Le beatitudini (II): arricchirsi con la povertà

Rivolto in modo particolare ai giovani, il secondo articolo sulle beatitudini esamina il consiglio del Signore: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».

Dall’alto di quel piccolo monte il panorama doveva essere stupendo. Centinaia di persone erano venute in Galilea perché volevano conoscere il nuovo profeta di cui tanto si parlava e che, a quanto si diceva, predicava meraviglie. Il Signore li vedeva avvicinarsi pian piano su per la collina; quando si fece silenzio, cominciò a parlare con voce potente: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» i.

I poveri? Tra quelli che lo ascoltavano, molti erano poveri sul serio; erano venuti fin lì perché erano poveri in canna e sapevano bene che non è cosa desiderabile. Dio vuole che abbiamo cibi buoni da mangiare, un posto degno dove vivere e qualche comodità indispensabile. Eppure il Signore ci fa scoprire un tipo di povertà che vale la pena cercare.

La “povertà di spirito” sembra essere una condizione necessaria perché le altre beatitudini possano divenire realtà. Perciò non è un caso che il Signore la proponga, all’inizio del suo discorso, prima di tutte le altre, perché serva da solida base sulla quale costruire una vita grande e bella. Ma che cosa significa esattamente essere poveri in spirito ?

Soltanto Dio sa dare

In un’altra circostanza Gesù attraversava una città e tutti volevano arrivare fino a Lui. Gli apostoli avevano un bel daffare per fargli strada e oltrepassare la folla che si accalcava per conoscere il famoso Rabbi. Stretta fra tanti entusiasti, una donna spendeva le sue poche forze per arrivare fino al Signore. La massa la sballottava da tutte le parti. Sappiamo che era debole e malata, perché da parecchi anni soffriva di una perdita di sangue e aveva speso fino all’ultimo centesimo per farsi curare da medici che non avevano saputo guarirla. Senza salute e senza denaro, Gesù rappresenta per lei l’ultima speranza.

Il povero di spirito è colui che confida completamente in Dio, perché capisce che soltanto Egli sa dare e che, se toglie qualcosa, è per fare più spazio ai suoi doni nella nostra vita.

Sicuramente, prima di vedere il Signore quella donna avrà accettato la sua malattia mettendosi nelle mani di Dio. Quasi come una risposta immediata del cielo, il Messia quel giorno attraversava la sua città. Per questo era convinta che in Lui avrebbe trovata la soluzione che tanto desiderava. In questo modo, senza tanti discorsi, ma semplicemente confidando in Dio, riesce a strappare al Maestro la forza che la guarisce dai suoi malanni.

Questa donna è un esempio di povertà in spirito, perché ha riposto tutta la propria fede nel Signore. Era povera e sapeva che non avrebbe avuto nulla da dare. Tutto ciò di cui aveva bisogno doveva accettarlo in dono. Come lei, il povero di spirito è colui che confida completamente in Dio, perché capisce che soltanto Egli sa dare e che, se toglie qualcosa, è per fare più spazio ai suoi doni nella nostra vita. Questa donna avrebbe lottato con tanta forza per arrivare a toccare Dio se non avesse perduto la fiducia in tutto il resto? Sicuramente, no. Pertanto, la povertà può arrivare o bisognerà cercarla: in ogni caso, è necessario essere disposti a perdere tutto per guadagnare ciò per cui veramente vale la pena, ovvero, arrivare a essere poveri affinché Dio ci faccia ricchi. Perciò, la seconda domanda è: di che cosa debbo fare a meno per essere povero?

Il meno è più

Si racconta che nel VII secolo l’imperatore Eraclio partì in guerra contro i persiani per ricuperare la croce del Signore che essi avevano rubato a Gerusalemme e custodivano in un palazzo nei pressi di Bagdad. Dopo quindici anni di battaglie, nel 630, l’esercito bizantino poté ricuperare il legno e l’imperatore, alla testa delle sue truppe, fece ritorno trionfante nella Città Santa. Eraclio volle portare personalmente la croce mentre entrava a Gerusalemme, però, quando prese la reliquia, questa diventò molto pesante. Con sorpresa dei suoi soldati, l’imperatore, che aveva combattuto mille battaglie, non riusciva a reggere un semplice legno sul suo cavallo. Con un po’ di vergogna, smontò da cavallo per portarlo a piedi, ma neanche così fu capace di fare un passo avanti. Un po’ per volta, per concentrare le sue forze nella croce, si liberò di altri pesi: la corona, il manto reale, la corazza, la spada e lo scudo... Alla fine, vestito soltanto della tunica, poté innalzare il legno. Fu allora – spogliato di tutte le sue ricchezze imperiali – che l’immagine dell’imperatore fece ricordare a tutti quel Cristo che sei secoli prima, caricato della croce, aveva percorso quelle stesse strade.

