Le feste del Signore durante il Tempo Ordinario (I)

In questo primo articolo, dedicato alle feste del Signore che la Chiesa ci propone durante il Tempo ordinario, vogliamo riflettere su alcune di esse: la Presentazione del Signore al Tempio, l’Annunciazione del Signore, la Santissima Trinità e il Corpus Domini.

- La presentazione del Signore al tempio
- L'Annunciazione
- La Santissima Trinità
- Il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo


«Come ora io, che sono venuto a voi nel nome del Signore, vi ho trovato a vegliare nel suo nome, così lo stesso Signore, in onore del quale celebriamo la solennità di oggi, troverà la sua Chiesa a vegliare alla luce dell’anima, quando verrà a svegliarla»[1]. Vegliare alla luce dell’anima: questa frase di sant’Agostino, pronunciata durante una veglia pasquale, sintetizza bene il significato delle grandi solennità e delle grandi feste del Signore che scandiscono le settimane del Tempo ordinario, che espongono durante l’intero anno il mistero di salvezza che scaturisce dalla Croce e che, dal sepolcro vuoto, rinnova la faccia della terra.

«L’unico e medesimo centro della liturgia e della vita cristiana – il mistero pasquale – assume poi, nelle diverse solennità e feste, “forme” specifiche, con ulteriori significati e con particolari doni di grazia»[2]. Sono comuni a tutte le tradizioni liturgiche le feste della Trasfigurazione e della Esaltazione della Croce, mentre sono proprie della Chiesa romana le solennità della Santissima Trinità, del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, del Sacro Cuore di Gesù e di Cristo, Re dell’universo.

Infine, nel corso del Tempo ordinario o della Quaresima, vengono celebrate anche due feste del Signore profondamente legate alla vita di Maria: la Presentazione del Signore al Tempio e la solennità dell’Annunciazione del Signore. Dato il loro contenuto teologico, entrambe appartengono in realtà al ciclo della Manifestazione o tempo di Natale, però il posto che occupano nel calendario è dovuto al modo nel quale, per vie complesse, ne è stata fissata la data.

In questo primo articolo dedicato alle feste del Signore che la Chiesa ci propone durante il Tempo ordinario, riflettiamo su quattro di esse: la Presentazione e l’Annunciazione del Signore, la Santissima Trinità e il Corpus Domini.


La Presentazione del Signore al Tempio

La legge mosaica prescriveva che ogni primogenito di Israele dovesse essere consacrato a Dio quaranta giorni dopo essere nato e dovesse essere riscattato con una somma depositata nel tesoro del Tempio, a ricordo della sua salvaguardia la notte della prima Pasqua, durante la partenza dall’Egitto. Il Vangelo secondo Luca descrive così la presentazione di Gesù al Tempio: «Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”»[3]. San Giuseppe e la Madonna entrano nel tempio, confondendosi fra molte altre persone: l’Atteso da tutti gli uomini, entra inerme, in braccio alla Madre, nella casa di suo Padre. La liturgia di questa giornata ci sveglia, con il salmo responsoriale, affinché adoriamo, in seno alla sua famiglia silenziosa, il Re della Gloria. «Attollite, portae, capita vestra, et elevamini, portae aeternales, et introibit rex gloriae! – Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il Re della gloria»[4].

La chiesa di Gerusalemme cominciò a commemorare ogni anno questo mistero nel IV secolo. La festa si celebrava il 14 febbraio, quaranta giorni dopo l’Epifania, perché la liturgia di Gerusalemme non aveva ancora adottato la consuetudine romana di celebrare il Natale il 25 dicembre. Perciò, quando quest’uso divenne comune in tutto il mondo cristiano, la festa della presentazione fu trasferita al 2 febbraio e così si estese assai presto in tutto l’Oriente. A Bisanzio fu introdotta nel VI secolo dall’imperatore Giustiniano I, sotto l’invocazione di Hypapante o dell’incontro di Gesù con il vecchio Simeone, figura dei giusti di Israele che avevano aspettato pazientemente e per lungo tempo che si compissero le promesse messianiche.

Durante il VII secolo la celebrazione mise radici anche in Occidente. Il nome popolare di candelora o festa della luce proviene dalla tradizione, instituita da papa Sergio I, di fare una processione con le candele. Come proclama il vecchio Simeone, Gesù è il Salvatore, presentato «a tutti i popoli, luce per illuminare le genti»[5]. Nel commemorare la venuta e la manifestazione della luce divina nel mondo, la Chiesa benedice tutti gli anni le candele, simbolo della perenne presenza di Gesù e della luce della fede che i fedeli ricevono mediante il sacramento del Battesimo. La processione con le candele accese diventa così espressione di vita cristiana: un cammino illuminato dalla luce di Cristo.

