Lavorare per amore

Perché lavoriamo? Soltanto per sopravvivere? Per vivere senza problemi? L’attività professionale ha un rapporto diretto con la felicità quando nasce e si ordina all’amore, come si afferma in questo articolo.

L’uomo non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore[1]. Leggendo queste frasi di san Josemaría, forse nelle nostre anime nascono alcune domande che danno origine a un dialogo sincero con Dio: perché lavoro? Che tipo di lavoro è il mio? Che cosa mi propongo o che cosa cerco con il mio lavoro professionale? È il caso di ricordare che il fine della nostra vita non è fare cose, ma amare Dio. La santità non consiste nel fare cose sempre più difficili, ma nel farle ogni giorno con più amore[2].

Molte persone lavorano, e molto, ma non santificano il proprio lavoro. Fanno cose, costruiscono oggetti, vanno in cerca di risultati per senso del dovere, per guadagnare denaro o per ambizione; qualche volta vincono e altre volte perdono; si rallegrano o si rattristano; provano interesse e passione per il proprio lavoro, oppure delusione e avversione; hanno soddisfazioni e insieme apprensioni, timori e preoccupazioni. Alcuni si fanno trasportare dalla voglia di fare, altri dalla pigrizia; alcuni si stancano, altri cercano di evitare a tutti i costi la stanchezza...

Tutto questo ha un punto in comune: fa parte di una stessa situazione, quella della natura umana ferita dalle conseguenze del peccato, con i suoi conflitti e i contrasti, un labirinto nel quale l’uomo che vive secondo la carne, per citare una frase di san Paolo – l’animalis homo -, si aggira, incerto se andare di qua o di là, e non riesce a trovare la strada e il significato della libertà.

Questa strada e questo significato si scoprono soltanto quando s’innalza lo sguardo e si contempla la vita e il lavoro su questa terra con la luce di Dio, che vede dall’alto. La gente – scrive san Josemaría in Camminoha una visione piatta, attaccata alla terra, a due dimensioni. Quando vivrai la vita soprannaturale otterrai da Dio la terza dimensione: l’altezza e, con essa, il rilievo, il peso e il volume[3].

IL LAVORO NASCE DALL’AMORE

Che cosa significa allora, per un cristiano, che il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore?[4]. Prima di tutto bisogna capire a che tipo di amore si riferisce san Josemaría. Esiste un amore chiamato di concupiscenza, quando si ama qualcosa per soddisfare il proprio piacere sensibile o il desiderio di piacere (concupiscentia). Non è questo l’amore dal quale nasce il lavoro di un figlio di Dio, anche se spesso lavora con soddisfazione e si appassiona alla propria attività professionale.

Un cristiano non deve lavorare soltanto o soprattutto quando ne ha voglia e le cose gli vanno bene. Il lavoro di un cristiano deve nascere da un altro amore, più elevato: l’amore di benevolenza, quando si mira direttamente al bene dell’altra persona (benevolentia), e non al proprio interesse. Se l’amore di benevolenza è reciproco, si chiama amore di amicizia[5], che sarà più grande se si è disposti non soltanto a dare qualcosa per il bene di un amico, ma a dare se stessi: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici[6].

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Noi cristiani possiamo amare Dio con un amore di amicizia soprannaturale, perché Egli ci ha fatto figli suoi e vuole che lo trattiamo con una confidenza filiale e che consideriamo gli altri suoi figli come nostri fratelli. A questo amore si riferisce il fondatore dell’Opus Dei quando scrive che il lavoro nasce dall’amore: è l’amore dei figli di Dio, l’amore soprannaturale verso Dio e per gli altri attraverso Dio: L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato[7].

Volere il bene di una persona non vuol dire compiacere sempre alla sua volontà. Può accadere che ciò che vuole non sia un bene, come accade assai spesso con le madri, che non danno ai figli tutto ciò che essi chiedono, se può danneggiarli. Invece, amare Dio è sempre volere la sua Volontà, perché la Volontà di Dio è il bene.