Quasi inavvertitamente ci siamo create molte necessità. Abbiamo bisogno di vedere la puntata della nostra serie preferita, abbiamo bisogno di ascoltare musica ogni volta che siamo soli, abbiamo bisogno di guardare WhatsApp...

Come accadde a Eraclio, anche a noi la povertà permetterà di rassomigliare a Gesù ed essere capaci di seguire i suoi passi. Viceversa, il denaro o altri beni possono trasformarsi in un grande ostacolo, perché tolgono spazio a Dio e riempiono l’anima di preoccupazioni. Non perché possedere beni sia una cosa cattiva, ma perché alla fine diamo loro troppa importanza e la nostra felicità ne dipenderà troppo.

Basta fare un esame per renderci conto che, quasi inavvertitamente, ci siamo create molte necessità. Abbiamo bisogno di vedere la puntata della nostra serie preferita, abbiamo bisogno di ascoltare musica ogni volta che siamo soli, abbiamo bisogno di abiti nuovi e di marca, abbiamo bisogno dell’ultimo modello di telefono, abbiamo bisogno di aprire il frigorifero continuamente, abbiamo bisogno di guardare WhatsApp... E se non riusciamo a soddisfare questi nostri desideri, soffriamo, perché abbiamo associato al loro possesso la nostra felicità.

Nello stesso modo, tutti abbiamo provato contentezza nell’esserci procurati cose nuove. Un nuovo videogioco, un nuovo disco o una nuova maglietta possono rallegrarci in una giornata storta. A volte sembra che il denaro bruci quando rimane in tasca! Spendere non è una brutta cosa, ma dobbiamo stare attenti che non diventi l’unico rimedio per sentirsi felici.

La nostra reazione dovrà essere ancora maggiore se abbiamo bisogno di aiuti artificiali (droghe leggere o alcolici) o di dare nuove emozioni alla nostra vita. Assumerli per divertimento o per pura curiosità denota una personalità debole, uno spirito che ha bisogno di arricchirsi con prodotti e che ha rinunciato a migliorare o a divertirsi sfruttando i talenti personali.

Alcune volte si rivelerà un buon esercizio fare a meno di qualche necessità apparentemente irrinunciabile per mettere alla prova il nostro distacco e così non dipendere eccessivamente da ciò che appare troppo importante nella nostra vita. Alcuni hanno l’abitudine di proporsi due o tre piccole mortificazioni ogni giorno per mantenere in forma – libera e agile – la volontà. Se facciamo il tentativo e non ci riusciamo, vorrà dire che abbiamo bisogno di ricuperare al più presto la nostra libertà. Si dimostrerà sempre utile il consiglio di san Josemaría: «Non lo dimenticare: possiede di più chi ha meno bisogni. Non crearti esigenze» ii.

«Vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e [...] poi vieni e seguimi» iii: è la condizione che mette il Signore al giovane ricco che aveva chiesto di seguirlo. Questo giovane era buono - «osservava i comandamenti», il che è già molto -, ma non era libero. Tutto ciò che possedeva era diventato una catena che lo teneva legato e che gli ha impedito di godere della grande opportunità che la vita gli aveva offerto. Non fu capace di vedere Gesù e capire la grandezza della proposta che gli faceva. Se i vangeli ci raccontano questo episodio è perché il Signore vuol fare la medesima offerta a noi... e noi corriamo il rischio di dare la stessa risposta.

Struzzi, ricci e maschere

Esiste un’altra povertà, forse ancora più importante: è la povertà interiore, l’umiltà di chi conosce bene se stesso a sa di valere ben poco se prescinde dal Signore. Invece, colui che è molto sicuro di sé e non accetta aiuti da nessuno, è simile ai numerosi scribi e farisei, personaggi che Gesù è stato costretto spesso ad affrontare. Essi avevano la risposta pronta per tutto, non gli hanno mai chiesto aiuto, non lo hanno mai interrogato su qualche questione con sincero interesse, né riconoscono di avere dubbi o qualche debolezza.