La commemorazione annuale della Presentazione del Signore al Tempio è anche una celebrazione mariana e per questo, in determinate epoche, è stata conosciuta come festa della “Purificazione di Maria”. Benché da Dio preservata dal peccato originale, Maria, come ogni madre ebrea, vuole sottostare alla «Legge del Signore» e per questo offre «una coppia di tortore o di giovani colombi»[6]. L’offerta di Maria si trasforma così in un segno della sua pronta obbedienza ai comandi di Dio. «Bambino mio, imparerai anche tu da questo esempio a non essere sciocco e a compiere la Santa Legge di Dio nonostante tutti i sacrifici che richiede?»[7].


L’Annunciazione del Signore

Il 25 marzo la Chiesa celebra l’annuncio del compimento delle promesse di salvezza. Dalle labbra dell’angelo Maria apprende di aver trovato grazia davanti a Dio. Per opera dello Spirito Santo concepirà un figlio che sarà chiamato Figlio di Dio. Salverà il suo popolo, siederà sul trono di Davide e il suo regno non avrà fine[8]. È la festa dell’Incarnazione: il Figlio eterno del Padre entra nella storia, si fa uomo nella carne di Maria, un’umile ragazza del popolo d’Israele. Da allora «la storia non è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una presenza che le dona pieno significato e la apre a una solida speranza»[9].

È probabile che già nel IV secolo in Palestina si celebrasse questa festa, perché in quel periodo a Nazaret s’innalzò una basilica nel luogo dove la tradizione collocava la casa di Maria. Questa impronta mariana si nota anche nel nome che la commemorazione ha ricevuto: “Annunciazione della Vergine Maria”. Ben presto, durante il V secolo, la festa si diffonderà nell’Oriente cristiano, per essere trasmessa poi in Occidente. Nella seconda metà del VII secolo vi sono già testimonianze della sua celebrazione il 25 marzo nella Chiesa romana sotto il titolo di Annuntiatio Domini.

La datazione della festa parte da un’antica tradizione che collocava la creazione del mondo nel giorno esatto dell’equinozio di primavera (che all’inizio dell’era cristiana corrispondeva al 25 marzo del calendario giuliano). In accordo con l’idea secondo cui la perfezione richiede il compimento di cicli completi, i primi cristiani erano persuasi che l’incarnazione di Cristo (inizio della nuova creazione), la sua morte sulla croce e la sua venuta definitiva alla fine dei tempi, si dovevano situare in questa stessa data, che in tal modo appare carica di significato. Inoltre, il posto esatto del Natale nel calendario – nove mesi dopo l’Annunciazione - sembra avere origine da questa primitiva datazione.

I testi della Messa e della Liturgia delle Ore di questa solennità si concentrano nella contemplazione del Verbo fatto carne. Il salmo 39[40], evocato nell’antifona d’ingresso, nel salmo responsoriale e nella seconda lettura, è il filo conduttore di tutta la celebrazione: «Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà»[10]. Gesù s’incarna per obbedire alla volontà del Padre; e anche sua Madre si comporta come Gesù: Maria si turba, ma non fa obiezioni: non dubita della parola dell’angelo. Mossa dalla fede, dice “sì” alla volontà di Dio. «Maria si mostra santamente trasformata, nel suo cuore purissimo, di fronte all’umiltà di Dio [...]. L’umiltà della Vergine è conseguenza dell’insondabile abisso di grazia che si opera con l’Incarnazione della Seconda Persona della Trinità Beatissima nel seno di sua Madre sempre Immacolata»[11].


La Santissima Trinità

La prima domenica dopo Pentecoste la Chiesa celebra la solennità della Santissima Trinità. In quel giorno glorifichiamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, Dio uno, trino in persone: «nel proclamare te Dio vero ed eterno, noi adoriamo la Trinità delle Persone, l’unità della natura, l’uguaglianza della maestà divina»[12]. «Mi avete sentito dire molte volte che Dio è al centro della nostra anima in grazia; e che, pertanto, noi tutti abbiamo un filo diretto con Dio Nostro Signore. Che valore hanno tutti i paragoni umani, riguardo a questa realtà divina, meravigliosa? Dall’altra parte del filo c’è, e ci aspetta, non solo il Grande Sconosciuto, ma l’intera Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo [...]. Purtroppo noi cristiani dimentichiamo di essere trono della Santissima Trinità. Vi consiglio di migliorare la consuetudine di cercare Dio nelle profondità del vostro cuore. Questo è la vita interiore»[13].

Benché questa festa sia stata introdotta nel Calendario romano a metà del XIV secolo, le sue origini rimontano al periodo patristico. Già san Leone Magno sollecitava di approfondire la dottrina sul mistero trinitario durante il periodo di Pentecoste. Alcune sue espressioni più tardi saranno inserite nel prefazio della Messa della domenica dell’ottava di Pentecoste. Successivamente nel regno franco verrà composta una Messa della Santissima Trinità che avrà immediata diffusione in tutto l’Occidente, forse come mezzo per insegnare sistematicamente al popolo cristiano la vera fede in Dio.