Per un cristiano, il lavoro nasce dall’amore di Dio, perché l’amore filiale ci spinge a voler compiere la sua Volontà, e la Volontà divina è che lavoriamo[8]. Diceva san Josemaría che per amore di Dio egli voleva lavorare come un asinello alla noria[9]. E Dio ha benedetto la sua generosità spargendo copiosamente la grazia, che ha dato innumerevoli frutti di santità in tutto il mondo.

Pertanto è bene che ci domandiamo spesso perché lavoriamo. Per amore di Dio o per amor proprio? Può sembrare che esistano altre possibilità; per esempio, che si possa lavorare per necessità. Ma questo vorrebbe dire che, nell’esaminarci, non andiamo in profondità, perché la necessità non è la risposta ultima.

Per necessità, per vivere, occorre anche alimentarsi; ma vogliamo vivere per la gloria di Dio, come esorta san Paolo[10], o per la propria gloria? Infatti anche per questo ci alimentiamo e lavoriamo. Questa è la domanda radicale, che arriva al nocciolo. Non ci sono altre alternative. Chi si esamina sinceramente, chiedendo luci a Dio, scopre con chiarezza dove ripone realmente il proprio cuore quando compie le attività professionali. E il Signore gli concederà anche la sua grazia perché si decida a purificarlo e a dare tutto il frutto d’amore che Egli si aspetta dai talenti che gli ha affidato.

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IL LAVORO MANIFESTA L’AMORE

Il lavoro di un cristiano manifesta l’amore, non soltanto perché l’amore di Dio induce a lavorare, come abbiamo visto, ma perché induce a lavorare bene, perché così vuole Dio. Il lavoro umano, infatti, è partecipazione alla sua opera creatrice[11], ed Egli, che ha creato tutto per Amore, ha voluto che le sue opere fossero perfette – Dei perfecta sunt opera[12] –, e che noi imitiamo il suo modo di operare.

Modello perfetto del lavoro umano è il lavoro di Cristo, del quale il Vangelo dice che ha fatto bene ogni cosa[13]. Queste parole di lode, che sgorgano spontaneamente nel contemplare i suoi miracoli, compiuti in virtù della sua divinità, si possono applicare anche – così fa san Josemaría – al lavoro nella bottega di Nazaret, compiuto in virtù della sua umanità. Era un lavoro compiuto per Amore del Padre e di noi. Un lavoro che manifestava questo Amore mediante la perfezione con cui era fatto. Non soltanto perfezione tecnica ma soprattutto perfezione umana: perfezione di tutte le virtù che l’amore riesce a mettere in esercizio dandogli un tono inconfondibile: il tono della felicità di un cuore pieno d’Amore che arde dal desiderio di dare la vita.

L’attività professionale di un cristiano, quando è ben fatta, manifesta l’amore di Dio. Ciò non significa che il risultato sia sempre ottimo, ma che si è tentato di svolgerla nel modo migliore possibile, utilizzando i mezzi disponibili nelle circostanze specifiche.

Tra il lavoro di una persona che lavora per amor proprio e quello della stessa persona, se comincia a lavorare per amore di Dio e per gli altri attraverso Dio, c’è la stessa differenza che tra il sacrificio di Caino e quello di Abele. Quest’ultimo lavorò per offrire il meglio a Dio e la sua offerta fu gradita dal Cielo. Il Signore si aspetta lo stesso da noi.

Per un cattolico, lavorare non è eseguire, è amare!: prodigarsi volentieri, e sempre, nel dovere e nel sacrificio[14]. Realizzate dunque il vostro lavoro sapendo che Dio lo contempla: laborem manuum mearum respexit Deus (Gn 31, 42). Pertanto la nostra dev’essere un’attività santa e degna di Lui: non solo rifinita in ogni dettaglio, ma portata avanti con rettitudine, con integrità morale, con nobiltà, con lealtà, con giustizia[15]. Allora il lavoro professionale non soltanto è retto e santo ma diventa preghiera[16].

