Omelie del prelato nel Triduo Pasquale

Mons. Fernando Ocáriz celebra il Triduo Pasquale nella chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace (Roma). Aggiorneremo man mano questo articolo con le sue omelie.

Omelia della Veglia Pasquale

Santa Maria della Pace, 20 aprile 2019

Vangelo (ciclo C): Lc 24, 1-12

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato indica l’ora approssimativa nella quale le donne corrono al sepolcro: “di buon mattino” (Lc 24, 1). Era morto Gesù che tanto amavano, era stato crocifisso colui che, dal momento in cui l’avevano incontrato, aveva riempito di significato la vita di ognuna di esse. Per queste donne il mondo, improvvisamente, era diventato un luogo vuoto e confuso. Le ultime notti, forse, avrebbero avuto paura di essere scoperte come seguaci di colui che era stato condannato a morte. Il Papa, durante la Veglia Pasquale dell’anno passato, ha chiamato questi momenti difficili “le ore del discepolo ammutolito”. Questa potrebbe essere, forse, la stessa sensazione che avremmo anche noi se ci fossimo allontanati un poco da Dio o se fossimo convinti che i problemi della nostra famiglia, della Chiesa o del mondo siano troppo grandi; alla fine, se fossimo invasi da una sorta di insicurezza.

Tuttavia, nel Preconio pasquale ci siamo uniti all’esclamazione di tutta la Chiesa: Haec nox sicut dies illuminabitur. La notte splenderà come il giorno. Senza che dipenda dalle nostre forze, arriva una luce a disperdere le tenebre, allo stesso modo che la fiamma del cero pasquale, immagine di Cristo, poco per volta attraverso le candele, ha restituito la luce a questa Chiesa di Santa Maria della Pace.

“Cristo risuscitato dai morti non muore più” (Rm 6, 9), ci dice san Paolo nella lettera che abbiamo letto. Per questo, le donne che si avvicinarono al sepolcro, dopo tante ore di solitudine, possono stare tranquille: Gesù non le abbandonerà. E questo fa sì che questa notte brilli più di qualunque altra. Non esiste oscurità che la risurrezione di Cristo non possa illuminare. Non esiste nessuna preoccupazione tanto grande da farci dimenticare che Cristo è più forte del male, del peccato e della morte. Come ha scritto san Josemaría, “Gesù Cristo vince sempre” (Forgia, n. 660). Possiamo domandarci: ricordo spesso la risurrezione del Signore, che è fondamento della nostra fede? Sono cosciente, in mezzo alle mie difficoltà personali, che Cristo vive ed è vicino a me?

Gesù vive. Questo è ciò che gli angeli aiutano a far capire alle donne che si recarono al sepolcro. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24, 6). In quel momento, forse, le parole del Maestro affiorano al loro ricordo, le collegano a ciò che vedevano e fanno propria la verità dell’annuncio: Gesù è vivo. A quel punto il loro atteggiamento cambia completamente: dal rimanere “ammutolite”, come se non avessero nulla dentro da condividere, finiscono col traboccare di gioia. Cambiano, come dice il profeta Ezechiele in una delle letture, il loro cuore di pietra con un cuore di carne (cf. Ez 11, 19), con un cuore che pensa immediatamente agli altri. Sentono il bisogno di correre. Non possono perdere un secondo senza comunicare questa notizia agli apostoli. Chiediamo al Signore che questa Pasqua sia per noi uguale a quella che fu per quelle sante donne; che troviamo in Cristo risuscitato la gioia di risvegliare alla felicità le persone che stanno attorno a noi. Dio fa assegnamento sulla nostra vita per disperdere la paura di chi, per una ragione o per l’altra, dubita che la forza di Gesù possa vincere la morte e il male.

Qual è la prima reazione degli apostoli? Come reagiscono questi uomini che, con il tempo, avranno il coraggio di andare per il mondo intero annunciando la risurrezione di Gesù fino al martirio? Stranamente, essi credono che le donne farneticassero (cf. Lc 24, 11). Così profondo era il loro scoraggiamento. Pensano che sia impossibile che sia successo una cosa simile. Però Cristo risuscitato ha distrutto tutti i calcoli pessimisti. Poco tempo dopo parleranno di Gesù apertamente nelle loro case, nel loro lavoro, nelle pubbliche piazze. Con gli anni percorreranno molte strade fino ad arrivare anche a Roma, da dove la notizia della Risurrezione si sparge per tutto il mondo conosciuto, certamente con molte difficoltà e persecuzioni.

Haec nox sicut dies illuminabitur. Abbiamo detto, unendoci a tutta la Chiesa nel Preconio pasquale, che questa notte sarà chiara come il giorno. Questa notte non è notte. Riempiamoci di gioia come quella di quelle donne perché Gesù è vivo, perché mai più saremo soli. Riempiamoci di una gioia come quella degli apostoli, che si rinnovi ogni giorno e ci permetta di portare il messaggio della Risurrezione, da Roma, in tutti gli angoli del mondo, e specialmente alle persone che ci sono più vicine. A san Josemaría piaceva pensare che la prima persona che Cristo risuscitato avrà visitato sarà stata sua Madre. Chiediamo a Maria che, quando sta per apparire lo scoraggiamento nel nostro cammino, quando arrivi per noi “l’ora del discepolo ammutolito”, ci ricordi che Gesù vince sempre. Così sia.

