San Josemaría ha scritto che il lavoro è «una malattia contagiosa, incurabile e progressiva»[1]. Uno dei sintomi più chiari di questa malattia consiste nel non saper stare senza far niente. Il desiderio di dar gloria a Dio è il motivo più profondo della laboriosità, del desiderio di santificare il tempo, di voler offrire a Dio ogni minuto di ogni ora, ogni ora di ogni giornata..., ogni tappa della vita. «La persona laboriosa utilizza con profitto il tempo, che non è solo denaro, ma è gloria di Dio. Fa quello che deve e si impegna in quello che fa, non per abitudine o per riempire le ore, ma come frutto di una riflessione attenta e ponderata»[2].
«L'[uomo] accorto controlla i propri passi»[3], dice il libro dei Proverbi.
«La persona laboriosa utilizza con profitto il tempo, che non è solo denaro, ma è gloria di Dio» (san Josemaría)
Meditare i passi nella attività professionale è la riflessione attenta e ponderata della quale parla san Josemaría, che invita a riflettere su dove stiamo andando con il nostro lavoro e ad aggiustare l'intenzione. Chi è prudente è anche capace di individuare in ogni situazione il modo migliore di dirigersi verso il proprio fine. E la nostra meta è il Signore. Quando le situazioni cambiano, conviene avere il cuore sveglio tanto da percepire le chiamate di Dio in e attraverso i cambiamenti, nelle nuove situazioni venutesi a creare.
Soffermiamoci ora su due momenti precisi della vita professionale: quello iniziale e quello finale. Pur nella loro specificità, aiutano a vedere con maggiore chiarezza alcuni aspetti della santificazione del lavoro. Fra gli altri: la disposizione vigilante, con la fortezza della fede, per mantenere la rettitudine d'intenzione; il valore relativo della materialità di ciò che facciamo; la fugacità dei successi o degli insuccessi; la necessità di conservare sempre un atteggiamento giovane e sportivo, disposti a ricominciare, per amore di Dio e degli altri, tutte le volte che è necessario...
Gli inizi della vita professionale
Uno dei caratteri essenziali dello spirito dell'Opus Dei è l'unità di vita. Vivere in unità significa orientare tutto verso un unico fine: «cercare “solamente e in tutto" la gloria di Dio»[4]. Coloro che dedicano la maggior parte della giornata a svolgere una professione, hanno bisogno di imparare a inserirla nell'insieme del progetto di vita. L'inizio della vita professionale è uno dei momenti più importanti di questo apprendimento. È una situazione di cambiamento, di nuove sfide e di nuove possibilità..., ma anche di difficoltà che è bene conoscere.
In alcuni ambiti, per esempio, si sono diffuse pratiche che richiedono ai giovani professionisti una dedicazione senza limiti di orario e di impegno, come se il lavoro fosse l'unica dimensione della vita.
Coloro che svolgono una professione, hanno bisogno di imparare a inserirla nell'insieme del progetto di vita.
Queste pratiche si ispirano, da una parte, a tecniche psicologiche e di motivazione, ma rispondono anche a una mentalità che assolutizza il successo professionale rispetto a ogni altra dimensione dell'esistenza. Con i mezzi più diversi si cerca di stimolare una disposizione nella quale l'impegno verso l'impresa o il gruppo di lavoro sta al di sopra di qualunque altro interesse. Ed è proprio nelle persone che hanno una vocazione professionale, che vogliono fare molto bene il loro lavoro, che questo modo di impostare l'attività lavorativa può attecchire. Per questo san Josemaría, maestro della santificazione del lavoro, avvertiva il pericolo di alterare l'ordine delle aspirazioni. «È importante che ti dia da fare, che offra la spalla... In ogni modo, metti gli impegni professionali al loro posto: sono esclusivamente mezzi per arrivare al fine: non possono essere mai considerati addirittura come la cosa fondamentale. Quante 'professionalità impediscono l'unione con Dio!»[5].