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Quando si lavora per amore di Dio, l’attività professionale manifesta sempre questo amore. È molto probabile che un semplice sguardo a varie persone che stanno compiendo la stessa attività non sia sufficiente per cogliere il motivo per il quale la compiono. Ma se si potesse osservare nei dettagli e con maggiore attenzione l’insieme del comportamento nel lavoro – non soltanto gli aspetti tecnici, ma anche i rapporti con i colleghi, lo spirito di servizio, il modo di vivere la lealtà, la gioia e le altre virtù –, sarebbe difficile che passi inosservato, se effettivamente esiste in qualcuno di loro, il bonus odor Christi[17], il profumo dell’amore di Cristo che ne caratterizza il lavoro.

Alla fine dei tempi – insegna Gesù – due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata[18]. Facevano lo stesso lavoro, ma non nello stesso modo: uno era gradito a Dio e l’altro no.

Può accadere che l’ambiente materialista ci faccia dimenticare che siamo destinati alla vita eterna e ci faccia pensare unicamente ai beni materiali. San Josemaría afferma: Lavorate alla presenza di Dio, senza aspirare alla gloria umana. Alcuni considerano il lavoro un mezzo per conquistare onori, o per acquistare potere o ricchezza tali da soddisfare la loro ambizione personale, o per sentire l’orgoglio della propria capacità di lavorare[19].

In un simile clima, si noterà se uno lavora per amore di Dio? Come potrà passare inosservata la giustizia modellata dalla carità, e non semplicemente la giustizia pura e semplice; o l’onestà davanti a Dio, e non già l’onestà interessata, davanti agli uomini; o l’aiuto, il favore, il servizio agli altri per amore di Dio, e non per calcolo...?

Se il lavoro non manifesta l’amore di Dio, vuol dire che si è spento il fuoco dell’amore. Se non si nota il calore, se dopo un certo tempo di rapporti quotidiani con i colleghi di professione, questi non sanno ancora se hanno accanto un cristiano serio o soltanto un decente lavoratore, vorrà dire forse che il sale è diventato insipido[20]. L’amore di Dio non ha bisogno di etichette per farsi conoscere. È contagioso, è diffusivo per se stesso come il più grande dei beni. Il mio lavoro manifesta l’amore di Dio? Quanta orazione può scaturire da questa domanda!

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IL LAVORO SI ORDINA ALL’AMORE

Un lavoro compiuto per amore e con amore è un lavoro che si ordina all’amore: alla crescita dell’amore in chi lo compie, alla crescita della carità, essenza della santità, essenza della perfezione umana e soprannaturale di un figlio di Dio. È, dunque, un lavoro che ci santifica.

Santificarsi nel lavoro non è altro che lasciarsi santificare dallo Spirito Santo, Amore sussistente intratrinitario che abita nella nostra anima in grazia e ci infonde la carità. Vuol dire anche cooperare con Lui mettendo in pratica l’amore che l’esercizio dell’attività professionale imprime nei nostri cuori. Se siamo docili alla sua azione, se lavoriamo con amore, il Paraclito ci santifica: aumenta la carità, la capacità di amare e di avere una vita contemplativa sempre più profonda e continua.

Che il lavoro si ordina all’amore, e dunque alla nostra santificazione, significa pure che ci perfeziona: che si ordina alla nostra identificazione con Cristo, perfectus Deus, perfectus homo[21], perfetto Dio e perfetto uomo. Per lavorare per amore di Dio e degli altri attraverso Dio, occorre rendere attive le virtù cristiane. Anzitutto la fede e la speranza, che la carità presuppone e vivifica. Poi le virtù umane, attraverso le quali opera e si mostra la carità. L’attività professionale dev’essere una palestra nella quale si esercitano le più diverse virtù umane e soprannaturali: la laboriosità, l’ordine, il buon uso del tempo, la fortezza per portare a termine il lavoro, la cura delle piccole cose...; e tanti dettagli di attenzione verso gli altri, manifestazioni di una carità sincera e delicata[22]. La pratica delle virtù umane è imprescindibile per essere contemplativi in mezzo al mondo e, propriamente, per trasformare il lavoro professionale in preghiera e offerta gradita a Dio, mezzo e occasione di vita contemplativa.

