Meditazioni: 17 dicembre

Riflessioni per meditare il 17 dicembre. I temi proposti sono: il Signore è più vicino; Gesù diventa parte della famiglia umana; Cristo ci arricchisce.

Il signore è più vicino

Gesù diventa parte della famiglia umana

Cristo ci arricchisce


«IL SIGNORE è vicino»[1]. L'intensità dell'attesa aumenta di giorno in giorno, di ora in ora. I nostri cuori sono attenti alla venuta dell'Emmanuele. Il Vangelo di oggi ci mostra la lunga catena di generazioni che hanno atteso il Messia: da Abramo a Davide fino a san Giuseppe. Siamo nati molto più tardi, ma siamo eredi della stessa promessa. Non è facile immaginare i sentimenti di tante generazioni del popolo ebraico che aspettavano il Messia promesso. La liturgia ci offre un indizio, guardando all'ampiezza dell'esplosione di gioia per l'imminente venuta di Gesù: «Giubilate, o cieli, rallégrati, o terra» (Is 49, 13).

Abramo è l'inizio di questa lunga catena, il primo di una famiglia che durerà per sempre. Ha confidato nel Signore e la sua promessa si è realizzata: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» (Gn 15, 5). Dio si è servito della sua fedeltà e di quella di tanti altri per inviarci suo Figlio e per rendere di nuovo possibile l'intimità di Dio con gli uomini. La nostra dignità è stata ripristinata ed elevata a un livello impensabile: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (1Cor 2, 9). Le nostre anime sono piene della gioia profonda di sapere che siamo salvati, riscattati e guariti: «Per questo dono della tua benevolenza, uniti agli angeli e ai santi, con voce unanime cantiamo l’inno della tua gloria»[2].

Il nostro canto può non essere sempre intonato, ma lo Spirito Santo ci avvolge con i suoi «gemiti inesprimibili» (cfr. Rm 8, 26). Giorno dopo giorno vediamo quanto vorremmo essere in grado di rispondere con la stessa misura di Dio. Il desiderio divino di incontrarci e la sua insistenza non possono essere espressi a parole: quattordici generazioni da Abramo a Davide, quattordici fino alla deportazione in Babilonia e altre quattordici fino a Cristo (cfr. Mt 1, 17). Poi arriva il grido divino in nostro aiuto: «Non temere». È Dio stesso che si rallegrerà e renderà grazie in noi.


TUTTI abbiamo il nostro albero genealogico. Gesù Cristo voleva avere il suo. E in Maria, sua madre, Dio stesso attraversa il cammino dell'umanità, unendosi a noi per sempre. Si fa carico del bisogno di speranza di tutta l'umanità, di tutti i tempi. Con l'incarnazione, Dio non rifiuta nulla di umano; assume la storia di ogni persona per offrire a tutti un posto nella vita eterna. Il Creatore del cielo e della terra ha voluto appartenere alla famiglia umana.

«Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra»[3]. Quante volte ci sembra che Dio non possa essere dove c'è debolezza, fragilità o mediocrità. Se non ci accontentiamo del peccato, ma siamo desiderosi di abbracciare i veri beni della vita, allora l'umiltà di Dio non rifiuta la stalla del nostro cuore; porta il cielo nella nostra vita ordinaria, nella nostra casa, in ogni momento.

Quella lunga lista di nomi ha vissuto, per molte generazioni, un desiderio che solo il neonato di Betlemme avrebbe colmato. Alcuni, probabilmente, non capivano bene cosa stessero aspettando. Altri, nella loro confusione, cercavano idoli apparentemente più vicini e accessibili. Lo stesso desiderio di salvezza continua a essere sentito da tutti gli uomini di oggi, spesso senza che i protagonisti riescano a esprimerlo a parole o a comprenderlo chiaramente. Abbiamo la fortuna di conoscere la buona notizia del Natale, aspettiamo Gesù e vorremmo che raggiungesse il cuore più bisognoso nell'ultimo angolo della terra.


«TI BENEDICIAMO, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l’onnipotente, e ti sei fatto debole»[4]. A volte capita che facciamo proprio il contrario di questo movimento divino: ci consideriamo grandi e potenti. Sant'Agostino lo sapeva bene: «Tu, uomo, volevi essere Dio e peristi; Lui, Dio, voleva essere uomo e ti ha salvato. La superbia umana era così forte che aveva bisogno dell'umiltà divina per essere curata!»[5].

È Cristo che ci solleva al cielo sulle sue spalle. L'orgoglio è una gloria molto effimera, che dura solo pochi minuti e poi si esaurisce. Si scatena rapidamente e si scatena. Ha sempre bisogno di nuovi motivi per distinguersi dagli altri. Non dà mai pace e non soddisfa mai. San Josemaría era consapevole di questa nostra debolezza: «Conosco un asino di condizioni così cattive che, se fosse stato a Betlemme accanto al bue, invece di adorare il Creatore, sottomesso, avrebbe mangiato la paglia della mangiatoia…»[6].

L'amore di Dio, invece, è capace di riempire i nostri cuori come nessun altro ha mai fatto. Quando parliamo del suo amore, saremo sempre carenti. È molto di più quello che non sappiamo del suo immenso amore di quello che arriviamo a comprendere su di lui. Santa Maria che, come dice il prefazio della Messa di oggi, «la Vergine Madre l’attese con ineffabile amore», ci racconterà nell'intimità della preghiera i segreti che conosce in prima persona. Una madre sa sempre, con un gesto, con una carezza, come spiegare ciò che non si può spiegare a parole.


[1] Liturgia delle ore, antifona, 17 dicembre.

[2] Prefazio II di Avvento

[3] Benedetto XVI, Omelia, 24-XII-2007.

[4] Francesco, Omelia, 24-XII-2013.

[5] Sant’Agostino, Sermone 183.

[6] San Josemaría, Appunti intimi, n. 181 (25-III-1931).