I mezzi utilizzati per pretendere questa esclusività di solito non consistono in rigide imposizioni, ma piuttosto nel far capire che la stima, la considerazione e le possibilità future di una persona dipendono dalla sua disponibilità incondizionata. In tal modo si stimola la decisione di passare il massimo numero di ore in azienda, di rinunciare al week-end o alle ferie – abitualmente dedicati alla famiglia e agli amici –, anche quando non ve ne è una reale necessità. Questi e altri modi di dimostrare la massima disponibilità vengono spesso incentivati con consistenti gratificazioni o con benefici adeguati a un alto status sociale o professionale: hotel a cinque stelle quando si viaggia per motivi di lavoro, regali... Viceversa, qualsiasi limitazione della disponibilità personale viene considerata una pericolosa divergenza dalla “mentalità di gruppo". Il gruppo di lavoro o l'azienda mirano ad assorbire così la totalità delle energie. Qualsiasi altro impegno esterno deve sottostare all'impegno professionale. San Josemaría metteva in guardia da tali falsi ragionamenti. «Un'impaziente e disordinata preoccupazione di emergere professionalmente può mascherare l'amor proprio sotto il mantello di “servire le anime". Con falsità – non tolgo una sillaba –, ci fabbrichiamo la giustificazione di non dover lasciar cadere certe occasioni, certe circostanze favorevoli...»[6].
Non è difficile immaginare quali effetti può avere una mentalità come quella che abbiamo descritto in coloro che sono privi di una chiara gerarchia di valori o della fortezza della fede per mantenere le legittime aspirazioni professionali in modo da subordinarle all'amore verso Dio. Pensiamo, per esempio, alle difficoltà che attraversa la vita familiare quando il padre o la madre non hanno tempo né energie per la famiglia; o il ridimensionamento che subiscono i rapporti con Dio, quando non si riesce a padroneggiare la propria situazione.
L'ordine non è rigido, ma è stabilito dall' amore: fare ciò che dobbiamo fare in quel momento e rinunciare a ciò cui dobbiamo rinunciare
L'atteggiamento di chi si “lascia trascinare" o la perdita di rettitudine di chi si lascia sedurre dal successo umano – molto diverso dal prestigio umano e professionale che è l'amo dell'apostolo –, rendono impossibile che si arrivi a una vita armonica, dove la professione è inserita secondo l'ordine della carità, che include l'adempimento di altri doveri spirituali, familiari e sociali.
L'impegno unico di dar gloria a Dio e la fortezza soprannaturale della grazia permettono di armonizzare, secondo una gerarchia e un ordine, e soprattutto con la sicurezza che Dio non chiede cose impossibili, i diversi aspetti della nostra esistenza. Un ordine che non è rigido, ma è stabilito dall' amore: fare ciò che dobbiamo fare in quel momento e rinunciare a ciò cui dobbiamo rinunciare. A volte basta un po' di astuzia per saper dire di no senza opporsi direttamente; altre volte sarà necessario parlare chiaro, offrendo l'amabile testimonianza di una vita coerente con le proprie convinzioni, una testimonianza avallata dal prestigio di chi lavora nel migliore dei modi. In ogni caso, non dobbiamo perdere la pace, persuasi che le difficoltà sono permesse da Dio per il nostro bene e per quello di molte altre persone.
A un figlio di Dio ciò che davvero interessa è far piacere a suo Padre, cercare e compiere la sua volontà, sforzandosi di vivere e lavorare alla sua amorevole presenza. Questo è il fine, ciò che dà un senso a tutto, ciò che ci spinge a lavorare e a riposare, a fare questo e quest'altro; ciò che dà la forza, la pace e la gioia. Tutto il resto ha un valore relativo.
Chi decide di lavorare per amore di Dio imparerà a cogliere l'importanza che hanno le diverse esigenze della vita e le valuterà in funzione della volontà di Dio
Per cristianizzare gli ambienti professionali occorre maturità umana e soprannaturale, oltre a un grande prestigio umano e professionale, che va ben oltre la semplice produttività.
Noi, figli di Dio, siamo stati liberati da Cristo sulla Croce. Possiamo accettare questa liberazione o rifiutarla. Se l'accettiamo con la nostra vita, vivremo lontani dalla schiavitù delle opinioni degli altri, dalla tirannia delle nostre passioni o da qualunque pressione che voglia piegare la nostra volontà fino a farci servire signori che non siano Dio nostro Padre.
