Se si dovesse tratteggiare una caratteristica identificativa di don Álvaro potremmo dire che questa era la pace che sapeva diffondere intorno a sé, una pace che allo stesso tempo trasmetteva forza e sicurezza. Una sicurezza tranquilla, paterna, ma anche robusta e inflessibile. Pochi mesi prima della beatificazione di san Josemaría, secondo un copione già visto altre volte, si scatenò una fastidiosa campagna di calunnie, che pretendeva di avere come scopo quello di infangare la memoria del Fondatore dell’Opus Dei. Ebbene, don Àlvaro reagì con fortezza, ma allo stesso tempo con serenità. È di quel periodo una registrazione video di un’intervista nella quale il giornalista gli pose una domanda proprio su questo punto. E don Álvaro rispose con una pace e una serenità invidiabili, pur riaffermando senza mezzi termini la verità. “Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore”. Don Álvaro non trovava questa forza nel suo carattere stabile (che pure era proverbiale). La sua fortezza era il rovescio della medaglia della sua umiltà. Si considerava poca cosa davanti a Dio e in questo modo, si riempiva di forza e di sicurezza, che poi sapeva trasmettere intorno a sé.
Ci viene bene in questo Anno Santo della Misericordia, ricordare questo tratto della sua spiritualità, che si traduceva in costante insegnamento a noi, suoi figli spirituali. Io stesso ricordo il suo profondo senso di contrizione: a Urio nel 1988, in un incontro familiare, a noi giovani seduti per terra, si rivolgeva esortandoci a rispondere con generosità alle richieste di Nostro Signore: “noi nella nostra orazione facciamo propositi… e poi non li compiamo…che vergogna!”. Non dimenticherò mai il tono con il quale pronunciò le ultime parole: “Che vergogna!”; credo di aver cominciato a comprendere che cosa significa dolore per i propri peccati, a partire da quel momento.
Ma questa considerazione delle proprie miserie personali non si riempiva mai di amarezza; insieme alla considerazione della debolezza personale era sempre presente il riferimento alla grazia e alla misericordia di Dio. Meglio ancora: la contrizione era letteralmente preceduta dal dono di Dio. Per esempio in una lettera, che per me è costante punto di riferimento, che scrisse a noi suoi figli spirituali italiani nel 1986 scriveva: “Vi chiedo, figlie e figli miei, che facciate esame e, considerando le vostre miserie personali, consideriate che la misericordia di Dio è più potente.” E subito aggiungeva: “Così (lo sottolineo: così, e non in altro modo!) vi riempirete di grandi desideri e di più solida umiltà: e Dio potrà fare la sua Opera con noi, suoi poveri strumenti. Seminerete pace, restituirete luce a molti ciechi e farete camminare, con ritmo nuovo gli storpi che si sono lasciati andare all’egoismo di una vita assorta soltanto in interessi materiali” (Lettera 7-X-1986).
“Considerate che la misericordia di Dio è più potente!”. Sembra di risentire le parole del Romano Pontefice nella Bolla d’indizione del Giubileo della Misericordia: “Abbiamo bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro (…). Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato” (Misericordiae Vultus, n. 2).
Chiediamo al nostro Beato, che per molti di noi è ricordato come Padre, di darci questa sicurezza. Non la falsa sicurezza in noi stessi, o nelle nostre forze, e neppure, in ultima analisi, nel compimento delle stesse nostre pratiche di pietà. La sicurezza vera, quella che si appoggia sulla forza di Dio. “La cosa più importante da scorgere nella Chiesa non è il modo con cui rispondono gli uomini, ma l'azione di Dio.” (È Gesù che passa, n. 131), scrive san Josemaría in una delle sue omelie.
Per questo don Álvaro faceva ricorso con vera devozione alla confessione sacramentale: era un vero e proprio punto di riferimento nella propria vita spirituale. E ne parlava a tutti, esortandoci anche ad un incisivo apostolato della confessione, con la convinzione di chi parla di qualcosa che viveva in prima persona. Ancora una volta risuonano le parole di Papa Francesco: “Il Signore non si stanca di perdonarci; siamo noi a stancarci di chiedere perdono” (Francesco, Angelus 17-III-2013). Noi stessi, imparando dal nostro Beato, desideriamo vivere con vera contrizione questa scuola dell’amore misericordioso che è il sacramento della Penitenza, e darne con semplicità, testimonianza a tante anime, mostrando innanzi tutto con la nostra vita e con il nostro esempio, che la Chiesa è una Madre che ci attende sempre con le braccia aperte, spalancate; che Dio è un Padre buono che non vede l’ora di perdonare i suoi figli, di accoglierli nell’abbraccio della sua misericordia. La luce di Dio è luce che chiarisce la coscienza, fa emergere il peccato e insieme il dolore e il dispiacere per esso, ed è luce gentile, luce che scalda il cuore, luce che purifica e guarisce. Non è luce fredda e distante: luce che invoglia a tornare e ritornare sulla retta via tutte le volte che è necessario.
E se il cammino a noi, poveri viandanti, appare ancora lungo e accidentato, chiediamo con don Álvaro: “Madre nostra, preoccupati di dirigere sempre i nostri passi. Se in qualche momento ci dimentichiamo di te, accorri prontamente al nostro fianco, tiraci fuori dalle nostre difficoltà e portaci di nuovo in braccio a te. Fa’ che ti amiamo ogni giorno di più e che, amandoti, stiamo sempre di fianco a te, di fianco al tuo sposo San Giuseppe, vicino a Gesù, vicino al Dio Uno e Trino”.