Contemplo perché lavoro; e lavoro perché contemplo[23], disse una volta san Josemaría. L’amore e la conoscenza di Dio – la contemplazione – lo aiutavano a lavorare. Affermava: lavoro perché contemplo. Questo lavoro, poi, diveniva mezzo di santificazione e di contemplazione: contemplo perché lavoro.

È come un movimento circolare – dalla contemplazione al lavoro e dal lavoro alla contemplazione – che si va restringendo sempre più intorno al suo centro, Cristo, che ci attrae verso sé attirando a sé noi e tutte le cose, affinché per Lui, con Lui e in Lui sia dato ogni onore e gloria a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo[24].

La realtà che il lavoro di un figlio di Dio si ordina all’amore e perciò lo santifica, è il motivo profondo per cui non è possibile parlare, dalla prospettiva della santità – che in definitiva è l’unica che conta –, di professioni di maggiore o di minore importanza.

La dignità del lavoro è fondata sull’Amore[25]. Tutti i lavori possono avere la stessa qualità soprannaturale: non ci sono compiti grandi o piccoli; tutti sono grandi se si fanno per amore. Le funzioni che tutti ritengono elevate, diventano meschine appena si perde il senso cristiano della vita[26].

Se manca la carità, il lavoro perde ogni valore dinanzi a Dio, per quanto brillante appaia agli occhi degli uomini. Scrive san Paolo: Se [...] conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, [...] ma non avessi la carità, non sono nulla[27]. L’importante sta nell’impegno per rendere divine le cose umane, grandi o piccole che siano, perché mediante l’Amore tutte acquistano una nuova dimensione[28].

J. López

[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 48.

[2] San Josemaría, Appunti della predicazione (AGP, P10, n. 25), cit. da Ernst Burkhart e Javier López, Vida cotidiana y santidad en la enseñanza de san Josemaría, Rialp, Madrid 2013, vol. II, p. 295.

[3] San Josemaría, Cammino, n. 279.

[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 48.

[5] Cfr. San Tommaso, S. Th. II-II, q. 23, a. 1, c.

[6] Gv 15, 13.

[7] Rm 5, 5.

[8] Cfr. Gn 2, 15; 3, 23; Mc 6, 3; 2 Ts 3, 6-12.

[9] San Josemaría, Cammino, n. 998.

[10] Cfr. 1 Cor 10, 31.

[11] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Laborem exercens, 14-IX-1981, n. 25; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2460.

[12]Dt 32, 4 (Vg). Cfr. Gn 1, 10, 12, 18, 21, 25, 31. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 302.

[13]Mc 7, 37.

[14] San Josemaría, Solco, n. 527.

[15] San Josemaría, Lettera 15-X-1948, n. 26, cit. da Ernst Burkhart e Javier López, Vida cotidiana y santitad en la enseñanza de san Josemaría, Rialp, Madrid 2013, vol. III, p. 183.

[16] Cfr. San Josemaría, Amici di Dio, n. 65.

[17]2 Cor 2, 15.

[18]Mt 24, 40-41.

[19] San Josemaría, Lettera 15-X-1948, n. 18, cit. da Ernst Burkhart e Javier López, Vida cotidiana y santitad en la enseñanza de san Josemaría, Rialp, Madrid 2013, vol. III, pp. 193-194.

[20] Cfr. Mt 5, 13.

[21] Simbolo atanasiano.

[22] Mons. Javier Echevarría, Lettera pastorale, 4-VII-2002, n. 13.

[23] San Josemaría, Appunti della predicazione, 2-XI-1964 (AGP, P01 IX-1967, p. 11), cit. da Ernst Burkhart e Javier López, Vida cotidiana y santitad en la enseñanza de san Josemaría, Rialp, Madrid 2013, vol. III, p. 197.

[24]Messale Romano, conclusione della Preghiera Eucaristica.

[25] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 48.

[26] San Josemaría, Colloqui, n. 109.

[27]1 Cor 13, 2.

[28] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 60.