Soltanto Dio sa dare, dicevamo prima; però bisogna essere disposti a ricevere. Anche noi a volte possiamo ostinarci in una opinione, essere testardi, non darci per vinti o non riconoscere umilmente di avere sbagliato. Invece, sapendo che il Signore aiuta chi si lascia sorprendere, è cosa buona chiedere consiglio, imparare ad ascoltare, accettare con semplicità i suggerimenti di chi vuole aiutarci. «Lascia che sappiano come sei e ti disprezzino. Non ti dia pena essere niente, perché così è Gesù che dovrà darti tutto» iv, consigliava san Josemaría. Dio stesso ci aiuterà se ci avviciniamo ai sacramenti o alla lettura della Parola di Dio, anche quando pensiamo che non sia questo ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento della nostra vita.

Si dice che lo struzzo nasconda la testa quando vede il pericolo (anche quando non esiste). Qualcosa di simile può succedere anche a noi quando intuiamo che nella nostra vita qualcosa non funziona: per esempio, quando ci rendiamo conto che ci costa fare amici o siamo incapaci di controllare le nostre passioni o abbiamo una paura terribile di andare incontro a un fallimento, e che ridano di noi o di rimanere soli... La persona che non è povera di spirito preferisce non affrontare la verità. Cerca di nascondere il pericolo o di mascherarlo. Preferisce non vedere, oppure si chiude in se stessa – come i ricci – stando zitti o magari attaccando gli altri e criticandoli, in modo che non si noti la loro debolezza.

Chi non affronta i propri errori è costretto a costruirsi una maschera perché gli altri credano che sia una persona diversa, senza preoccupazioni, sempre felice, sicura di se stessa... A lungo termine, la sua vita si trasformerà in un teatrino, in una pantomima. Prima o poi si domanderà: chi sono io in realtà? In che cosa credo? I miei amici vogliono bene a me o al personaggio che credono che io sia? «Signore – chiedeva san Josemaría –, fa’ che io mi decida a strappare, con la penitenza, la triste maschera che mi sono forgiato con le mie miserie...» v.

Chi non è umile, ben presto avrà la prova che la sua vita è diventata un intricato labirinto. Allora il migliore, e spesso l’unico modo di fuggire dai labirinti è quello di volare: perciò, se ci eleviamo con le nostre preghiere verso la presenza di Dio, Egli ci aiuterà a essere sinceri e umili. Una persona povera di spirito non si considera umiliata quando riconosce le proprie debolezze e chiede aiuto nei sacramenti o a un direttore spirituale. Così vivremo a viso aperto, mostrando il nostro vero volto e la nostra vera anima, con gioia e ottimismo.

«Avendo il cuore spogliato e libero da tante cose mondane – ha detto il Papa –, questa persona è “attesa” nel Regno dei Cieli» vi. Povertà materiale e povertà interiore: soltanto così saremo pronti ad ascoltare attentamente il Signore – senza altre distrazioni e senza altre preoccupazioni – sul monte della Galilea, accanto agli Apostoli. Poveri di spirito, liberi dal consumismo e dalla superbia, saremo capaci di aprirci senza condizionamenti alla felicità che ci promettono le altre beatitudini.

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Domande per l’orazione personale

Posso evitare qualche spesa? Quanto mi durano i soldi che ho in tasca? Do qualche elemosina nella misura delle mie possibilità?

In che cosa cerco la sicurezza? Nelle cose materiali (abiti, apparecchi elettronici, progetti costosi)? Nell’immagine che gli altri hanno di me? Oppure nel rapporto con Dio e nell’amicizia autentica?

Faccio durare le cose che uso (abiti, telefono...) oppure sento il bisogno di cambiarle dopo poco tempo? Sento urgente bisogno delle cose che le mie amiche o i miei amici posseggono?

Mi sono proposto di fare ogni giorno due o tre piccole mortificazioni che mi aiutino a non crearmi necessità superflue? Per es., l’uso del telefonino, della televisione, dell’ascensore...?

Mi mostro così come sono? Mi infastidisco se mi fanno una critica ragionevole? Quando è stata l’ultima volta che ho chiesto perdono? Ho la buona abitudine di chiedere consiglio?

J. Narbona / J. Bordonaba

i Mt 5, 3.

ii San Josemaría, Cammino, n. 630.

iii Mt 19, 21.

iv San Josemaría, Cammino, n. 596.

v San Josemaría, Via Crucis, VI stazione.

vi  Papa Francesco, Omelia, 1-XI-2015.