Chi decide di lavorare per amore di Dio imparerà a cogliere l'esatta importanza che hanno le diverse esigenze della vita e le valuterà in funzione della volontà di Dio; così potrà completare un lavoro professionale esigente dedicandosi anche alla famiglia, agli amici..., a seconda del tempo e delle energie che richiede ogni occupazione.
Spesso sarà necessaria una buona dose di fortezza e la libertà interiore sufficiente a dire di no a recriminazioni – in sé, forse, buone – che rischiano di allontanare il cuore da Dio. Non esistono ricette. Il comportamento prudente in una questione di tanta importanza richiede una intensa presenza del fine – una vita interiore solida, un desiderio saldo di dar gloria a Dio – e la disposizione umile, vigilante e aperta di lasciarsi consigliare.
Il risultato sarà che potremo mantenere nelle nostre mani le redini dell'esistenza, senza che il lavoro professionale, che pure è un aspetto importante, finisca con l'occupare un posto che compete soltanto al Signore. Egli soltanto è degno di orientare tutto ciò che facciamo, e dunque anche il lavoro. Nei primi anni di professione sogliono comparire situazioni nuove, relazioni diverse da quelle intrattenute prima e che costituiscono un'occasione irripetibile per dare molta gloria a Dio. In questo periodo è importante non lasciarsi vincere dal desiderio di un'affermazione personale, dalla bramosia di dimostrare agli altri e a sé stesso il proprio valore, e altre tentazioni del genere.
Termina una tappa, ne inizia un'altra
Un'altra fase della vita che ha le sue esigenze specifiche è la vecchiaia, quando la diminuzione delle energie fisiche impedisce di svolgere la professione con la medesima intensità di prima; o quando, pur avendo ancora le forze per continuare a lavorare a pieno titolo, arriva il momento del pensionamento, spesso obbligatorio. Si tratta di una trasformazione della condizione di vita, quasi istantanea, che obbliga a riadattare molti aspetti pratici, e soprattutto richiede uno spirito “giovane", disposto ad affrontare una nuova tappa.
Indubbiamente è questo un buon momento per rimeditare il significato della santificazione del lavoro e delle attività quotidiane, proprio in una situazione nella quale le limitazioni personali si possono notare più chiaramente. A volte si tratterà di saper ritornare in un certo senso a una situazione quasi infantile; con la semplicità di vivere senza drammi e con gioia la conclusione di una posizione professionale che forse faceva considerare molto importante la propria attività, anche a motivo delle persone che dipendevano dal proprio lavoro.
Allora si può avere la sensazione di sentirsi inutili, e di rifiutarsi di svolgere nuove attività per paura di fallire o per sfiducia nelle proprie capacità. Tuttavia, questa nuova fase della vita è una splendida occasione per pensare a come essere invece utili al Signore e agli altri, con un rinnovato spirito di servizio, più sereno e più retto, in tante cose piccole o in grandi iniziative.
Chi ha figli e nipoti concentrerà una parte importante del proprio tempo nel dare aiuto alle famiglie dei propri figli.
Le possibilità sono svariatissime. In alcuni casi si deciderà di continuare una parte dell'attività professionale precedente, preparando le persone che potranno continuare il lavoro che si sta per abbandonare. In altri casi, si orientano le proprie capacità verso altre attività, magari di carattere più sociale o assistenziale: assistenza dei malati, sostegno a centri educativi o formativi... Anche il mondo associativo, a volte così decisivo nell'influire sull'opinione pubblica, ha bisogno di persone di esperienza e che possono dedicare il loro tempo. Pensiamo alle associazioni familiari, culturali, ambientali; alle associazioni di telespettatori o di consumatori; ai circoli politici.
Chi ha figli e nipoti concentrerà una parte importante del proprio tempo nel dare aiuto alle famiglie dei propri figli. Per le famiglie giovani, l'aiuto dei nonni ha un valore altissimo. La loro generosa e sorridente disponibilità spesso sarà di esempio, e un appoggio in grado di orientare il modo in cui i genitori educano i figli.
