Mons. Fernando Ocáriz: “Fondare l’ottimismo su frutti piccoli e concreti”

In occasione del novantesimo anniversario della fondazione dell’Opus Dei, mons. Fernando Ocáriz è stato ospite dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, per un incontro familiare sullo spirito e la vocazione delle persone che lì lavorano.

Il prelato dell’Opus Dei mons. Fernando Ocáriz ha risposto alle domande di diverse persone che lavorano all’interno dell’Università Campus Bio-Medico di Roma: medici, infermieri, personale amministrativo e docenti hanno potuto dialogare con mons. Ocáriz su diversi temi, dal senso del dolore al conflitto tra la vita professionale e quella familiare.

il dialogo con mons. Fernando Ocáriz è avvenuto nel contesto di “una famiglia che vuole capire il proprio futuro insieme al padre” (Raffaele Calabrò, rettore)

Lo scambio tra il prelato e le persone dell'università è stato preceduto dai saluti del presidente Felice Barela e del rettore Raffaele Calabrò. Il presidente dell’Università Campus Bio-Medico di Roma ha ricordato l’omelia del beato Álvaro durante la messa inaugurale del Campus Bio-medico, sottolineando il desiderio di ritornare alle “radici ideali” dell’iniziativa nata su impulso del primo successore di san Josemaría alla guida dell’Opus Dei. Il rettore ha invece introdotto le domande che sarebbero state rivolte al prelato nel contesto di “una famiglia che vuole capire il proprio futuro insieme al padre”, ricordando che l’obiettivo formativo principale del Campus Bio-Medico è quello di far crescere “esperti di umanità”, secondo una nota definizione di san Giovanni Paolo II.

Un'università d'ispirazione cristiana "deve essere innanzitutto una buona università" (mons. Fernando Ocáriz)

Partendo dal ricordo di mons. Javier Echevarría, che ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita terrena proprio nel policlinico universitario del Campus Bio-Medico, il prelato ha tracciato alcuni elementi sulla missione dell’università in generale: “un luogo dove la cultura divenga servizio all’uomo e non pretesto di autoaffermazione o esercizio di potere” e dove “progresso scientifico e progresso umano possano crescere entrambi senza perniciose dissociazioni”. Dopodiché ha evidenziato quali dovrebbero essere le caratteristiche di un’università d’ispirazione cristiana, che “deve essere, prima di tutto, una buona università, pena la perdita della sua credibilità”: l’assistenza spirituale e la disponibilità “ad offrire sintesi intellettuali mature fra fede e ragione”.

Parlando della quotidianità della vita lavorativa, il prelato ha invitato a coltivare l’ottimismo non come un sentimento astratto, ma fondandolo “sui frutti, piccoli e concreti, che riconoscete nel lavoro quotidiano: la soddisfazione che, come studenti, provate al termine di una lezione universitaria che vi apre nuovi orizzonti, o come docenti avvertite quando notate che le conoscenze trasmesse sono state ben comprese”. Mons. Ocáriz ha terminato il suo saluto augurandosi che nell’Università Campus Bio-Medico di Roma “scienza e servizio, competenza e generosità, fede e geometria, possano qui andare sempre bene insieme” e ricordando che, come diceva san Josemaría, “è l’amore che rende grandi le cose piccole”.

Dopo il discorso, mons. Fernando Ocáriz ha risposto a diverse domande. Alcune erano pensate per la specificità della vita in ospedale: come trasmettere notizie infauste ai familiari dei pazienti? Il prelato ha risposto sottolineando che un modo per farlo è “amare le persone” alle quali bisogna portare queste notizie, cercando di “attualizzare l’amore e l’affetto per le persone”, affidandosi al Signore. Tutto questo sapendo che si può correre il rischio di “ferire con le proprie parole”, anche quando si desidera il vero bene dell’altro.

Altre domande riguardavano la difficoltà di una vita divisa tra lavoro e famiglia, spesso con ritmi complicati. Il consiglio di mons. Ocáriz è stato duplice: da una parte bisogna coltivare un “ordine non soltanto materiale ma di gerarchizzazione”, nel quale “la famiglia viene prima del lavoro”; dall’altra cercare di “non innervosirsi se si arriva alla fine della giornata senza aver finito le cose” che ci si era prefissati di concludere.