San Giuseppe, un uomo giusto tra dolori e gioie

Il 19 marzo la Chiesa festeggia san Giuseppe, un uomo che, tra dolori e gioie, è stato capace di fare con amore quello che Dio gli chiedeva. Lo stesso giorno inizia l’anno “Famiglia Amoris Laetitia”, mentre dall’8 dicembre siamo nell’anno dedicato proprio a san Giuseppe. Ecco un approfondimento di don Giovanni Vassallo sul santo patriarca.

La solennità del 19 marzo costituisce il momento centrale di questo speciale anno di san Giuseppe voluto da papa Francesco. Perché mettere in primo piano questa figura nell’epoca di crisi economica e sanitaria che stiamo vivendo? Che cosa suggerisce agli uomini e alle donne di oggi questo silenzioso personaggio del vangelo?

Un primo aspetto ci viene offerto dalla descrizione che ne fa Matteo, che è come una concisa biografia: Giuseppe era essenzialmente un “uomo giusto” (Mt 1,19). Si tratta di una caratteristica con una lunga tradizione nell’Antico Testamento, da Abele a Noè fino ad Abramo. Il giusto è un uomo che “trova la sua gioia nella legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte” (Salmo 1,2). Giorno e notte, infatti, Giuseppe viveva a stretto contatto con la Parola di Dio, disposto a compiere quanto il Signore gli indicava nei diversi sogni. Era tale la sua docilità ai progetti di Dio che lo stesso Gesù volle apprendere alla scuola di quest’uomo giusto a compiere la volontà del Padre (Patris Corde n.3).

In quel tempo in Palestina ci saranno stati senz’altro uomini migliori, dotati di maggiori capacità e intelligenza, ma Dio scelse come suo padre terreno nientr’altri che questo semplice artigiano di Nazaret. È certo che gli abbia concesso una speciale grazia per svolgere questo importante ruolo, ma soprattutto si aspettava che egli mettesse a frutto i talenti che aveva già: la sua creatività e la sua prudenza, la sua professionalità e la sua delicatezza.

La vocazione di Giuseppe

La vocazione di Giuseppe ci ricorda pertanto che ciascuno di noi è la persona giusta per fare la volontà di Dio nella nostra vita, nel momento e nel contesto che il Signore ci ha affidati, con le persone che ci ha messo accanto. Siamo chiamati a essere giusti lì dove si svolge la nostra esistenza.

Una secondo spunto ci viene offerto dallo specifico compito affidato a Giuseppe: essere padre. Si tratta, come sappiamo, di una paternità un poco originale: non si trattava del padre biologico di suo figlio, eppure i vangeli insistono nel considerarlo vero padre di Gesù. Luca dice che “il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui” (Lc 2,33), Maria stessa, ritrovando Gesù dodicenne nel Tempio, esclama “tuo padre e io ti cercavamo” (Lc 2,48).

Cosa rendeva Giuseppe un padre? La sua autentica paternità si esprime “nell’aver fatto della sua vita un servizio, un totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro” (Patris corde n.1). Ciò che definisce un padre è il suo cuore. Così Giuseppe ha amato Gesù: con cuore di padre. L’essenza della sua paternità sta nel aver prestato il suo cuore di padre a Dio Padre, nell’aver incarnato la misericordia divina.

Papa Francesco immagina che Gesù si sia ispirato all’atteggiamento di Giuseppe per delineare il personaggio del padre misericordioso nella parabola del figlio prodigo (Patris Corde n.4).

La contemplazione della delicata e attenta paternità di Giuseppe ci rende più vicina e tangibile la paternità di Dio e ci insegna a vivere il nostro essere genitori come servizio, tanto nel matrimonio come nella paternità e maternità spirituali.

Infine Giuseppe è modello di quello che potremmo chiamare il “realismo nella vita in famiglia”. Da secoli la Chiesa tramanda la devozione dei sette dolori e gioie di san Giuseppe. Nella vita del santo patriarca, infatti, ogni dolore era accompagnato da una gioia e viceversa: il dispiacere di dover lasciare Maria dalla gioia di poterla sposare; la povertà della grotta di Betlemme dalla gioia della nascita di Gesù, e così via. È un esempio di ciò che accade in ogni famiglia su questa terra: raramente tutto va alla perfezione, come uno aveva previsto, così come poche volte (ed è un mistero della provvidenza divina) la vita di una famiglia è colpita solo da numerose disgrazie e sofferenze.

Si potrebbe dire che la norma è la famiglia di Giuseppe, nella quale non c’era difficoltà o dolore che non fosse accompagnato dalla gioia dell’affetto dei suoi membri e dalla speranza nella provvidenza divina.

L'anno "Famiglia Amoris Laetitia"

Oggi ha inizio l'anno "Famiglia Amoris Laetitia", a cinque anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica, nel quale siamo invitati a continuare a riflettere sulle sfide della famiglia nel mondo di oggi. In questo documento più volte si ribadisce che non esiste una famiglia "ideale" ma "un interpellante mosaico formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni" (Amoris laetitia n.57).

Nelle difficoltà che stanno vivendo in questi mesi tante famiglie in tutto il mondo, Giuseppe, uomo semplice, marito, padre e lavoratore, è come una luce che ricorda la bellezza di cercare la santità in una vita familiare ordinaria, fatta di gioie e dolori, in cui l’amore vince sempre.

Con parole di san Josemaría, ogni focolare cristiano deve essere un'oasi di serenità in cui, al di sopra delle piccole contrarietà quotidiane, si avverte — come frutto di una fede reale e vissuta — un affetto intenso e sincero, una pace profonda. (È Gesù che passa, n.22)

Nei vangeli Giuseppe non pronuncia neanche una parola, lui è l’uomo del silenzio e dell’azione. Il suo essere uomo giusto, attento alla volontà di Dio, la sua paternità attenta e affettuosa e la sua paziente speranza nelle avversità familiari sono le parole che continua a rivolgere a padri e figli di ogni tempo, anche a ciascuno di noi.