Omelia del Venerdì Santo

Santa Maria della Pace, 19 aprile 2019

Is 52, 13-15; 53, 1-12; Sal 31; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1-40; 19, 1-42

Nel racconto che abbiamo letto della Passione, scritto da san Giovanni, testimone oculare dei fatti, troviamo quattro scene nelle quali possiamo ascoltare le parole pronunciate direttamente da Gesù: nell’orto degli ulivi, nell’interrogatorio in casa di Anna, durante il dialogo con Pilato e, infine, dalla Croce. I Vangeli contengono molti momenti nei quali Dio fatto uomo ha parlato col nostro linguaggio: da quella prima conversazione con sua Madre, quando aveva soltanto dodici anni, fino al lungo discorso di commiato nell’Ultima Cena. Abbiamo sermoni, parabole, spiegazioni, che ci diranno cose sempre nuove. Tuttavia, le parole che escono dal cuore di Gesù sulla Croce ci toccano in modo particolare. Questa volta vorrei concentrarmi su una di queste frasi: Ho sete (Gv 19, 28).

1. Dal punto di vista fisico, con il corpo piagato come lo aveva Gesù, la sete sarà sicuramente arrivata molto tempo prima. Inoltre, probabilmente, non aveva mangiato né bevuto da quando era stato catturato. Soprattutto sappiamo che alcuni minuti prima di essere crocifisso gli avevano offerto una bevanda narcotica per mitigare un poco i dolori, ma Cristo non la prese (Mt 27, 34; Mc 15, 23). Perché proprio ora, ormai inchiodato al legno per amore nostro, pochi istanti prima di morire, Gesù dice nuovamente di aver sete?

In un certo senso, ce lo dice lo stesso san Giovanni: per adempiere la Scrittura (Gv 19, 28). Sono momenti nei quali Gesù aveva voluto caricare su di sé i nostri peccati, le nostre sofferenze, le nostre debolezze. Il Vangelo ci dice che il Signore, dicendo ho sete, sapeva che ogni cosa era stata ormai compiuta (cfr. Gv 19, 28). In quei momenti di più alto dolore, Gesù pensava a ciascuno di noi. Per questo san Tommaso d’Aquino afferma che con questa sete intensissima, essendo quasi completamente disidratato, Gesù ha voluto manifestare il suo ardente desiderio di salvarci (cfr. Super Ioan., cap. 19, l. 5). In altre parole, questa sete di chi sta tra la vita e la morte è l’immagine di quanto Gesù ci ami, di quanto vuole che gli apriamo il nostro cuore. È difficile ascoltare queste parole, comprenderne il senso e passare oltre. Approfittiamo di questa Settimana Santa a Roma, dove tra l’altro possiamo ammirare alcune reliquie della Santa Croce, per lasciarci interpellare da queste parole di Cristo. Che nel fondo della nostra anima possiamo dire: Gesù, in verità voglio saziare un poco la tua sete! Gesù, aiutami a corrispondere al tuo amore!

2. Ci eravamo chiesto: perché Gesù manifestò la sua sete? Il Vangelo di san Giovanni ci offre un’altra scena nella quale il tema della sete di Cristo è centrale: quando, stanco per la strada percorsa, Cristo chiede un po’ di acqua a una donna samaritana. Se leggiamo il passo completo, ci rendiamo conto che Gesù sta pensando alla salvezza di quella donna. La sete del Signore è una sete che è saziata solo dalla pace dell’anima che si trova nel suo cammino. La scena si conclude con la conversione della samaritana. E non solo questo; dopo lei torna nella sua città, dicendo: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia? (Gv 4, 29). La sete di Gesù trasformò rapidamente in apostolo una donna che neppure condivideva completamente la fede di Israele.

La sete di Cristo si estende a tutti ugualmente, anche a quelli che non lo conoscono ancora e a quelli che sono un po’ lontani: dalla Croce è impossibile vedere le persone in maniera superficiale. La sete di Gesù si estende ai nostri amici, alle nostre famiglie, a tutte le persone che ci stanno attorno. È significativo che l’iscrizione che fa mettere Pilato sulla Croce, come causa della condanna, fu scritta nelle tre lingue principali di quel tempo: ebraico, latino e greco. È una immagine dell’amore di Cristo sulla Croce, che non è possibile contenere in una sola lingua.

Noi che ci troviamo qui proveniamo da luoghi molto diversi, ma a tutti la Croce di Cristo parla allo stesso modo. Diceva san Josemaría: “Sitio! Ho sete!, esclama dalla Croce. Sete di noi, del nostro amore, delle nostre anime e di tutte le anime che dobbiamo condurre a Lui” (Amici di Dio, n. 202). Siamo qui, in questa celebrazione liturgica, perché Dio ha voluto averci un poco più vicino. Ringraziamo il Signore che ci ha chiamato a questo grande compito di saziare la sua sete, malgrado tutte le nostre debolezze.