Comunque, la Chiesa romana non stabilì nel calendario una festa particolare per la Santissima Trinità, perché le invocazioni a Dio uno e Trino e le dossologie le danno già un posto centrale nella liturgia. Questa situazione non impedì che alcune diocesi o alcune comunità monastiche celebrassero ogni anno una festa liturgica trinitaria, anche se la data non era uguale dappertutto. Sarà finalmente il Papa Giovanni XXII, nel 1334, a introdurre nel Calendario romano la festa della Santissima Trinità nella domenica successiva a quella di Pentecoste. D’altra parte, benché le Chiese orientali cristiane non abbiano stabilito una festa specifica, dedicano la maggior parte dei canti della domenica di Pentecoste alla contemplazione del mistero trinitario.


Il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

La solennità del Corpo e Sangue di Cristo (il “Corpus Domini”) nasce nel Medioevo, frutto

della pietà eucaristica e della conferma del dogma dopo varie dispute di natura teologica. La festa fu celebrata per la prima volta nel 1247 a Liegi, su richiesta di santa Giuliana di Mont-Cornillon, una religiosa che ha dedicato gran parte della sua vita a promuovere la devozione al santo Sacramento dell’altare. Nel 1264 Papa Urbano IV, impressionato dal miracolo eucaristico di Bolsena – testimoniato in pietra dal monumentale duomo di Orvieto, che è una sorta di grande reliquario – istituì, con carattere universale, la solennità in onore del Santissimo Sacramento da celebrarsi nel giovedì successivo all’ottava di Pentecoste. La bolla di istituzione della festa conteneva in appendice i testi della Messa e dell’Ufficio del giorno, redatti, in base alla tradizione, da san Tommaso d’Aquino. L’antifona O sacrum convivium dei secondi vespri della festa sintetizza mirabilmente la fede della Chiesa, il mysterium fidei: «O sacro banchetto nel quale si riceve Cristo! Si rinnova la memoria della sua Passione, l’anima è ricolma di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura»[14]. «Ognuno di noi – diceva il Papa in questa solennità –, oggi, può domandarsi: e io? Dove voglio mangiare? A quale tavola voglio nutrirmi? Alla tavola del Signore? O sogno di mangiare cibi gustosi, ma nella schiavitù? Inoltre, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia memoria? Quella del Signore che mi salva, o quella dell’aglio e delle cipolle della schiavitù? Con quale memoria io sazio la mia anima?»[15].

Siccome questa festa ruota intorno all’adorazione del Santissimo Sacramento e alla fede nella presenza reale di Cristo sotto le specie eucaristiche, appare logico che già nel XIV secolo sorgesse la consuetudine di accompagnare il Signore sacramentato per le vie delle città. In precedenza il Santissimo aveva presieduto la processione della domenica delle palme oppure la mattina di Pasqua veniva trasferito solennemente dal “sepolcro” al tabernacolo principale della chiesa. La processione del Corpus Domini come tale sarà definitivamente accettata a Roma nel XV secolo. Grazie a Dio, negli ultimi anni stiamo assistendo al rifiorire di questa devozione, anche in luoghi nei quali era scomparsa da secoli. Facciamo nostri i sentimenti espressi da san Josemaría nella festa del Corpus Domini del 1971: «Questa mattina, mentre celebravo la Messa, ho detto a Nostro Signore con il pensiero: io ti faccio compagnia in tutte le processioni del mondo, in tutti i Tabernacoli dove ti onorano, e in tutti i luoghi dove ti trovi e non ti onorano»[16].

José Luis Gutiérrez


[1] Sant’Agostino, Sermo 223 D (PL Supplementum 2, 717-718).

[2] Benedetto XVI, Omelia, 31-V-2009.

[3] Lc 2, 22.

[4]Sal 23[24], 7.

[5] Lc 2, 32.

[6] Lc 2, 24.

[7] San Josemaría, Santo Rosario, quarto mistero gaudioso.

[8] Cfr. Lc 1, 26-33.

[9] Benedetto XVI, Udienza generale, 12-XII-2012.

[10] Cfr. Sal 39[40], 8-9.

[11]San Josemaría, Amici di Dio, n. 96.

[12] Messale Romano, Prefazio della Messa della solennità della Santissima Trinità.

[13] San Josemaría, Appunti della predicazione, 8-XII-1972 (citato in E. Burkhart – J. López, Vida cotidiana y santidad en la enseñanza de San Josemaría. Estudio de teología espiritual, Rialp, Madrid 2010, vol. I, pp. 311-312).

[14] Antifona ad Magnificat, Secondi Vespri della Solennità del Corpo e Sangue del Signore.

[15] Papa Francesco, Omelia, 19-VI-2014 (cfr. Nm 11, 4-6).

[16] J. Echevarría, Memoria del Beato Josemaría Escrivá, Leonardo International, Milano 2001, p. 225.