Gli orizzonti apostolici della terza età sono assai vasti. È importante vivere questa fase della vita in modo intelligente e attivo. Il passaggio da un'attività professionale che assorbiva la maggior parte del tempo a una situazione che permette orari più liberi, non deve lasciare spazio all'imborghesimento. Sia che si coltivino hobby o che ci si dedichi ad attività di profondo significato sociale, tutto può essere impregnato di un forte contenuto apostolico. Le occasioni di entrare in contatto con altre persone sono di solito molto numerose, e la saggezza e l'esperienza accumulate devono essere messe a servizio degli altri, e anche, per quanto possibile, dell'attività apostolica con i giovani. Nello stesso modo, l'apostolato dell'opinione pubblica offre molte opportunità, a chi abbia una preparazione adeguata, sotto forma di collaborazione nei piccoli o nei grandi giornali, nella radio o nella televisione. Non mancano neppure persone capaci di scrivere libri, proporre cicli di conferenze o altri mezzi per far conoscere gli insegnamenti della Chiesa.
È importante saper progettare questi anni con lo spirito della “gioventù perenne" del cristiano e con la santa audacia che deve contraddistinguerlo.
È importante saper progettare questi anni con lo spirito della “gioventù perenne" del cristiano e con la santa audacia che deve contraddistinguerlo. «Lo spirito umano [...], pur partecipando all'invecchiamento del corpo, rimane in un certo senso sempre giovane, se vive rivolto verso l'eterno»[7]. San Josemaría, negli ultimi anni della sua vita, quando le forze fisiche diminuivano, non rinunciò a intraprendere progetti pieni di audacia, come, per esempio, il santuario di Torreciudad. È stato ugualmente sorprendente l'esempio di Giovanni Paolo II, che ha incoraggiato numerose iniziative – una più audace dell'altra – con forza e vigore nonostante la malattia che lo ha accompagnato negli ultimi anni.
Si potrebbero applicare a lui stesso queste sue parole con le quali ci invita a tenere in grande considerazione l'ultima tappa della vita: «Tutti conosciamo esempi eloquenti di anziani con una sorprendente giovinezza e vigoria dello spirito. Per chi li avvicina, essi sono di stimolo con le loro parole e di conforto con l'esempio. Possa la società valorizzare appieno gli anziani, che in alcune regioni del mondo – penso in particolare all'Africa – sono stimati giustamente come “biblioteche viventi" di saggezza, custodi di un patrimonio inestimabile di testimonianze umane e spirituali. Se è vero che sul piano fisico hanno in genere bisogno di aiuto, è altrettanto vero che, nella loro età avanzata, possono offrire sostegno ai passi dei giovani che si affacciano all'orizzonte dell'esistenza per saggiarne i percorsi.
Mentre parlo agli anziani, non posso non rivolgermi anche ai giovani per invitarli a stare loro accanto. Vi esorto, cari giovani, a farlo con amore e generosità. Gli anziani possono darvi molto di più di quanto possiate immaginare. Il Libro del Siracide in proposito ammonisce: “Non trascurate i discorsi dei vecchi, perché anch'essi hanno imparato dai loro padri" (Sir 8, 9); “Frequenta le riunioni degli anziani; qualcuno è saggio? Unisciti a lui" (Sir 6, 34); perché agli anziani “si addice la sapienza" (Sir 25, 5)»[8].
J. López Díaz e C. Ruíz
[1] San Josemaría, Lettera 15-X-1948, citato da A. Nieto, “Josemaría Escrivá, sacerdote di Dio, lavoratore esemplare", Discorso pronunciato nell'Università di Navarra il 26-VI-1985.
[2] San Josemaría, Amici di Dio, n. 81.
[3]Prv 14, 15.
[4]San Josemaría, Forgia, n. 921.
[5]San Josemaría, Solco, n. 502.
[6]San Josemaría, Solco, n. 701.
[7]Giovanni Paolo II, Lettera agli anziani, 1-X-1999, n. 12.
[8]Ibid.