dei.

Con Giovanni Paolo II, nel 2003.

Nel 1955 sono stato ordinato sacerdote. Nel 1956, all'inizio del Congresso generale dell'Opus Dei - svoltosi all'Hótel Pfauer, un modesto albergo di Einsiedeln, in Svizzera - nostro Padre mi disse: «Javier, devo scegliere due "custodi" da un elenco di nove nomi che mi ha fornito il Consiglio. Io vorrei che uno fosse don Álvaro e tu l'altro. Sei d'accordo?». Io avevo ventiquattro anni e pensai che c'erano molti che erano nell'Opera da molto più tempo di me, che avevano più esperienza, erano più dotati e avrebbero potuto farlo meglio di me. Ma mi sono fidato della grazia di Dio e del discernimento del Padre.

Durante un viaggio in Perù, accarezza un asinello.

A me incombeva l'obbligo di aver cura del Padre in tutti gli aspetti materiali: dal decidere se acquistargli delle scarpe fino ad accompagnarlo dal medico o preparare un viaggio. E anche fargli... non direi delle «correzioni», ma dargli indicazioni concrete su questioni esterne, visibili, nelle quali potesse migliorare o agire in altro modo.

Mentre benedice alcuni bambini a Cordoba.

I custodi esistono perché il prelato, il Padre, non viva solo, non sia un uomo isolato al vertice; e, inoltre, perché lo si possa aiutare a essere migliore. Quella continuità si è verificata solo da quando eravamo custodi don Álvaro e io. Prima c'è sempre stato un custode che cambiava. Solo don Álvaro rimaneva.

Una delle numerose riunioni familiari in cui il Prelato parla sempre e soltanto di Dio. La foto è stata scattata ad Alicante (Spagna).

Sì, hanno lasciato l'asticella molto alta, ma hanno anche lasciato un'asta molto forte. Da una parte, loro aiutano dal Cielo, e dall'altra è ben nitido l'esempio di come hanno agito. Basterà pensare, di fronte a qualunque situazione: «che cosa farebbe il fondatore?» o: «che cosa farebbe don Álvaro ?» per avere la sicurezza quasi totale che continuando così non si sbaglia.

Certo che ho avuto la mia propria vita. Non avrei mai sognato di realizzare la mia vita in un modo così ambizioso. Vivendo per conto mio avrei avuto orizzonti molto più ristretti e voli molto più limitati. Se non fossi stato, giorno dopo giorno, accanto a due uomini di quella statura umana e spirituale, non mi sarei neppure posto l'ambizione di intendermi con tutto il mondo, di preoccuparmi per tutte le anime.

Con Benedetto XVI.

Io, come uomo del mio tempo, come cristiano e come sacerdote, sono una persona ambiziosamente realizzata. E ho il cuore aperto a tutto il mondo, grazie all'esser vissuto con due uomini dallo spirito grande, cristianamente grande.

Come Prelado, ha ordinato numerosi sacerdoti.

Sono molto orgoglioso di essere «cresciuto» vicino a monsignor Escrivá. Avrei voluto imparare ancor più da lui. E quello che ha sempre insegnato era di dilatare il mio cuore di sacerdote. Di tenere le braccia aperte a tutti, da qualunque parte provenissero e in qualunque modo venissero: anche se si fossero presentati come miei mortali nemici. A qualunque ora, in qualunque luogo o circostanza, di avere il cuore spalancato per chiunque abbia bisogno di me...

Brani di un'intervista rilasciata a Pilar Urbano.