Meditazioni: Mercoledì dell’8ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel mercoledì dell’ottava settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: il significato del dolore; bere il calice del Signore; l'orgoglio di servire.


Forse uno degli episodi più sconcertanti per gli Apostoli è stato quello dell’annuncio di Gesù della sua Passione. Non riuscivano a capire per quale motivo il Maestro che operava grandi miracoli e muoveva le genti, diceva che sarebbe stato consegnato ai capi dei sacerdoti, flagellato e condannato a morte (cfr. Mc 10, 32-45). Magari alcuni l’avranno ritenuta un’assurdità: «perchè Gesù sta anticipando queste cose terribili? Se sa che deve accadere questo, perchè non trova il modo di sfuggire a questa tragica conclusione?». Questi stessi interrogativi ce li poniamo noi quando sperimentiamo lo strappo del dolore, fisico o spirituale o tutti e due. In effetti, molte volte non comprendiamo perchè Dio permette che succedano disgrazie nel mondo e nella nostra stessa vita. E possiamo considerare, come hanno fatto gli apostoli, che la cosa più logica sarebbe che il Signore facesse in modo di non farle accadere.

Non esiste risposta che possa pienamente rispondere a questa domanda: il significato del dolore resterà sempre, in larga misura, un mistero. Tuttavia, possiamo dirigere il nostro sguardo alla Passione, come abbiamo imparato dai santi. Magari sarebbe stato più logico che Dio, per redimerci dal peccato, avesse dato una dimostrazione di forza per farla finita con le ingiustizie e il male. Ma lo ha fatto, invece, con il fallimento della croce. «Permette che il male si accanisca su di Lui e lo prende su di sé per vincerlo»[1]. E proprio quando tutto sembra perduto, quando già erano passati tre giorni dalla sua morte, Dio interviene e risuscita suo Figlio. Il seme della salvezza attecchisce secondo i tempi e i modi della provvidenza. «Gesù, che ha scelto di passare per questa via, ci chiama a seguirlo nel suo stesso cammino di umiliazione. Quando in certi momenti della vita non troviamo alcuna via di uscita alle nostre difficoltà, quando sprofondiamo nel buio più fitto, è il momento della nostra umiliazione e spogliazione totale, l’ora in cui sperimentiamo che siamo fragili e peccatori. È proprio allora, in quel momento, che non dobbiamo mascherare il nostro fallimento, ma aprirci fiduciosi alla speranza in Dio, come ha fatto Gesù»[2].

L’annucio della Passione contrasta con il desiderio degli apostoli. Gesù parla di dolore e di fallimento. Di contro, Giacomo e Giovanni gli si avvicinano per chiedergli: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10, 35). E, il Signore non li rimprovera per la loro ambizione. Di più, si può anche immaginare che provò una certa soddisfazione, perchè in qualche modo i due fratelli avevano capito che non c’è ambizione più grande di quella di passare tutta la vita con lui. Ma, in ogni caso, risponde: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?»(Mc 10, 38). Gesù, pazientemente parla con gli apostoli in modo che capiscano sempre meglio che li attende un cammino sicuro. Non tutto sarà così semplice come in quei momenti. Davanti al ripetersi dei miracoli e all’entusiasmo della gente, magari potevano pensare che non gli poteva accadere nulla di male. Per questo il Signore corregge la posizione dei discepoli: in un mondo segnato dal peccato e dall’azione del diavolo, non c’è gloria senza croce. Giacomo e Giovanni non hanno alcun dubbio nel rispondere a Gesù: «Lo possiamo» (Mc 10, 39). Probabilmente non saranno stati del tutto consapevoli di quello che avevano appena detto. Come l’innamorato, si sentivano capaci di fare ogni possibile pazzia necessaria per raggiungere l’amore che poteva dare senso alla loro vita.

E Gesù, in effetti, conferma che sarà proprio così: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati» (Mc 10, 39). Anche se qualche volta gli apostoli non saranno fedeli, o magari cadranno nelle insidie del maligno, alla fine berranno questo calice e daranno la loro vita per il Vangelo. «Non è presunzione affermare: possumus!, diceva san Josemaría, Gesù stesso ci insegna questo cammino divino e ci chiede di intraprenderlo, dal momento che Egli lo ha reso umano e accessibile alla nostra debolezza. Ecco perché si è abbassato tanto»[3]. Gesù, non soltanto ci dà l’esempio, ma ci accompagna in ogni momento e ci dà la grazia in modo che, come gli apostoli, possiamo bere il calice che ci fa attingere alla fonte della gloria.

La richiesta di Giacomo e Paolo fa indignare gli altri apostoli. Magari qualcuno li rimprovera per il fatto che si preoccupano di pensare alla gloria proprio mentre Gesù ha appena annunciato la sua condanna a morte. Ma è pure possibile che gli altri fossero indignati pensando che per un altro possa andare meglio che a loro, perchè magari anche loro coltivavano l’ambizione di un posto più vicino al Maestro nella sua gloria, e quei due li stavano precedendo. Gesù, conoscendo i loro pensieri, li riunisce e dice loro: «Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10, 44). Così, il Signore rompe gli schemi degli apostoli. La grandezza non è data dal potere né dai riconoscimenti, ma dal desiderio di servire e dalla sua effettiva realizzazione. Il criterio per il quale qualcuno è grande agli occhi di Dio non è la sua capacità di influire o di dominare, ma l’amore con il quale tratta gli altri e che è concretizzato nel servizio. È questa la logica che fa della nostra esistenza un segno della bellezza e della gioia del vivere accanto a Gesù: impegnare i talenti che ci ha dato per fare felici quelli che ci sono vicini. E quindi, possiamo pensare: in quale misura ciò che faccio è espressione, nelle motivazioni e nel modo di realizzarlo, di un gesto di carità, di servizio?

    Don Álvaro del Portillo, in una occasione, ricordava un tratto della vita di san Josemaría: «Quante volte ho udito il Padre dire: Il mio orgoglio è servire! Questo orgoglio di servire gli altri, anima sacerdotale, ce lo ha inculcato il Padre in mille differenti modi: con una costante predicazione, e con innumerevoli gesti concreti, grandi e piccoli.; ministrare (non sono venuto per essere servito, ma per servire); o quando faceva incidere o scrivere, sul marmo o nei cornicioni: Per servire»[4]. Anche la Vergine Maria ha avuto l’orgoglio di servire, Ecco la serva del Signore, che la rese felice e le fece conquistare Dio stesso: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1, 47-48).

    [1] Francesco, Udienza, 16 aprile 2014.

    [2] Ibidem.

    [3] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 15.

    [4]Beato Álvaro del Portillo, Instruzione maggio 1935/14 settembre 1950, nota 14.