3. Fra alcuni minuti avremo l’Adorazione della Croce; accompagniamo il gesto di inginocchiarci e baciarla con un forte desiderio interiore di non dimenticare quello che Gesù ha fatto per noi. Che le immagini che vediamo della Croce durante la nostra giornata, sul nostro tavolo di lavoro, nella nostra camera da letto, in un quadro, ci ricordino le parole di Cristo che abbiamo meditato – Ho sete – e il compito di portare verso il Signore le persone che incontriamo durante il cammino. Per tutto questo chiediamo aiuto a Maria, nostra Madre, che ascoltò direttamente le parole di Gesù. Ci conforta la convinzione che, così come non si separò mai da suo Figlio, neppure nei momenti più difficili, nemmeno si separi mai da noi. Così sia.


Omelia del Giovedì Santo

Santa Maria della Pace, 18 aprile 2019

Es 12, 1-8.11-14; Sal 115; 1 Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15

1. Nella prima lettura della Messa abbiamo ricordato l’istituzione della Pasqua giudaica, che commemorava la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù alla quale sottostava in Egitto. Secoli dopo, Gesù scelse proprio i giorni in cui si ricordava questa liberazione per celebrare, durante l’Ultima Cena, la sua Pasqua istituendo l’Eucaristia. È quel che racconta san Paolo nella seconda lettura. Le parole che Cristo pronunciò quella notte, e che noi sacerdoti ripetiamo in ogni Messa, trasformarono il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue: “Questo è il mio corpo, che è per voi... Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue” (1 Cor 11, 24-25). Che relazione ha tutto questo con la nostra vita? Non si tratta di una cosa accaduta troppo lontano da qui, troppo lontano dai nostri problemi?

2. Siamo all’inizio del Triduo Pasquale. Voi siete venuti a Roma per vivere, più intensamente, questi tre giorni che per un cristiano sono i più importanti dell’anno. La liberazione del popolo d’Israele, sotto la guida di Mosè, fu una immagine di ciò che poi significò la Passione, la Morte e la Risurrezione di Gesù per tutta l’umanità. Per questo, ha da vedere con ciascuno di noi. Nella schiavitù alla quale era sottoposto il popolo giudeo possiamo vedere una immagine della schiavitù alla quale sottopone il peccato. E nella liberazione di Israele si annunciava in qualche modo una libertà nuova e più alta: la libertà dei figli di Dio, che a ciascuno di noi ottiene la grazia di Cristo.

Però possiamo farci una domanda: Ho veramente bisogno di essere liberato? È che non faccio di solito quel che voglio? San Paolo, che da molto giovane cercò Dio per vie anche contrarie al cristianesimo, scrisse: “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7, 18-19). È l’esperienza della mancanza di forze per fare tutto il bene necessario. Chesterton, col suo caratteristico humour inglese, constatando questa debolezza dell’uomo, diceva che l’azione del peccato in noi è la parte della dottrina cristiana che si potrebbe dimostrare anche scientificamente. Abbiamo bisogno che Gesù Cristo guarisca definitivamente la nostra libertà personale; ed è la Croce su cui ci ha ottenuto la liberazione più profonda: la liberazione dal peccato, che ci purifica l’anima perché possiamo scoprire la nostra vera identità di figli di Dio.

4. L’Eucaristia “è il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli” (Es. ap. Ecclesia de Eucharistia, n. 11). In ogni Santa Messa, di cui oggi celebriamo l’istituzione, si fa presente in forma sacramentale questo sacrificio di salvezza. Perciò la libertà che ci ha guadagnato Cristo con la sua Passione, Morte e Risurrezione non è lontano né nel tempo, né geograficamente; nello stesso tempo, l’Eucaristia è già caparra di vita eterna. Come spiega san Josemaría: “unirci in comunione con il Corpo e il Sangue del Signore, viene ad essere per noi, in un certo senso, come scioglierci dai legami di terra e di tempo per trovarci di già con Dio nel Cielo” (Colloqui, n. 113).

5. La libertà guadagnataci da Cristo la possiamo sperimentare nella forza che ci viene comunicata specialmente attraverso i sacramenti. Come scrisse parecchi secoli fa un Padre della Chiesa, quando i primi cristiani si riunivano per celebrare l’Eucaristia, in mezzo a tante persecuzioni, lì era veramente presente il segno della libertà (Ireneo di Lione, Adversus Haereses, IV, 18, 2). Questa sera, nel visitare Gesù sacramentato nelle chiese di Roma, possiamo pensare: sta nell’Eucaristia la mia vera libertà.

Questa sera, nella quale ricordiamo anche l’istituzione del sacerdozio e la lavanda dei piedi degli apostoli, chiediamo a nostra Madre Santa Maria che ci aiuti a contemplare, ammirare, ringraziare e vivere con fede e amore il nostro incontro con Gesù nell’Eucaristia. Così sia.